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Intervista a Christian Meyer
Intervista a Christian Meyer
di [user #16140] - pubblicato il

Riuscire a catturare il pubblico con il proprio drumming, è quanto di meglio possa desiderare un batterista. Se al drumming di qualità si affianca una personalità travolgente, iniziamo a sconfinare nel mondo degli esseri mitologici. In tanti lo conoscono come il batterista degli Elio e Le Storie Tese, in pochi conoscono però il percorso che lo ha portato a essere uno dei batteristi attualmente più apprezzati. Lui è Christian Meyer. Gli abbiamo rivolto qualche domanda con lo scopo di approfondire la sua conoscenza.
Riuscire a catturare il pubblico con il proprio drumming, è quanto di meglio possa desiderare un batterista. Se al drumming di qualità si affianca una personalità travolgente, iniziamo a sconfinare nel mondo degli esseri mitologici. In tanti lo conoscono come il batterista degli Elio e Le Storie Tese, in pochi conoscono però il percorso che lo ha portato a essere uno dei batteristi attualmente più apprezzati. Lui è Christian Meyer. Gli abbiamo rivolto qualche domanda con lo scopo di approfondire la sua conoscenza.

Gabriele Bianco - Come ti sei avvicinato alla batteria?
Christian Meyer - Il fulmine che ha fatto nascere in me questa passione, è stata la visione - ancora stampata nella mia mente - di una batteria Slingerland madreperla azzurra. Era il '68 al Grouse Club di Milano, la suonava Remi Ettore nella Original Lambro Jazz Band con mio padre alla tromba. A cinque anni ho quindi avuto i primi contatti con la musica dal vivo, semplicemente giravo e giocavo tra i tavoli, osservare quella batteria era come vedere il Duomo di Milano. Mi si è accesa la lampadina dentro. Da quel momento in poi ho iniziato a imitare il batterista. Successivamente sono arrivate le prime batterie, da quella giocattolo a quelle semi-professionali che mi regalava mio padre volta per volta.

La Original Lambro Jazz Band, era una delle band trainanti del dopo guerra nell'ambito del Jazz in Italia. In quel periodo il Jazz era comunque la musica dei giovani. Riempivano i teatri, lavoravano come dei pazzi fin quando il Jazz ha iniziato a decadere (fine anni '50 inizio '60) soppiantato dal Rock'n'Roll. E' arrivato Elvis che ha dato un nuovo giro di vite con le nuove generazioni mandando il Jazz per le masse in pensione.

GB - Hai utilizzato set tradizionali modificandone nel tempo la configurazione, tra questi il Yamaha Junior Kit (Manù Katchè) sino ad arrivare al set che utilizzi attualmente. Cosa influisce sulla configurazione del tuo set (suono ricercato, praticità...)?
CM - Per quanto riguarda le performance nei club, quindi con i miei gruppi, porto la mia batteria. Una cosa fondamentale, è che la batteria sia piccola e che suoni bene. Per quanto riguarda i grandi palchi invece (EeLST) la cosa è differente. In quel caso, ho una carissima persona (Gianmaria Offredi) che con grande professionalità si occupa di montare il mio set alla perfezione. In queste occasioni, modifico il mio set in base alle esigenze musicali del gruppo. Per esempio, ne "La canzone Mononota" (pezzo che abbiamo portato a Sanremo) c'è una piccola parte in cui in fase di registrazione ho usato due Hi-hat, così l’ho montato anche sul mio set live. In linea generale utilizzo comunque il solito set e lo modifico solo quando c'è qualche esigenza musicale degli EeLST.

Intervista a Christian Meyer

GB - Hai una particolare routine di studio, o varia a seconda della situazione?

