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Il miracolo della suggestione vintage
Il miracolo della suggestione vintage
di [user #4093] - pubblicato il

Non si mette in discussione che certi strumenti definiti "vintage" suonino in modo stupendo, ma a essere sotto analisi è il loro carattere. Cosa cambia tra una Telecaster del '55 e una di dieci anni più giovane? La storia che trasmettono non è solo fatta di sensazioni, ma di voce e dischi.
Non si mette in discussione che certi strumenti definiti "vintage" suonino in modo stupendo, ma a essere sotto analisi è il loro carattere. Cosa cambia tra una Telecaster del '55 e una di dieci anni più giovane? La storia che trasmettono non è solo fatta di sensazioni, ma di voce e dischi.

Di ritorno dal Custom Shop a Milano di domenica scorsa un pensiero fisso si è impadronito di me, anche grazie a una domanda, lecita, di un amico su Facebook che ha commentato così al mio entusiasmo a una foto dove strimpellavo una Telecaster di sessant'anni suonati: "ma suonava veramente bene o è solo suggestione?".

I 130 km di auto che mi separavano dalla capitale lombarda alla mia casa in Piemonte sono scorsi in rigoroso silenzio (non ho acceso nemmeno lo stereo della macchina, nonostante un paio di buoni nuovi dischi da ascoltare) a rimuginare su tutta una serie di dettagli e sfumature che mi potessero permettere un giudizio quantomeno oggettivo.
Non voglio scrivere l’ennesimo articolo elogiando o distruggendo il mondo del vintage, né tantomeno scatenare un putiferio di commenti in difesa di uno o di un altro mondo. Voglio solo scrivere di due chitarre che mi hanno fatto riflettere durante questa lunga giornata di fine inverno all’interno delle salette dell'hotel Quark.

Il miracolo della suggestione vintage

Premetto che sono sempre stato affascinato dal vintage, più dal lato iconografico probabilmente che da quello sonoro (colpevoli le finanze sempre risicate... sigh!). L’ho guardato con amore ai suoi albori e con sospetto al suo sviluppo. Ho provato una miriade di chitarre da quattro zeri rimanendo, il più delle volte, notevolmente deluso dalla loro poca suonabilità e dal loro impatto sonoro. Ho quasi giustificato la enorme schiera di collezionisti che comprano senza nemmeno suonare uno strumento. Però ieri due Telecaster, messe lì in bella mostra da Francesco Balossino di C’esco Corner (laboratorio di Tortona, in provincia di Alessandria, dedicato alla vendita, la cura, la selezione e il ripristino di strumenti vintage, con un occhio di riguarda alla casa californiana) mi hanno letteralmente sconvolto. Attenzione, non sto parlando di strumenti che mi hanno fatto gridare "li voglio a tutti i costi", ma di due strumenti che mi hanno illuminato sul senso della frase, spesso abusata nel settore vintage, "suonandola, puoi assaporare la storia".

Andiamo alle due asce: una Telecaster in frassino (abbastanza pesante, ma non un macigno) in un bianco appena appena trasparente, con un generoso manico profilato a V, datata fine ’55 (spaghetti logo) e una sua cugina di dieci anni più giovane in un grazioso blonde, con manico più sottile, con tastiera riportata e corpo in swamp ash incredibilmente leggero (sembrava fosse scavata all’interno tanta la leggerezza del corpo di questo strumento). Entrambe le chitarre, visti i segni sulla tastiera e sul retro del manico, dichiarano la loro assidua frequenza su di un palco, caratteristica, questa, secondo me decisiva per la valutazione di uno strumento (non perché mi sia mai fatto convincere dal fatto che suonando tanto la chitarra suona meglio, ma semplicemente perché credo che, se ha suonato tanto, sarà perché suona bene, stop).
Le ho attaccate a un ampli artigianale costruito da Astor, una specie di Bassman ridotto nelle dimensioni e nel wattaggio con un suono chiaro e schietto, regolato in flat a un volume giusto (senza portarlo in crunch, giusto per sentire il vero suono delle Telecaster, strumenti concepiti, bisogna ricordarlo spesso, per i suoni puliti) e quello che ne è venuto fuori è stato, almeno per me, illuminante.

