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Gary Clark Jr e la chiesa riportata al centro del villaggio
Gary Clark Jr e la chiesa riportata al centro del villaggio
di [user #44585] - pubblicato il

La scena del blues nero è pronta a riconquistare il posto che gli spetta grazie a un ritorno alle origini da parte di musicisti come Gary Clark Jr, giovane promessa della chitarra elettrica e della musica afroamericana che conduce una scia stilistica tutta da ascoltare.
Sono molto diffidente a chi mi parla di artisti blues nel 2016, che siano amici,  parenti, testate giornalistiche o musicisti stessi colonne portanti del genere in un'epoca d'oro. La delusione provocata da personaggi quali John Mayer o Joe Bonamassa è difatti ancora bruciante e rinnovata dall’uscita ogni sei mesi di un nuovo nome destinato, secondo i più, a salvare le sorti di questa musica.
Mettiamo in chiaro subito una cosa: questa musica non deve essere salvata. Il blues è una certezza, come la morte e come il fatto che prima o poi nella vita di tutti capita di innamorarsi di qualcuno, lo è stato dai primi del 1900 e lo sarà fino alla fine dei tempi. Questo a un livello meramente romantico e poetico, se parliamo di una questione commerciale e allora il problema si complica e produce "fenomeni" quali i due citati sopra. Ma sembra che da qualche tempo un artista stia rompendo questa routine.

Gary Clark Jr e la chiesa riportata al centro del villaggio

Gary Clark Jr è nato nel 1984 ad Austin, Texas, città e Stato che hanno dato i natali alla stragrande maggioranza delle leggende del blues. Il piccolo Gary è afroamericano ma, piuttosto che buttarsi a capofitto nel rap e nell’hip hop (che comunque apprezza), ascolta blues, jazz, funk e la musica della "sua gente", quella che molti afroamericani continuano tutt'oggi a snobbare ed evitare.
Qui ci sarebbe da aprire un altro capitolo su come in realtà adesso le cose stiano cambiando anche grazie al capolavoro di Kendrick Lamar "To Pimp A Butterfly" ma insomma è innegabile che gli afroamericani dagli anni '60 in poi abbiano cominciato progressivamente ad allontanarsi dalle loro radici musicali, in parallelo con le lotte contro la segregazione razziale. È impossibile o quasi infatti immaginare un membro delle Black Panther che abbia voglia di ascoltare qualcuno che faceva musica da schiavo nelle piantagioni, che parlava delle brutalità subite dai padroni bianchi in modo quasi passivo.
Fortunatamente di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia (ma ancora non abbastanza come dimostrato da recenti avvenimenti) e Gary non si lascia frenare da questi brutti ricordi. Già da ragazzino suona nei locali di tutto lo Stato, fin quando viene notato dal produttore Clifford Antone che fu colui che portò alla ribalta un certo Stevie Ray Vaughan.
Grazie a questo importante sponsor, il suo nome gira sempre di più e comincia a collaborare e apparire live insieme ai nomi più importanti della scena, quali Clapton, il compianto BB King, Rolling Stones, Buddy Guy, Sheryl Crow e tanti altri.
Il primo album esce nel 2004 ma quello che comincia a farlo veramente conoscere è Blak and Blu del 2012, che arriva nella sesta posizione della Billboard 200 americana e alla prima nella blues album chart.

Il blues e più nel particolare la black music avevano bisogno da tempo di questo artista. I suoi album sono un misto soprattutto di blues e soul, ma anche funk e rock and roll, il tutto con una produzione moderna che incuriosisce e si lascia ascoltare anche da chi non è pratico di questi generi. A dimostrazione della presenza e del peso di Gary in ambienti smaccatamente pop, gira su YouTube l'esibizione mozzafiato al fianco di Ed Sheeran e Beyoncé, in un mash up di canzoni tributo a Stevie Wonder, da non perdere.


Come per tutti i musicisti blues (in particolare chitarristi), però il battesimo di fuoco, il vero elemento che misura il talento e che fornisce credibilità, è il palco. E Gary Clark Jr. non delude nemmeno un po', ascoltare l’album Live uscito nel 2014 per crederci.
Reinterpreta i classici del genere con la naturalezza di pochi, riuscendo a donargli il suo spirito, a farli propri. In ciò è indubbiamente aiutato da uno stile molto particolare.
Se si pensa ai giganti di questa musica si può notare infatti come esista una linea diretta fra la loro voce e la loro chitarra. BB King aveva una voce calda, profonda e avvolgente così come le poche note centellinate che regalava, Eric Clapton ha uno stile vocale e chitarristico mai sopra le righe, con tutte le note al posto giusto, tutto con moderazione, Robert Johnson aveva una voce tagliente e che trasmetteva emozioni con improvvise impennate e cadute proprio come la sua chitarra, Stevie Ray Vaughan era esuberante e muscolare sia sullo strumento sia quando cantava e così via. Questa corrispondenza bipolare è assente nel nostro Gary. La sua voce è delicata ed educata, molto più vicina al soul che ai canoni blues, a tratti ricorda Marvin Gaye come nel falsetto di "Cold Blooded" dal suo ultimo album The Story of Sonny Boy Slim. Sulla chitarra invece avviene una trasformazione radicale, con un suono sporco, spesso pieno di fuzz e distorsioni quasi estreme e molto compresse. Non è un virtuoso e non fa niente per convincerci del contrario, ma al contempo ogni nota regala un emozione diversa, spesso il fraseggio è quasi faticoso, stoppato, ogni tirata di corda ci fa rizzare i peli come se si dovesse rompere da un momento all’altro. Nei momenti più concitati ricorda quasi il Jack White delle origini. All’inizio questa mancata simmetria fra i due momenti esecutivi lascia un po’ straniti, sembra quasi di ascoltare un cantante e un chitarrista diversi che si alternano, ma poi ci prende e affascina ancora di più.

Gary Clark Jr e la chiesa riportata al centro del villaggio

A partire da quando il "fenomeno" Gary Clark Jr è esploso in America, ovvero dai primi anni 2000, sempre più artisti afroamericani hanno riscoperto le loro origini e le stanno reinterpretando in modo assolutamente creativo e fresco. Basti pensare a quattro album usciti tutti nel solo 2015, il già citato To Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar, il jazz ultra moderno di Kamasi Washington con il suo The Epic, il neo-soul di Leon Bridges in Coming Home e proprio Gary Clark Jr con The Story of Sonny Boy Williamson.
La speranza è che album di tale portata e bellezza continuino a uscire e che questo sia solo l’inizio, che finalmente la popolazione afroamericana si riappropri del suo sterminato e meraviglioso patrimonio musicale tornando a innovare e a condurre una generazione di musicisti e ascoltatori alla scoperta di blues, soul, funk, jazz, i generi senza il quale niente o quasi di tutto ciò che ascoltiamo sarebbe possibile.
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