CM - Premetto che non studio più da tantissimo tempo, direi da 5 o 6 anni. Un po' anche perché non avevo il posto o la batteria a disposizione. Mi esercitavo quindi su di una batteria elettronica Yamaha DTX addirittura tenuta spenta, solo per mantenere la tecnica in azione e sentirmi a mio agio con le bacchette. Ora ho un posto e ho avuto una sponsorizzazione fantastica della quale sono gasatissimo con la B-Bang, che è un distaccamento della Boxyn Lab i quali, anche su mio suggerimento, hanno realizzato un box insonorizzato molto economico: il B-Ear.
Box che può essere raggiungibile, in termini economici, anche da un ragazzo senza tanti soldi. Insomma, se devi suonare la batteria e per un box vai a spendere oltre 8000 euro e rischi di non realizzare il tuo sogno, direi che non va bene. Per cui ho chiesto di realizzare un box che costasse molto poco e che non superasse i 3500/4000 euro. Ora siamo arrivati a un prototipo che verrà presentato a breve in fiera a giugno 2013. Un anno fa mi è arrivato il prototipo, l'ho messo in garage e da allora ho ripreso a provare sullo strumento.

Rispondo quindi alla tua domanda. Non studio più, ma ho il tempo limitatissimo di ripassare i brani o studiare brani di repertorio che andrò a fare. Questo già mi toglie tutto il tempo per studiare. Sono assolutamente stupito dinnanzi a gente come Dave Weckl che migliora studiando di anno in anno. Non capisco dove vadano a trovare le risorse, visto che sono costantemente in giro per il mondo.

GB - Quali sono le cose su cui hai investito più tempo in fase di studio dello strumento?
CM - Ho passato almeno cinque o sei anni a registrarmi con un Tascam Porta One a cassetta a quattro tracce. Avevo comprato, tra i 23 anni sino ai 33 anni, tutti i Minus One in commercio. Ho microfonato la batteria e mi sono messo a suonarli tutti, giorno dopo giorno, pomeriggio dopo pomeriggio, incidendo sopra la mia parte di batteria che poi andavo a risentire in macchina.

Praticamente riuscivo a registrare col mio Tascam, una cassetta C90 al giorno. Quando finivo le mie tre o quattro ore di suonata in cantina, andavo in macchina e mi riascoltavo facendo mente locale e valutando in modo critico il tiro, groove, precisione (alla quale tengo tanto) alla ricerca di cose nuove. Scoprivo che ciò che al momento pareva bello, poi in ascolto non era convincente (e viceversa). Questo è stato probabilmente il mio grande lavoro dal punto di vista dello studio, che è però venuto dopo rispetto al lavoro che ho fatto verso gli 11 anni, più mirato alla tecnica e alla lettura.

Intervista a Christian Meyer

GB - Hai degli esercizi da consigliare che suggerisci in particolare per incrementare controllo, relax e dinamica sulle mani?
CM - Sinceramente non ho un esercizio in particolare, posso dirti quello che faccio prima di suonare. Eseguo delle figure di press roll con degli accenti. E' come se scandissi un solfeggio sincopato tra mano destra e mano sinistra, tutto pressato. Questo tipo di esercizio è molto faticoso per le mani. Così nel giro di tre o quattro minuti, ho le mani che fumano. Quindi mi riposo un minuto, poi riprendo per altri tre e quando termino, sento la sensazione di relax vero. Sento che le mani sono pronte per poter gestire il concerto al meglio sul palco. Infatti in questo tour Elio iniziamo a freddo con il velocissimo "Super Giovane".

GB - Come nasce - in generale - una tua parte di batteria?
CM - Per quanto riguarda il Trio Bobo sono inventore al 100%. Invento i groove a casa mia con uno Zoom Q3 e cerco di capire se sono interessanti o no.
Con Elio, il processo è molto più complesso, lavoriamo in democrazia con dei compromessi. Sia le mie idee che quelle degli altri vengono filtrate dal gruppo, un giudizio unanime di tutti.

Probabilmente il vero miracolo degli EeLST, è proprio il compromesso che si trova tra di noi. Questo compromesso fa venire fuori un ibrido che risulta l'aspetto interessante di un gruppo. Il compromesso crea poi l'identità e originalità. Spesso arrivo in studio dove ci sono già dei provini con delle batterie messe come appunto. Se i provini sono stati ascoltati per un anno, è difficile che poi verranno modificati troppo.

Questo è accaduto con "L'album Biango", dove ho dato poco apporto alla modifica dei groove di base. Tra l’altro ci sono quattro pezzi in cui non suono io. Tre sono stati suonati dal vecchio batterista del gruppo (Curt Cress) perché dopo venti avevano il piacere di riaverlo. Faso invece ha suonato la batteria nel brano "Il ritmo della sala prove". Lui è un bravissimo batterista e tra l'altro è riuscito a dare un bel tiro al pezzo.

