MarteLive
Piccoli riflessi del Shockabilly creato dalla psichedelia di Eugene Chadbourne e compagni? Un pizzico dell’avant-gard rock del Captain Beefheart? Forse. Schizofrenia, capacità e buongusto, però, è tutta targata The Orange Beach. Non spuntano da una ridente cittadina, ma da una pesante realtà della provincia casertana. Per intenderci quella che se non trova una valvola di sfogo rende saturi e insani. Fuzz You! è il primo debutto ufficiale, in studio, degli Orange Beach ovvero di tre musicisti che hanno fatto di un de-categorizzarsi uno sfogo musicale, sotto l’ala di Mark Kramer (Shockabilly, The Fugs e tanti altri gruppi, collaboratore di Jhon Zorn, oltre che produttore) alla produzione, mixaggio e mastering, e della sua Second Shimmy. L’esordio li aveva visti prendere parte alla “Nagual vol. 1” nel 2007 e alla “A Buzz Supreme 2009” con artisti come Beatrice Antolini, Mariposa, Proiettili Buoni, Samuel Katarro e tanti altri.
Multiforme e coeso, Fuzz you! è il prodotto di una scelta ben calibrata dagli Orange Beach: far parlare la qualità della musica, quella senza confini definiti, e dunque l’immaginario. Non per niente la contaminazione della parola è lasciata come marginale e ironica – calda e graffiante – in sole tre occasioni (“Hey! Oh! Eh”, “CWhaWha”, “Ernest’s fear”). Multiforme e divisibile, Fuzz you! dedica le prime sei tracce ad una particolare mescolanza di garage, rockabilly e acidità. È così che scorrono veloci pezzi come “Quoque tu BMW” (dedicata ai posti di blocco ben conosciuti dalla band), “Bds” (Bar del sole) e “I talk to the wine” (parodia di “I talk to the wind” dei King Crimson) dominate da chitarre tra psichedelico e sabbathiano, sinuose contorsioni, graffi, spensierate ed ironiche. Democratico. Perché in Fuzz you! è difficile trovare uno strumento che domina sugli altri: ecco perché è possibile scorgere anche parecchi elementi fusion: quel jazz che non ha manie di protagonismo, che si sporca le mani nel rock e si diverte rotolandosi tra funk e acidità. Eclettico. Perché ogni singola traccia ti lascia in sospeso fino all’ultimo secondo, e ti sorprende.
A chiudere la prima parte dall’apparenza tarantiniana è un surf non troppo lontano da quello dei Lively Ones, “Country Billy 2” – in cui non si disdegnano brevi risvolti punk –, e una sorta di funkedelico intramezzo (“CWhaWha”) ad aprire la porta alla seconda parte del lavoro: quella jazz. Malinconica e crepuscolare “Faires wear white shoes” è una ballata che crea un ambiente ovattato, prima, e che lo distrugge a colpi di corde, dopo. Come su un sottofondo di Frank Zappa (versione Hot Rats) e dei Weather Report, scorrono “Barbon” – da cui non riesce ad astenersi dal contribuire il vibrofono di Kramer – e la languida “L’abbaye de Thélème” sostenuta dall’irregolarità della sezione ritmica. Non mancano storie d’amore, trasversali e sarcastiche, come quella… tra due fantasmi (che non ci si lamenti dell’assenza di romanticismo!): “Ghost to ghost”, un metafisico “valzer” concentrico, persecutorio, ripetitivo e monotono (ma è quella l’idea).
La terza parte è rock blues accelerato all’estremo (“Ernest’s fear”), fatto di immagini che si contorcono come le idee permeate dal tubo catodico (“Exotic thrills”), sincope e freschezza di un minuto (“Jingle#1”) per introdurre l’ultima e più riassuntiva – omonima – traccia, perla del lavoro degli Orange Beach. Il cerchio si chiude dopo un ultimo sfogo.
E, nel silenzio, premerete di nuovo “play”, fidatevi.
Emiliana Pistillo Recensione su MarteLive
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The Orange Beach Fuzz you!! (second Shimmy)
You’d be forgiven, after seeing the words “beach” and “fuzz” in such close proximity to each other, for thinking this new group was another in the long line of Southern California-based, psychedelic, new agey jam bands. Psychedelic? A bit. Jammy? Slightly. But this Southern Italy-based trio — Campania’s hardest rockers? — owe more to groups like The F*cking Champs and Explosions in the Sky than the Grateful Dead. Over the course of 14 tracks, ranging from less than a minute to four-and-a-half-minute plus, the trio tackle numerous strains of rock all under the umbrella of the arpeggiated chord. Post-punk, psychedelia, bluesy rock and funk all find a home on the group’s mostly instrumental debut album. With titles like “Fairies Wear White Shoes,” “Ernest’s Fear” and “I Talk to the Wine,” The Orange Beach are not out to create somber, introspective “serious” music, but no matter. A thorough and diverse update of classic rock ‘n’ roll makes this one worth it.
