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Quando l’innocenza muore: Pet Sounds e la disillusione di Brian Wilson
Quando l’innocenza muore: Pet Sounds e la disillusione di Brian Wilson
di [user #65794] - pubblicato il

La scomparsa di Brian Wilson, che dall'anno scorso era sotto tutela legale a causa di un disturbo neurocognitivo degenerativo simile alla demenza, segna definitivamente la fine di quell'utopia americana nata negli anni '60. Ma il capolavoro di Wilson nasce lontano dalle onde e dalle spiagge dorate. Pet Sounds, l’album che contribuì a cambiare per sempre la musica pop statunitense, nasce da tensioni interne, LSD e visioni geniali.
Quando l’innocenza muore: Pet Sounds e la disillusione di Brian Wilson

Nel 1963, con Surfin’ U.S.A., i Beach Boys si conquistano un posto d’onore nel cuore dell’America adolescente: armonizzazioni vocali da manuale, melodie che sembravano uscite da un juke-box anni Cinquanta, testi intrisi di amori estivi e tavole da surf. Quell’anno pubblicarono due album, tre l’anno dopo, giusto in tempo per assistere allo sbarco dei Beatles negli Stati Uniti e dare il via a una delle rivalità più stimolanti della storia del pop.

Da una parte, Lennon e McCartney che riscrivono le regole del beat britannico; dall’altra, Brian Wilson inizia a vedere lo studio come una tavolozza sonora. Proprio nel 1964, dopo un esaurimento nervoso, Wilson abbandona le tournée e si chiude tra le quattro mura dello studio, trasformandolo nel suo laboratorio alchemico. Da quel momento, non si trattò più solo di scrivere canzoni, ma di costruire mondi.



I Beach Boys smettono di fare surf
Siamo nel 1966 e l’America dei teenagers biondi e spensierati ha il suo inno: “Fun, Fun, Fun”, “Surfin’ U.S.A.”, “California Girls”. La spiaggia è il paradiso. I Beach Boys il suo coro celeste. Ma Brian Wilson, leader, compositore e mente dietro il sound soleggiato della band, è stanco. Sente che c’è dell’altro. O forse sente che non c’è più nulla da dire su onde, bagnanti e serate in cabriolet.
Così, mentre gli altri membri della band sono in tour a ripetere quel mantra surf-rock che ancora vende alla grande, lui resta a Los Angeles. E si chiude in studio. Letteralmente, ci resta per mesi con un’orchestra di session player, un cane che abbaia come backing vocalist, un carico di LSD e una voce nella testa che urla: “Fai il disco che nessuno si aspetta”.

“Forse piacerà a un cane…”
Quando Mike Love – frontman e testimonial ufficiale del sorriso smagliante firmato Beach Boys – sente per la prima volta le tracce di Pet Sounds, esclama: “Chi pensi che ascolterà questa merda? Forse un cane?”. Brian risponde con la solita calma disarmante, prende nota e intitola il disco Pet Sounds. Sì, anche perché tra i suoni presenti nel disco ci sono davvero i latrati del cane di casa, Banana.



Lungi dall’essere un semplice vezzo psichedelico, il titolo è un manifesto: Pet Sounds è un mondo sonoro fatto di dettagli domestici, rumori rubati alla realtà, orchestrazioni raffinate e vibrazioni che hanno poco a che vedere con le balere. È come se i Beach Boys fossero finiti in un sogno scomposto, malinconico e pericolosamente lucido, e in effetti è successo proprio questo: il sogno americano del surf e del milkshake si è incrinato.

Rubber Soul, LSD e la sindrome da competizione
Brian Wilson racconta di essere rimasto folgorato da Rubber Soul dei Beatles. “Sembrava tutto collegato. Ogni brano portava al successivo. Era un’unità. Una visione”. Il risultato? Wilson vuole fare di meglio, o almeno qualcosa di altrettanto coeso, ambizioso, emozionale. Una risposta americana, personale e distorta.
Il fatto è che mentre McCartney e Lennon avevano l’un l’altro, Brian era da solo, e la sua mente non era esattamente stabile. L’uso (copioso) di LSD, le prime avvisaglie di disturbi mentali, le pressioni della casa discografica e l’indifferenza dei compagni di band non aiutavano.

Per trovare qualcuno disposto a entrare nel suo mondo, Wilson si rivolge a Tony Asher, redattore pubblicitario e paroliere occasionale. I due si chiudono in casa per settimane, scrivendo testi introspettivi, romantici, disillusi. Niente più Little Deuce Coupe, ora si canta I Just Wasn't Made for These Times, That's Not Me, Caroline, No.

Addio ragazze sulla spiaggia. Benvenute crisi di identità e malinconie esistenziali. La band? Usata solo per registrare le armonie vocali, con fatica e mugugni. Wilson, di fatto, realizza un album solista sotto il nome Beach Boys, tanto che Caroline, No, primo singolo, esce con la sua firma e basta.

Quando l’innocenza muore: Pet Sounds e la disillusione di Brian Wilson

Capitol Records non ci crede. I Beatles sì.
Quando Pet Sounds arriva sulla scrivania dei pezzi grossi alla Capitol, la reazione è glaciale. Niente singoloni? Niente brani ballabili? Che fine ha fatto il divertimento? Lo pubblicano controvoglia, con scarso supporto promozionale. I fan rimangono spiazzati e le vendite non decollano. Ma dall’altra parte dell’oceano c'è qualcuno che capisce: I Beatles ascoltano il disco e decidono che la baracca del rock and roll non sarà più la stessa. Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band nasce anche lì, in quel momento.

Pet Sounds non è il disco che ha segnato solo la fine dell’innocenza musicale, è anche il punto di rottura tra Brian Wilson e il resto del mondo. Alla fine della lavorazione dell'album Brian si presenta a una riunione con la label con uno stereo portatile e otto cassette, ogni nastro contiene una risposta pre-registrata: “Sì”, “No”, “Potresti ripetere?”, “Non ho commenti”.

Non dice una parola.
E gestisce l’incontro azionando i tasti Play e Stop.
Il surf è morto.

Un disco nato da una frattura, dalla volontà di rompere con la leggerezza zuccherina e adolescenziale dei primi Beach Boys per dire qualcosa di più profondo, di più vero, di più doloroso. È il punto in cui il sogno californiano si incrina, la sabbia si fa piombo, il sole tramonta su un’innocenza ormai perduta. In quelle melodie spezzate, in quelle armonie che sembrano chiedere scusa al mondo, Brian ha lasciato tutto: le sue fragilità, i suoi desideri irrealizzati, la sua grandezza impossibile da contenere in una vita sola. La sua morte chiude un cerchio, ma la sua voce resta lì, a fluttuare tra i solchi di un album che ha cambiato per sempre il significato del pop. Un addio sussurrato, inciso su nastro, e destinato a non finire mai.

Quando l’innocenza muore: Pet Sounds e la disillusione di Brian Wilson
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