GB - Che rapporto ha la tecnica e la musicalità nella scelta dei tuoi fill?

CM - Un rapporto diretto. La tecnica l'ho imparata da ragazzino e rispetto a quella esagerata dei batteristi di oggi come Donati, Lang, sono molto inferiore. L’ho imparata studiando su batteristi tipo Buddy Rich e Louis Belson, i bianchi di quel periodo.

GB - I fill che suoni con gli EelST sono fill che costruisci in fase di arrangiamento oppure li improvvisi volta per volta?
CM - Quando suono un fill, la tecnica è dimenticata, non penso a cosa devo fare, è un momento di pura improvvisazione, metto le mani a caso sullo strumento, naturalmente spinto da automatismi e pattern miei. Spesso mi trovo a suonare con diteggiature insolite e per uscirne creo qualche cosa di particolare. E' un po' come il freestyle dei rapper che inventano in tempo reale.

Intervista a Christian Meyer

GB - Dal Jazz più profondo sino agli Elii che - per quanto siano dei grandissimi artisti - non sono proprio un gruppo Jazz. Come è avvenuto il tuo ingresso nel gruppo?
CM - E' avvenuto per conoscenza e amicizie tra ragazzi. Nel mio caso l'amico in questione era Faso, che tra l'altro adoravo, perché lui era un seguace di Jaco Pastorius. Aveva 15 anni e suonava da dio. Io, in quanto seguace di Erskine e Gadd, andavo a nozze con lui. Dopo qualche anno ci siamo persi di vista. Lui ha iniziato la sua carriera pseudo-pop con gli EeLST, io ho iniziato una carriera nel Jazz iniziando a suonare al Capolinea tutti i sabato.

Per 10 anni ho fatto solo Jazz e pensavo di fare solo quello, pur non disdegnando gli altri generi musicali. Faso dopo aver parlato molto bene di me, ha convinto gli EeLST a provarmi. Sicuramente sarà stato faticoso per loro dover mediare. Ero una mina vagante, in libertà, troppa libertà. Nel Rock e nel Pop, l'atteggiamento è quello di tenere bene il tempo - cosa che a quei tempi io non facevo per niente - ed essere incisivi e continui in un groove.
Invece io ero molto improvvisatore. Lo stesso brano non era mai suonato in modo uguale. Devo essere stato abbastanza impegnativo per loro nei primi tre o quattro anni. Sostanzialmente penso che mi abbiano sopportato intravvedendo il mio margine di miglioramento.

Oggi mi riscopro molto meno jazzista di una volta. Sono diventato precisino e metodico nelle esecuzioni. Quando suono dal vivo rifaccio gli stessi identici fill del CD e in questo non mi riconosco, perché per me da ragazzo ripetere uno stesso fill, sarebbe stato la tomba della musicalità. Invece ora preferisco sapere bene tutto, mi piace studiare i pezzi prima, non mi va di salire sul palco se prima non ho provato i pezzi bene, non me la sento più di improvvisare una Jam se prima non so con chi suono.
Sono diventato rigoroso, mi sono ritrovato diverso da come pensavo di essere. Per tutto ciò devo ringraziare gli Elii che tra il 1990 e il 2000 mi hanno fatto fare passi in avanti.

Da un lato magari ho perso in inventiva, dall'altro ho guadagnato nell'essere più ipnotico quando suono. Non voglio più suonare tanto, voglio suonare poco e voglio fare cose semplici. Quando mi riascolto e sento un fill semplicissimo (per intenderci alla John Robinson o Steve Ferrone) sono più soddisfatto.

Oggi come oggi mi sento pochissimo inventore e jazzista.Vedo molto più Jazz in Elio, che sale sul palco e improvvisa delle cose. Parla con la gente e improvvisa, quando canta e non si ricorda le parole, improvvisa un'altra cosa. Elio viene dai Led Zeppelin e da generi in cui la musica viene suonata con una certa attenzione ma vedo tanto Jazz in Elio e in altri componenti del gruppo. Per esempio Faso ogni sera inventa una linea di basso differente sullo stesso brano. Lui è un vero jazzman.