Tralasciamo il fatto che i due strumenti erano settati alla perfezione per tutte le mani, il che ha reso la prova di un piacere senza pari, ma il suono che ne è venuto fuori, nella loro diversità, mi ha fatto fare un salto nel passato. Perché? Bene, la Telecaster del '55 ha tutti i suoni e le sfumature che la musica del '55 mi ricorda. Mi spiego meglio: suonando una frase di Luther Perkins (il chitarrista di Johnny Cash fino al '68, anno della sua scomparsa) incisa con una Esquire del '55 in quel della SUN Records in quello stesso anno, il suono che ne veniva fuori era identico. Quell’attacco rozzo e incisivo c’è tutto, quel ringing dei cantini è proprio lì. Passando all’esecuzione dell’intro di Paul Burlison della famosa "Tear it up" nella versione di Johnny Burnette (incisa intorno al '56 se non erro, in quel di Nashville, negli studi di Owen Bradley, sempre con una Telecaster, dello stesso colore per altro) quel tono ignorante e maleducato si sente tutto! E poi, piazzandosi con il selettore sul pickup al manico, cercando di imitare il sommo Jimmy Bryant (che con una Telecaster nel pieno dei '50, insieme all’asso della lapsteel Speedy West, ha dettato i canoni del virtuosismo) quel suono grosso ma presente che ti butta in soggezione (non sai mai se è veramente una Telecaster o una archtop... eppure è una Telecaster dei primi anni '50) è sotto le tue mani!

Il miracolo della suggestione vintage

Passando alla telecaster del '65, ecco arrivare un’altra botta alla salute. Il suono cambia notevolmente (e non sto parlando di impercettibili sfumature). I bassi si svuotano, i medi diventano più bilanciati e i cantini più puliti. Insomma tutta la chitarra diventa più educata. Anche il volume dello strumento si riduce del 20%, ma non è un difetto, sia chiaro. Sì perché, provando a suonare della musica datata primi anni '60 (io purtroppo riesco a fare il paragone solo col country-rockabilly-western swing dell’epoca), i riferimenti sono tutti lì. Eppure i due strumenti si somigliano tantissimo ma, sulla '65, i lick di Buck Owens o Don Rich, con i loro bending quasi programmati a tavolino, gli intro dei pezzi di Merle Haggard o le frasi sui bassi (adesso diventati secchi all’inverosimile, rispetto a quelli prepotenti della '55) nello stile di Waylon Jennings sono commoventi. Per non parlare delle ritmiche in puro stile John Mosley, il chitarrista di Red Simpson, che aveva un suono cristallino nelle registrazioni della Bakersfield d’oro, sono facilmente riproducibili. Non che con la '55 (o con una qualsiasi altra Telecaster) non si possa ottenere un risultato simile ma, semplicemente, adesso è tutto più facile e le mani camminano da sole.

Il miracolo della suggestione vintage

Ecco perché mi sentivo di "toccare la storia". Un pezzo di legno mi stava catapultando in un contesto storico ben definito. Si sente proprio che la Telecaster del '55 era uno strumento fatto per "farsi sentire" e quello del '65 fatto per "sentirsi bene". È come se le strategie commerciali e i pensieri di Leo Fender di colpo prendessero forma nella mia immaginazione.
Suggestione o miracolo? Nessuno dei due, secondo me. Ma semplicemente consapevolezza di cosa avevo tra le mani.
Questo mi porta a pensare che un musicista debba prendere uno strumento vintage solo dopo che ha coltivato la sua cultura personale, perché nessuno dei due strumenti è "versatile" e andrebbe bene su tutto ma, se si è maniaci per esempio del sound autentico degli anni '50, si può passare tutta la vita cercando di riprodurlo oppure comprando uno strumento che ha quelle sfumature tutte lì. Magari l’emulazione e le mani dello strumentista raggiungeranno risultati pari alla perfezione, ma penso che aver suonato uno strumento che emana quelle sensazioni aiuti sicuramente al raggiungimento dello scopo.
Tutte queste parole riferite a due soli strumenti di due sole annate. Non oso pensare a come io possa entrare nel panico applicando le stesse considerazioni alle Stratocaster delle varie annate o alle archtop, variando di marca e modello, pensando ai contesti storico-musicali e alle tecnologie delle varie epoche. Penso si possa rischiare il ricovero in un ospedale psichiatrico!

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