Jason Newman
Original Link
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Maledetti Orange Beach! Mi costringono ad arrampicarmi sugli specchi per descrivere il loro incredibile disco, Fuzz You!, che vuole essere anche il primo dell’anno (la data d’uscita indicata, improbabile dato che è tutto chiuso, è il 1/1/2010).
Mi costringono a giochi di parole e improbabili paragoni perché Fuzz You! è un disco tanto diretto, immediato e godibile quanto complicato (e ingiusto) da rinchiudere nella gabbia di uno o più generi.
Registrato con Kramer (Butthole Surfers, Ween, Shockabilly, Half Japanese), incaricato della produzione ma ben presto diventato una specie di quarto membro della band, Fuzz You! è un pugno in faccia di quattordici pezzi che quasi mai arrivano ai tre minuti. Lo stesso Kramer ha definito i casertani Orange Beach come una sorta di Stray Cats in acido; ma non basta.
Più che il loro lato rockabilly credo che quella che maggiormente esca fuori è la componente sghemba del post-punk, in mezzo a parti improvvisate, a sfuriate di chitarra, a sofisticati arrangiamenti, a deviazioni psichedeliche.
Insomma, un disco ironico, irriverente e allo stesso tempo zeppo di perizia tecnica e di fantasia per iniziare nel migliore dei modi il 2010 musicale.
Massimo Garofalo Link alla pagina su RockShock
---------------------------------------------------------------------------------------------------- www.smemoranda.it“Hey! Oh! Eh!”, il pezzo d’apertura dell’esordio dei The Orange Beach, promette bene: potenza del suono ad accompagnare un’altrettanto potente voce, che nel seguito del disco sentiremo poco (11 strumentali su 14); rock contaminato e contaminante, a tratti lisergico a tratti elettrico, sempre sul punto di esplodere.
Non a caso questi tre simpatici ragazzi di Caserta hanno colpito al cuore il mitico Mark Kramer, produttore del cd, nonché collaboratore negli arrangiamenti e vibrafono in “Barbon”, jazz psichedelico da telefilm anni ’70 dove non sai chi sono i buoni e chi i cattivi. Buoni sono sicuramente gli altri pezzi di “Fuzz You!”, capaci di farmi sbattere la coda per tutta la sua durata, con il massimo sbattimento in “Quoque tu BMW?” (se vi piace andare a briglia sciolta in auto e non solo…), il funk dei nostri giorni “Cwhawha”, l’eretica/erotica “Ghost to ghost” a tratti Rosolina Mar, la dilatata/dilatante “Fairies wear white shoes”, con intro di chitarra malinconica e poi un bel volo onirico. Gran finale virtuosistico non a caso intitolato “The Orange Beach”, come a dire: noi siamo questi tre…
Imponenti, giocosi, avvinazzati, come Jack Nicholson in un qualsiasi film di Bob Rafelson. Provate ad ascoltarli…lo rivedrete.
l'Alligatore
Recensione sul sito di Smemoranda_________________________________________________________-____ Ciao a tutti ecco la prima recensione di Fuzz you!,che risale a questa estate quando non era ancora chiaro con chi avremmo pubblicato il lavoro.
Vorrei ringraziare Helmut Schnug ( Project 500 on myspace) grazie al quale è stato possibile far pervenire il lavoro in redazione prima che fosse pubblicato,lo staff di Rocktimes e Maria D'innocenzo per la traduzione dal tedesco.