GB - Quanto del jazz riesci a portare nel pop/rock e quanto del pop/rock riesci a portare nel jazz?
CM - direi 70% di Pop/Rock nel Jazz e 20% di Jazz nel Pop/Rock.

GB - Che peso dai al suono prodotto dalla tua batteria (scelta dei legni, accordatura, microfonazione...)?
CM - Poco peso, perché di fatto non sono uno specialista di legni, non sono uno specialista di pelli, non sono uno specialista di accordatura e quindi è tutto un compromesso che faccio con me stesso. Non essendo molto bravo in questo, prendo la batteria, provo delle pelli - che solitamente sono monostrato o al massimo doppio - le monto sulla batteria e vedo se il suono è migliore più con un tipo di pelle o con l'altra.
Per farti un esempio, la Manu Katché è una batteria per bambini con dei legni non pregiati, non suona tantissimo, se gli metti una pelle monostrato tende a essere poco sonora, invece con una pelle doppio strato, per esempio una G2 Evans Clear sui tamburi, viene un bel suono di batteria che è all'altezza - diciamo - di una Maple Custom professionale. Lavoro in questo senso, mi faccio condurre prevalentemente dal suono.

Le pelli fanno tanto, una batteria. Con le pelli usate, distrutte, per quanto possa essere la più bella Yamaha del mondo, suona comunque male. Quando chiedo delle batterie per fare dei seminari dico, datemi qualsiasi Yamaha, qualsiasi modello, basta che mi portiate delle Evans G1 sabbiate nuove e so che suonerò felice.

Intervista a Christian Meyer

GB - Quali sono i batteristi che maggiormente hanno influito sul tuo stile?
CM - Penso Gene Krupa, Buddy Rich, Max Roach e Philly Joe Jones, perché li ho ascoltati tantissimo. Questo per quanto riguarda la prima fase della mia vita. Nella seconda fase della mia vita, ho ascoltato invece tantissimo Billy Cobham, Steve Gadd e Dave Weckl. Ho tirato giù molti loro pattern, ma poi mi sono disintossicato per cercare delle cose mie. Proprio grazie all'utilizzo del registratore ho lavorato su idee e pattern miei.

GB - Che ricordo hai di Enrico Lucchini?
CM - E' il ricordo di un maestro per tutti, una specie di guru. Dico un guru perché aveva una forte personalità carismatica, tutti pendevano dalle sue labbra, sia i ragazzini come me che andavano li sfrontati a fare vedere quanto erano bravi (e poi venivano cazziati), sia quelli più adulti che già suonavano professionalmente, ma anche quelli che lo facevano come hobby.

Da Enrico Lucchini sono passati tantissimi batteristi, anche batteristi che non hanno mai fatto la professione. C'era un'ammirazione generale per le cose che venivamo dette da lui in aula, perché sembravano perle di saggezza. Nella realtà lo sono state solo in alcuni casi e in altri no perché anche lui aveva i suoi eroi. Quando era nella fase Elvin Jones, non accettava più batteristi come Rich e magari entrava in conflitto con alcuni di noi.

Interessante era quando ci insegnava il ruolo del batterista nel gruppo. Per esempio accompagnare senza disturbare il solista, oppure non suonare fra un brano e l’altro. Ci diceva "Stai sotto e dai tiro e non fare overplaying, suona con le dinamiche, sei tu che dai la dinamica e devi cercare di non distruggere il volume di un gruppo". Questi consigli venivano dispensati con una tale forza davanti a tutti gli allievi che divenivano delle massime. I suoi consigli erano scolpiti nella pietra.

Intervista a Christian Meyer

GB - Oltre al tuo impegno con gli EelST, segui altri progetti, tra questi il Trio Bobo e la Drummeria. Come sono nati questi progetti?
CM - Il Trio Bobo nasce sulle ceneri di gruppi precedenti con i quali mi esibivo spesso a Milano in un locale chiamato Tangram che era gestito dal famoso Gianni che purtroppo quest'anno ci ha lasciati. E' stato un grande dispiacere per tutti noi musicisti che abbiamo vissuto quel periodo. Il Tangram ci ha dato possibilità di esprimerci da ragazzi, ti parlo del periodo in cui avevo tra 25 e 35 anni circa.
Con Faso ho sempre suonato sperimentando delle band. Avevamo un gruppo chiamato "Energia Pura", ci divertivamo suonando le hit della fusion di quei tempi. A faso piaceva molto Db Waltz dei Weather Report, io invece portavo dei brani di David Sanborn e mi gasavo con Steve Jordan volendo suonare dei groove in quel modo. Avevamo anche i fiati.

