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La nuova epoca d’oro degli effetti per chitarra
La nuova epoca d’oro degli effetti per chitarra
di [user #17844] - pubblicato il

C’è chi sarebbe pronto a scommettere che, se uno sperimentatore come Jimi Hendrix fosse vivo oggi, alle sue spalle sul palco avrebbe un Kemper. Io non mi sento di escluderlo, ma penso che il suo vero interesse si focalizzerebbe altrove.
Lo immagino destreggiarsi con le centinaia di scatolette colorate totalmente fuori di testa che di tanto in tanto rimettono in discussione le basi degli effetti più tradizionali. Perché proprio in questi anni pare che gli effetti a pedale stiano raggiungendo un nuovo pinnacolo d’eccellenza e creatività.

In musica, la ricerca del suono è antica tanto quanto il suono stesso. Senza scomodare la nascita degli strumenti musicali nella preistoria, la loro evoluzione fino alla liuteria classica e da qui l’arrivo alla liuteria moderna, si può tranquillamente tirare in ballo la sola parentesi più recente, quel granello infinitesimale rispetto all’immensità della storia della musica che ha preso forma da quando l’uomo ha imparato a congelarla nel tempo per poterla poi riascoltare.

Dai cilindri di cera al vinile ai nastri, neanche il tempo di trovare uno standard per riprodurre le registrazioni e già c’era chi pensava a come poter manipolare quei documenti, per trasformarli a loro volta in strumenti musicali con cui espandere le possibilità espressive oltre i limiti allora conosciuti.



È dagli studi di registrazione che sono partiti gli esperimenti sugli effetti. Riverberi generati sparando una registrazione in un salone vuoto con un microfono piazzato all’angolo opposto, nastri strapazzati, rallentati, sfasati per veder nascere l’impressionante effetto “flanging”, parti doppiate e armonizzate mediante sovraincisioni…
La prima grande rivoluzione è avvenuta quando i musicisti hanno potuto portare quei suoni dal vivo.
Non è stato un processo facile, ma nella metà del ‘900 il progresso tecnologico era avanzato a sufficienza da suggerire a qualche mente illuminata un modo per replicare alcuni di quei fenomeni acustici usando solo dei minuscoli componenti elettrici.

Non c’era più bisogno di registrare precedentemente e stressare nastri o allestire stanze apposite, tutto si poteva fare mentre si suonava e semplicemente ruotando qualche manopola. Tuttavia, esattamente come accadeva nei precedenti esperimenti, non sempre i risultati erano precisi e riproducibili. Si può tranquillamente affermare che questa “unicità” rappresenti il fascino del mondo analogico, ma bisogna altrettanto riconoscere che può diventare davvero frustrante per i contesti in cui è richiesto il pieno controllo di ciò che esce dagli altoparlanti.



A partire dagli anni ’80 del secolo scorso il digitale ha avuto il grande merito di introdurre il concetto di programmabilità. La precisione di un computer consentiva di controllare in modo assoluto i suoni, garantendo ogni sera l’esito desiderato. La strada è stata lunga ed è stato necessario arrivare alla fine degli anni '90 prima di vedere un prodotto come il celebre Line 6 DL4, forse il primo delay a portare nel formato stompbox la programmabilità di un complesso sistema digitale.
Quell’epoca ha dato vita anche a nuovi concetti di suono, alcuni divenuti dei classici, altri decisamente meno.

Forse è anche per questo che l’analogico è tornato di gran carriera nei decenni successivi. La tecnologia però c’era, e i vecchi circuiti ricevevano nuova linfa dando vita a curiosi ibridi in cui il tanto desiderato calore analogico sposava le possibilità di controllo del digitale.
Ci troviamo ancora oggi in quell’epoca, e ciò che si sta schiudendo all’orizzonte è a dir poco emozionante.



La diatriba tra digitale e analogico è viva più che mai. Si scherza su come da quasi quarant’anni si susseguano macchine che promettono ogni volta un suono vero e indistinguibile dall’analogico, giusto un po’ più vero e indistinguibile del modello precedente. Eppure è innegabile che oggi quei suoni siano godibili, belli da suonare e da ascoltare. In questo la profilazione è stata un game changer, e i processori d’ultima generazione sono oggi in grado di offrire immagini più che decenti di amplificatori ma anche di effetti, questi ultimi forse anche più apprezzabili.
In moltissime macchine moderne tutti gli effetti tradizionali sono presenti, in maniera più che credibile. Rischiamo insomma di essere al punto in cui una tecnologia smette di copiare e può cominciare a inventare.

Così come i vecchi pedali analogici hanno mostrato il proprio vero potenziale nel momento in cui hanno smesso di provare a imitare le tecniche di regia per esplorare sonorità proprie, e così come la prima ondata del digitale ha cambiato il volto della musica quando ha deciso di puntare sui punti di forza come automazione e capacità di calcolo, allo stesso modo oggi il mondo degli effetti - e della strumentazione elettronica in senso più ampio - sembra essere sulla rampa di lancio per una nuova dimensione sonora, finora semplicemente impossibile.

Gli stompbox tradizionali faranno sempre gola, ma è innegabile che avere una collezione di effetti classici sempre disponibili in una qualsiasi multieffetto rende assai meno appetibili molti prodotti hardware. Ma non è la fine, anzi.
In questo modo il digitale non rischia di mandare in pensione i vecchi overdrive, chorus e delay, ma motiva i progettisti a rinnovarli, a proporre soluzioni mai viste prima in cui le più recenti conquiste tecnologiche non sono un’alternativa, bensì uno strumento per spingersi oltre. Pedali che sulle multieffetto, semplicemente, non esistono.



Arrivano così i folli “distruttori di suono” di Death By Audio come l’Evil Filter e l’Absolute Destruction, le impressionanti modulazioni Beetronics del recente Zombee, o ancora gli effetti che usano clock o interventi digitali per controllare e alterare suoni processati in modo analogico. I grandi marchi stanno esplorando con interesse tali potenzialità, e il sottobosco dei costruttori artigianali pullula di sperimentatori pazzi che hanno deciso di prendere il meglio di ogni mondo, influenze antiche, possibilità di epoche più recenti e provare a tirarci fuori qualcosa di davvero mai sentito. Mai sentito perché fino a 10 anni fa magari non c’erano le tecnologie necessarie, ma forse anche perché la concorrenza non era abbastanza agguerrita da spingerli a spremersi le meningi oltre ogni immaginazione.
E in questo, devo ammetterlo, ripongo aspettative altissime per i suoni del futuro.
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