"Mi fa piacere che il mio suono sia riconosciuto come particolare e distinguibile, perché credo sia ciò a cui ogni musicista tende. In effetti, il suono per me ha un ruolo decisivo: tra il 2010 e il 2020 ho realizzato diciannove dischi come bassista, produttore e arrangiatore; quindi mi sono preso la piena responsabilità di quella che sarebbe dovuto essere la mia voce. Ma anche nei dischi in cui sono stato chiamato come session man, credo proprio il mio sound sia stato una delle ragioni per le quali sono stato coinvolto. Quindi, i miei dischi - e in partcolare quelli da solista - rappresentano la migliore testimonianza della mia ricerca sonora e del mio timbro.
Per questo, prendendo a riferimento la mia produzione, ecco una sorta di panoramica su come compongo il mio suono.
Partendo dai bassi, devo dire che quasi in ogni pezzo io tendo a usare più di un basso. Questo soprattutto per una ragione di esigenze sonore dettate dalle varie sezioni del pezzo: ogni brano finisce per avere bisogno di un sound più particolare in una sua determinata parte. Sound che un solo preciso modello di basso può darmi. In questo, parto dalla grande, principale, differenza tra bassi: quelli con i tasti e quelli fretless. Se per esigenze artistiche sento che un brano necessita di due suoni, non mi sono mai fatto scrupoli a imbracciare un basso diverso sia anche per una sola sezione della struttura. Dal vivo, ovviamente, la cosa cambia e non lo faccio. Cambiare strumento durante l’esecuzione di un pezzo diventa una cosa funambolica; inoltre rischierebbe di distrarmi dal coinvolgimento nell’esecuzione, facendomi anche divertire meno suonando.
Quindi quando registro e produco suono tanti bassi: vecchi Fender, bassi Bolt On, bassi Neck-Thru, a quattro, cinque corde e con corde differenti…strumenti che mi garantiscono ciascuno una risposta molto diversa e di conseguenza sonorità diverse. Inoltre, con le loro diversità, stimolano e ispirano anche me a suonare in maniera differente, contribuendo a cesellare sonorità diverse…
Quando arriva il momento di registrare parto sempre da un minimo di due tracce.
Con la prima entro in una DI che può essere una DI artigianale (uso un modello molto interessante prodotto da un ingegnere romano che si chiama) oppure una vecchia e fidata DI della MarkBass; si chiamo e la utilizzo da tanti anni.
L’altra traccia, invece, finisce in una testata della MarkBass, la Questa permette di miscelare il suono valvolare con quello del solid state: una possibilità in più, enorme, di agire sulla timbrica del proprio basso. Ovviamente queste due tracce sono registrate in contemporanea e questo mi permette di miscelarle tra loro ottenendo combinazioni sonore differenti. E si torna al discorso dei bassi: anche in questo caso, non mi faccio scrupoli a bilanciare in maniera diversa i due suoni di basso, in sezioni diverse di uno stesso brano se questo mi aiuta a ottenere un determinato risultato! Ecco, negli ultimi mesi ho usato moltissimo il della MarkBass, una macchina sola che mi permetteva di fare entrambe le cose: mandare un’uscita diretta come DI e una di linea, non bilanciata, come preamplificatore.
Invece, è raro, rarissimo che utilizzi la microfonazione della cassa dell’amplificatore. Anche se devo coordinare 4, addirittura 6 tracce che arrivano dalla DI, dal segnale del pre, dagli effetti, queste le trovo comunque più gestibili e malleabili rispetto al suono singolo e finito ripreso dal microfono di fronte all’ampli. Senz’altro è un approccio personale e soggettivo e senz’altro è condizionato dal fatto che mi piace lavorare molto in produzione, post editing…e quindi voglio massima libertà nella gestione del suono.
Tornando alle tracce che ho registrato (DI + segnale della Testata), tratto entrambe con pochissima compressione e solo se necessario.
Viceversa le trasformo sempre in Stereo con dei plug-in che devono dare spazialità ma non aggiungere coloritura o timbro sonoro differente. Ecco, semmai amo molto il Chorus: ci sono plug in ottimi che danno apertura al suono e non mangiano carattere e frequenze al suono. Quello è il Chorus che cerco.
Invece, se devo fare delle parti di basso molto effettate registro dalla mia pedaliera; anche in questo caso creo due tracce: una pulita e una con solo il suono processato degli effetti. In questa maniera li posso miscelare e dosare manualmente, con il pieno controllo del bilanciamento.
Poi, una parte fase importante e che – soprattutto nelle mie produzione – cerco sempre di seguire da vicino è la fase del Mastering. Perché forse, più ancora del basso, quello che amo e curo di più sono le frequenze basse. Ho lavorato spesso con , un ingegnere di New York specializzato che ha vinto vari Grammy e ha lavorato con Elton John, Steve Lukather…ma è soprattutto specializzato nella Dub e quindi la persona perfetta per assecondare la mia passione per le frequenze basse cui accennavo poco fa. Ultimamente ho lavorato anche con : e si è mostrato un partner ricettivo e sensibile circa le mie esigenze. Ha la mia stessa ampiezza di vedute circa l’utilizzo delle frequenze basse e la loro gestione nel mix finale.
Nella creazione del suono un aspetto decisivo, resta comunque il tuo approccio artistico. Io, per esempio, registro il basso alla fine delle mie produzioni. Voglio metterlo al servizio della musica. Far fare al basso quello che sento ancora manchi alla musica...ma ve ne parlo meglio nel video che trovate di corredo a questo articolo."
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