Devo dire che ci siamo sbattuti tanto, infatti andavamo il primo pomeriggio (alle due) al Tangram per fare i suoni al meglio, microfonavamo tutto noi, mi portavo delle luci da casa per fare l'ambiente sul palco. Erano le prove generali del modo con cui suoniamo oggi con Elio. Per esempio, Faso una volta era più statico e ora balla con il basso.

Poi a un certo punto è partito il Trio Bobo. L'idea era quella di andare in giro snelli (in tre tutto è più semplice) con un power trio con il quale suonare brani complessi, ma sempre con una certa libertà di espressione e improvvisazione (ecco il Jazz che torna). La scelta è caduta su Alessio Menconi che è un chitarrista fenomenale di Genova. Lui suona tutto e conosce molto bene George Benson, Larry Carlton, Jimmy Page, J. Hendrix, John McLaughlin. John Scofield ecc ecc.
Li ha studiati e li imita molto bene, cosa che nessun ragazzo di oggi fa. E’ triste, ma nel nord Italia non c’è un chitarrista giovane che possa suonare con noi. Impoverimento culturale?

La Drummeria è invece nata per ricordare Enrico Lucchini. Alla sua morte, Paolo Pellegatti - che è stato un suo grande allievo - ha voluto ricordarlo. Per cui ha chiamato tutti i suoi ex allievi proponendo una serata in sua memoria. Cercando di capire come impostare la serata, la scelta è ricaduta sul rifacimento del trio di Enrico Lucchini nel quale suonava anche lo stesso Paolo Pellegatti con il grande Beppe Sciuto. Avevano un trio di batterie col quale facevano degli assoli all'unisono presi dallo storico Dante Agostini. Ci siamo detti: “perché non facciamo una cosa del genere, ma estesa a quattro, cinque batteristi?”
Durante il concerto ci siamo resi conto che queste piccole invenzioni che avevamo fatto con le batterie, avevano un grandissimo impatto sulla gente. Ci siamo resi conto di avere in mano qualche cosa di diverso. Non esiste nel mondo un gruppo composto da cinque batteristi di un certo livello che fanno una cosa simile.
Qui si tratta di cinque personalità diverse con caratteri difficili e questa diversità crea una forza di comunicazione unica. Ogni tanto viene fuori la zampata musicale di ciascuno. Secondo me un gruppo deve avere estro. Non puoi solo essere un esecutore di cose difficili, deve anche esserci qualche cosa che emoziona. Le dinamiche sono fondamentali.

Intervista a Christian Meyer

GB - Suppongo a questo punto che tu abbia più spazio di improvvisazione con il Trio Bobo piuttosto che con la Drummeria.
CM - Esatto, con il Trio Bobo ogni sera attacco i brani alla velocità che mi sento, modifico delle cose e, in maniera estemporanea, Faso mi segue sempre, perché lui ha una grande capacità di elaborare delle linee di basso differenti sulla base di quello che io suono al momento. Siamo molto liberi.
Con Elio invece ho il metronomo per attaccare i pezzi tutti alla stessa velocità e poi eseguo con con molta attenzione il brano senza cambiare una virgola dell’arrangiamento ritmico.
 
GB - Cosa dobbiamo aspettarci musicalmente e soprattutto batteristicamente da "L'album Biango"?
CM - Mah, dal punto di vista della musica, penso che ci sia dell'ottima musica varia, perché la capacità degli EeLST è quella di toccare diversi generi musicali, anche se magari questa volta manca il brano progressive.
Dal punto di vista batteristico, niente di eclatante, perché le mie parti di batteria - ripeto - sono delle parti abbastanza semplici, non volevo imporre la mia firma stravolgendo i provini. Ho voluto lavorare sull’originalità dei suoni di batteria.
Per esempio, gli Elii prediligono che io suoni dei tom molto grossi (12", 13" 16"), invece io sono nella direzione opposta, ho preso un tom da 10" come primo tom, come secondo uno da 8" e un timpano da 16". Questa cosa ha fatto in modo che poi nei fill ci fosse più personalità.
Ascoltate la intro di "Enlarge (Your Penis)". Per registrare ho usato la Yamaha Oak Custom con la Croce Svizzera, ormai in pensione nel magazzino.
Ho inoltre voluto utilizzare il mio rullante signature marine pearl per tutti i brani, modificando a seconda del caso l'accordatura visto che ha la versatilità per farlo. Per ogni brano c'è un suono diverso.

