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Tone Bender MKIII: Germanio leggendario
Tone Bender MKIII: Germanio leggendario
di [user #16167] - pubblicato il

Quando capita di avere tra le mani un pedale come il Tone Bender non bisogna lasciarselo sfuggire. Noi non lo abbiamo fatto ed ecco una recensione che ci porta un po’ indietro nel tempo, ma che sappiamo apprezzerete.
La storia del Tone Bender comincia nel 1965, quando Gary Stewart Hurst (presenza fissa ormai alle nostre manifestazioni) decise, sotto la spinta di Vic Flick (quello del celebre theme di James Bond) che aveva bisogno di migliorare il sustain del suo Gibson Maestro Fuzz Tone. Non ci dilungheremo oltre sulla storia che potete trovare raccontata in lungo e in largo sia qui che su altre pagine.

Lo chassis di metallo della versione che abbiamo sotto i piedi oggi è quello di un MKIII, la prima versione in ordine cronologico a dotarsi di un controllo di tono, oltre ai classici volume e fuzz presenti fin dai primi modelli montati in scatole di legno e metallo.

La grafica è squisitamente vintage e fa il paio con le scritte instrument/amplifier e volume e Treble/Bass, altrettanto semplici e intuitive da utilizzare. Il Sola Sound, nonostante le dimensioni, non ha un peso esagerato, certo non è una piuma, ma nemmeno un mattone. Il circuito con triplo transistor e diodo al germanio naviga in un’ampio spazio, che avrebbe potuto essere minore, ma va bene così.

Basta con le parole, premiamo il tasto di accensione (pre-set button se vogliamo essere precisi) e scuotiamo un po’ le valvole della Marshall, quasi coetanea. Fuzz e Plexi creano una delle accoppiate forse più intriganti di tutta la gamma di suoni creati nella storia del rock. 

Tone Bender MKIII: Germanio leggendario

Il Tone Bender è un pedale che si riconosce al primo colpo. Già con il controllo di gain al minimo raggiunge subito sonorità che son già lontane da qualsiasi definizione di clean, ma anche di crunch. L’incremento di volume non è eccessivo, ma si può pompare parecchio con il controllo a disposizione fino a far letteralmente invocare pietà ai coni della 4x12. Non vogliamo affettarci i timpani (le medie belle squadrate diventano subito delle vere e proprie asce affiltissime). Viceversa se si chiude quello della chitarra il Bender diventa più garbato. Certo, il suono continua a scoppiettare animatamente, ma la parte dry del segnale, il suono dello strumento, si percepisce con maggior decisione. Questa è una delle caratteristiche più intriganti del Sola Sound, quando si inizia a giocare con la dinamica ed inizia a emergere il timbro della sei corde che si sta imbracciando, il risultato non delude mai.

Resta però un fuzz e, quando si ruota il controllo del gain le valvole iniziano a temere per la loro sopravvivenza. Scordiamoci il segnale dry, quello che esce è un sound compatto, squadrato e potente. Un sound in grado di rendere aggressiva al massimo anche la più docile selle Strat. Con un single coil al manico si compie una vera e propria magia. La rotondità delle basse catturate dal magnete si trasformano in energia sotto forma di onde quadre, insomma una goduria.


Se amate i fuzz in grado di trasformarsi da docili overdrive in macchine da wall of sound, il Tone Bender è uno dei migliori. Certo, non è più in commercio in questa versione, ma i cloni e le rivisitazioni spopolano. A breve testeremo un Formula B e un Mendoza ispirati a questo leggendario scatolotto, ci sarà da divertirsi. 
effetti e processori sola sound tone bender
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