Questo è il link originale:
Questa la traduzione in italiano:
Quattordici canzoni in 38 minuti, quindi sono circa 160 secondi a Titolo. Il tempo che di solito, musicisti dai miei stessi gusti musicali impiegano a riscaldarsi, prima di pensare ai primi suoni ufficiali.Quando si tratta di cultura del cibo, vale esattamente il contrario: il pasto svanisce in pochi secondi. Non è così per gli Orange Beach, dato che loro sono Italiani, e sanno cosa significa la cultura del cibo. Quindi parto dal presupposto che non ci servano “cibo spazzatura”, bensì, nella brevità dei loro suoni, ci preparino un adeguato “cibo per le orecchie”. Basta dare un’occhiata al sito della band per capire perché i pezzi sono così brevi. Per quanto riguarda lo stile della band, esso viene descritto come “Rock, post Punk e psichedelico”. E’ chiaro che poiché il Punk deve essere sempre sotto la macchina da cucire, resta poco tempo per pezzi più lunghi.Beh..adesso basta con i clichè.. Troviamo infine il Post Punk, il Rock….e ..la Psichedelia. Tra.. l’altro io ho avuto l’album perché qualcuno che conosce solo in parte i miei gusti musicali aveva ben pensato che mi sarebbe potuto interessare... Formatasi nel 2005 come “Jam Band”, la band non aveva ancora uno stile ben definito,sembravano gli Stray Cats sotto l’effetto di LSD. Certo sono ancora in cerca di un’Etichetta, situazione che li accomuna a tante altre band che come loro fanno musica eccellente; ma per quanto riguarda la produzione, con Kramer (Shockabilly), hanno fatto davvero un bel colpo. In Barbon, sentiamo lo “Shimmy”-Kramer anche al vibrafono.Nei loro pezzi, per lo più strumentali, la chitarra riesce chiaramente a tagliare l’aria psichedelica che soffia sui pezzi rock in stile Jam. Al contrario, in Fairies Wear White Shoes, il basso la fa da padrone. Gli Orange Beach alternano suoni più forti a suoni meno taglienti. La band non solo si muove con estrema sicurezza nello Jam psichedelico, ma in “Ernest’s Fear” mostrano di essere anche dei bravi Rocker. Exotic Thrills, caratterizzata da suoni progressive, ritrova la magica fusione tra chitarra e basso. I tre musicisti raramente si muovono individualmente: gli Assolo di chitarra sono sempre e solo intrecciati con il basso e la batteria. Questo trio è quasi inscindibile.Come purtroppo spesso accade c’è solo una cosa che può ostacolare la loro musica; e cioè il fatto di non avere un’Etichetta. La band è ancora alla ricerca, magari anche per potersi esibire dal vivo in una sorta di Tour. Di certo i ragazzi sono pronti a suonare dal vivo, e di sicuro incendieranno il palco e lasceranno i fans sudati ed incantati. Se per l’album vale la citazione:“Attenzione: l’ascolto di quest’album può portare dipendenza”, cosa succederebbe allora se suonassero dal vivo? ....
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The Orange Beach – Fuzz you! (Second Shimmy, 2010) Dopo quattro anni di attività con questa formazione, e una militanza pluridecennale con svariate altre formazioni post punk e hard rock della Campania, i The Orange Beach giungono finalmente a un ragionato quanto complesso disco d’esordio. Fuzz you!, tanto per cominciare, è stato prodotto, mixato e masterizzato da Kramer (musicista con Butthole Surfers, Shockabilly, B.A.LL., Bongwater, Ween, Half Japanese, John Zorn, GG Allin e chi più ne ha più ne metta, e già produttore, tra i tantissimi, di White Zombie, GWAR, Alice Donut, Daniel Johnston), e la cosa la dovrebbe dirla abbastanza lunga. Naturalmente non è un disco easy-listening, ma nel contempo non appartiene a quella categoria di full-lenght fruibili soltanto da una nicchia di appassionati. Garage, punk, jazz, influenze stoner e una certa vena psichedelica convivono felicemente in questo lavorone, che ricorda al sottoscritto le uscite SST della seconda metà degli anni ottanta. 14 pezzi 14, per lo più strumentali ma a tratti forieri anche di ottime linee cantate, per un insieme imprevedibilmente abbastanza omogeneo e orecchiabile, con impressione di continuum sonoro. Gli Orange Beach fanno tesoro delle loro origini come jam session band, e contemporaneamente scelgono di non tradirle mai del tutto, piantando – per quanto mi riguarda – un centro secco nel tabellone delle freccette. Consiglio spassionatamente l’acquisto di “Fuzz you!” (di cui – tra le altre cose – apprezzo molto l’artwork, minimale e pop al tempo stesso) a qualsiasi lettore della Lama che abbia già superato la fase adolescenziale.
[Simone]
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“Ween meets Stray Cats on LSD!”