Intervista a Christian Meyer

GB - In studio usi qualche accorgimento particolare?
CM - Ho usato un secondo Hi-hat chiuso montato vicino al principale. Faso ha invece registrato il pezzo "Il ritmo della sala prove" mettendo una coperta sulla batteria facendola diventare la tipica batteria delle sale prova, con la gommapiuma nei tom.

GB - Qual'è a tuo avviso la caratteristica che fa di un batterista un buon batterista?
CM - Io dico che a parte il fatto basilare di avere un buon timing, e questo non si discute, quello che a me piace è il gusto (dinamiche, idee). Per esempio, mi sgaso all'ascolto di alcuni pezzi Pop in cui le batterie sono tutte suonate uguali e non si capisce se è suonata da una persona o da un computer.

GB - Cosa è cambiato nel Christian Meyer che calcava i primi palchi, sino a quello di oggi?
CM - Credo di essere diventato molto meticoloso e insicuro. Voglio più certezze quando vado a suonare. Quando mi chiamano per fare un concerto voglio sapere e studiare i brani prima. Una volta, a vent'anni, squillava il telefono e partivo senza sapere niente, giusto il luogo nel quale suonare. Ora ho necessità di avere le mie sicurezze per sentirmi a mio agio. Non so sinceramente se questo sia un bene o un male.

GB - Oltre alla batteria, hai una grande passione per la bicicletta e il trial. Come sono nate queste due passioni?
CM - La bicicletta l'ho sempre avuta. Passavo le estati in campagna in Piemonte dai miei nonni e facevo tre mesi di bicicletta. Sono nato con la bicicletta sotto il sedere, salire e scendere gli sterrati, quindi il fuoristrada mi è sempre piaciuto e qui mi lego alla mountain bike, perché da quando è arrivata la mountain bike nei primi anni '90, l'ho subito presa perché mi piaceva l'idea di andare nella natura con una bicicletta speciale e concepita per quello scopo.
Da li poi la moto. Mio padre, grande appassionato di moto, da giovane aveva una BMW e facevamo vacanze all'Isola d'Elba e in Sardegna sempre in moto. Amo la moto nella natura e in posti assurdi.

Tanto per farti un esempio, ieri sono andato a incidere un disco a Genova e mi sono portato la moto in macchina. Ho finito l'incisione, ho dormito a Genova e invece di rientrare verso Milano, sono andato a fare un giro sulle montagne dietro Genova, nel nulla. Per me è il massimo andare in moto per questi sentieri molto ripidi e difficili che si inerpicano sulle montagne liguri. Salire su sentieri ripidi è come ascoltare Giant Steps di Coltrane.
La moto Trial è diventata negli ultimi 15 anni la mia valvola di sfogo migliore. Nel giro di tre ore posso essere in cima alla montagna, con la mountain bike non lo posso fare, mi servirebbe una giornata intera di vacanza e io non l'ho quasi mai, ho solo ore libere.

Intervista a Christian Meyer

GB - Come mai nelle apparizioni nelle varie trasmissioni televisive/radiofoniche non ti si vede insieme al resto del gruppo?
CM - La risposta è semplice. Io sono entrato negli EeLST quando avevano già consolidato il gruppo e avevano già costituito una società di quattro persone: Cesareo, Faso, Elio e Rocco Tanica. Sono entrato come freelance e alla fine sono rimasto come freelance benché la mia immagine nel gruppo sia consolidata da tempo.

Ci sono i pro e i contro. Non fare Cordialmente su Radio Deejay che va avanti da venti anni ogni lunedì, mi ha dato libertà per dedicarmi ai miei progetti musicali (clinics e gruppi). Però paragonato a loro, in radio sono un lattante.
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