E la definizione adatta a descrivere il nuovo lavoro della band campana, la fornisce direttamente il Kramer di Butthole Surfers, Ween e Half Japanese, membro aggiunto del gruppo per questo Fuzz You!, pubblicato dalla sua etichetta personale Second Shimmy. Disco che sarebbe sbagliato immaginare come una raccolta di folate Fuzz ad alto tasso elettrico, presenti eccome, ma filtrate da una sorta di ispirazione rockabilly, psichedelica e da soundscape di crime novel che rende il tutto altamente godibile e lisergicamente divertente. Una certa aria scombiccherata, dietro cui si cela grande professionalità, marchia a fondo Fuzz You!, dalle cavalcate dai riverberi post-punk di “I Talk To The Wine” sino al primo pezzo cantato, “Cwhawha”, scheggia di meno di un minuto. Break malinconico dai risvolti post-rock – e solo rock nel finale - con la splendida “Fairies Wear White Shoes”, assolate e folli incursioni in territori Calexico “Barbon” e “L’Abbaye De Thélème”, si insinua tra la polvere di un southern drogato “Ghost To Ghost”, mentre son muscoli garage in bella mostra “Ernest’s Fear” e “Exotic Thrills”. Con l’ironia a fare da guida, Fuzz You! porta a casa tutti i punti possibili e anche mezza stella in più.
A cura di: Giampaolo Cristofaro
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The Orange Beach
Fuzz You!
Second Shimmy
Fondati nel 2005, gli Orange Beach di Paolo Broccoli (chitarra), Agostino Pagliaro (voce e basso) e Maurizio Conte (batteria e percussioni) arrivano a pubblicare un album di debutto dopo aver accumulato un paio di demo e varie esperienze dal vivo. Registrato nel 2008, “Fuzz You!” può contare sulla produzione, sul mixaggio e sulla masterizzazione di Kramer, proprietario dell’etichetta Shimmy nonché leggendario musicista newyorkese alle prese nella sua carriera con Butthole Surfers, Ween, Fugs e John Zorn oppure già in cabina di regia per gente come Galaxie 500, Low, White Zombie, Will Oldham e Daniel Johnston, senza dimenticare la canzone “Girl, You’ll Be A Woman Soon” degli Urge Overkill, riportata in auge grazie a “Pulp Fiction”. Il trio campano opta per una spumeggiante, ruvida ed elettricissima miscela di post punk, rock’n’roll, psichedelia e immaginario da colonne sonore, tanto che l’idea di base è che ciascuna delle quattordici tracce in scaletta accompagni le scene di un ideale lungometraggio. Ci si divide così tra schegge estremamente concise a episodi più articolati, tra canzoni vere e proprie (l’impetuosa “Hey! Oh! Eh!” d’apertura, il pop schizoide di “C Wha Wha”) e coinvolgenti strumentali (l’irresistibile “BdS (Bar del sole)”, una “I Talk To The Wine” vagamente alla Calibro 35, una “Country Billy 2” che a dispetto del titolo evoca un garage passato sotto acido, le malinconie finemente cesellate di una “Fairies Wear White Shoes” che sembra sorridere nel titolo ai Black Sabbath, le trame surf-jazzy di “Barbon”). Divertimento di grande spessore.
Elena Raugei
------------------------------------------------------------------ The Orange Beach
Fuzz You!
Second Shimmy, 2010
Questo Fuzz You!, dei casertani Orange Beach è un disco di quelli che si possono senz’altro definire tosti e gagliardi. Un pugno di canzoni, per lo più strumentali, eccezion fatta per tre episodi in cui sentiamo la voce bella raschiata di Agostino Pagliaro (un’opzione da tener presente anche per il futuro, che ne dite?) darci dentro convinta.
E ci danno dentro anche gli altri due Orange Beach, ovvero Paolo Broccoli e la sua chitarra, e Maurizio Conte a batteria e percussioni: ci danno dentro a tal punto da far innamorare di loro Mark Kramer, produttore storico di band quali Low e Galaxie 500, oltre che membro in passato di Butthole Surfers e Ween, che li ha voluti non solo produrre, ma anche far incidere per la sua etichetta, oltre che suonarci di persona e collaborare agli arrangiamenti.
C’è da dire che Kramer ha fatto ottimamente il suo lavoro: il disco suona bello grezzo, senza fronzoli e diretto, rock’n’roll nel senso migliore dell’accezione, e quanto mai americano nei sapori e colori, ma per nulla banale e povero di soluzioni, e probabilmente il produttore ha saputo esaltare al meglio la componente musicale dei Nostri più vicina proprio a band come i Butthole Surfers o i Fugazi di End Hits, quelli in cui la furia dell’hardcore veniva coniugata a un maggiore eclettismo nella scrittura dei brani (si ascolti l’ultima eponima canzone), oltre che a una palese autoironia e a un clima da divertimento e spasso che effettivamente nelle 14 canzoni del disco appare chiaramente.
Da segnalare particolarmente I talk to the wine, con quella bella slide iniziale (la chitarra è chiaramente il principale protagonista melodico della band: ottimamente suonata, e con un suono molto interessante e curato, spigoloso e tagliente ma acido e riverberato come in un disco dei Fuzztones) e Quoque tu BMW, dove si armonizzano bene le componenti più furiose e quelle più psichedeliche della band (ottima la batteria qui), nonché le atmosfere da poliziesco USA di Country Billy e Barbon, e il momento più sospeso di Fairies wear white shoes (che poi diventa molto più rock, ricordando quasi le code improvvisate elettriche dei Pearl Jam) così come quello di L’abbaye de Thélème.
Manuel Lieta Leggi su Beat Bop a Lula
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Post punk band? Punkedelic band? Mah, porre etichette su un gruppo musicale oppure su un singolo artista è sempre esercizio difficile, e spesso rischia d’essere fuorviante se non deteriore. Allora l’unico modo per capire come suona una band oppure a quale filone eventualmente legarlo (se mai fosse comunque necessario) è ascoltare il lavoro prodotto e capire in quale direzione si muove il progetto artistico. E “Fuzz you!” rappresenta bene il suono di The Orange Beach, fatto di richiami a vari musicisti di estrazione U.S.A. (in primo luogo ci sovvengono i Dinosaur Jr. oppure i Sonic Youth seppure in versione meno sperimentale e rumorosa) con un orecchio attento a suoni morbidi e, al contempo, ruvidi (come è possibile ascoltare in Fairies wear white shoes dove la chitarra elettrica chiude in grande spolvero un brano di ampio respiro sonoro) oppure a ritmi più movimentati e duri, come accade in quasi tutto lo svolgimento dell’album. The Orange Beach, ancorché non essere un progetto legato alla canzone d’autore ma una rock band (e qui utilizziamo una deprecata etichetta) rocciosa e potente, è capace di produrre suoni torrenziali e caldi, ricchi di pathos e colori. Certamente l’originalità non è l’elemento di forza della band ma, sinceramente, il suono c’è, potente e presente, e per chi ama il genere l’ascolto di “Fuzz you!” darà le necessarie occasioni per soddisfare le proprie passioni perse tra memorie primi anni ’70 e sperimentazioni dei primi anni ’90, tra fumi di rock blues ed atmosfere simil-psichedeliche. Se a qualcuno piace (e sappiamo che così è), la qualità, comunque, non manca.
Rosario Pantaleo Leggi su L'Isola che non c'era
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Fuzz me?
Un vortice di spigoli post punk e chitarre quadrate che esplodono in composizioni quasi completamente strumentali cariche di fuzz e adrenalina.
Buon lavoro quello dei The Orange Beach, che lascia però un senso di incompiuto. Sarà l’assenza della voce, che in alcuni passaggi sarebbe calzata a pennello, sarà il suono scarno che talvolta risulta povero di carica, ma in tutto Fuzz You sembra mancare qualcosa. I quattordici brani, schegge di 3 minuti e via, paiono sempre sul punto di esplodere ma, tirando le somme, non lo fanno mai, perdendo l’occasione di catalizzare e rilasciare l’energia accumulata.
Una mezza occasione sprecata visto il potenziale, ma la strada è quella giusta
Stefano Fanti Leggi (se non ti sono cascate le palle) su Kronic
“Quoque tu BMW” The Orange Beach
DA “FUZZ YOU!”
Atmosfere ruvide, fumose e psichedeliche, il rock’n’roll che si sposa col blues, ma anche con distorsioni alla Sonic Youth e morbide dilatazioni space rock. La musica degli Orange Beach ha il colore del deserto ma nasce a Salerno ed è calda, appassionata e ricca di pathos. “Quoque tu BMW” è il biglietto da visita di una band da tenere d’occhio.
Questa invece era un nota inserita dalla redazione di Rockstar come presentazione del brano quoque tu Bmw? che è stato inserito nella compilation A Buzz Supreme 2009 .La compilation è stata scaricata più o meno 20.000 volte sui siti di XL,Mucchio,Italiian Embassy,Mtv.it e altri che non mi ricordo.
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