Poniamo il caso di un distributore che per costruire interesse su un nuovo strumento acquista pubblicità su Facebook. La scelta appare economica e produttiva, anche grazie ai furbissimi grafici di Facebook che mostrano sempre engagement da sogno presso il target selezionato, sempre suggerendo di spendere qualcosa in più per avere risultati ancora più strabilianti. La piccola audience organica in essere ha un’immediata crescita verticale grazie all’inserzione (sulla qualità di questa crescita diremo nella prossima puntata).
All'inserzionista sfugge però che c’è “click” e “click”. Quello a pagamento è pressoché improduttivo in termini di conversione, mentre quello proveniente dalla piccola percentuale di utenti organici (persone reali, che lo conoscono, clienti in essere o potenziali) è una manna per Facebook, che arricchisce il suo database profilato. Da quel momento l’utente riceverà a raffica proposte di acquisto dello stesso prodotto, ma pubblicate da un inserzionista che su quella keyword ha investito cifre importanti e fa guerrilla marketing sui prezzi. Capito chi? Esatto: i grandi marketplace stranieri, in concorrenza con gli operatori nazionali. Ricorda: ogni centesimo investito su un social fornisce al social stesso informazioni preziose per la profilazione, informazioni che il social venderà a chi offre di più.
Stesso discorso per i negozi che pubblicano post in cui annunciano orgogliosamente un nuovo strumento in vendita. I loro clienti e amici che cliccano “like” vengono inseriti nel database del social e da quel momento riceveranno proposte di acquisto a prezzi aggressivi, impossibili da eguagliare per una piccola azienda.
In sintesi: investire budget relativamente contenuti sui social significa dare informazioni sui propri clienti ai social a vantaggio dei grandi marketplace internazionali che grazie a quelle informazioni possono sottrarre clienti al mercato nazionale.
Chi non ci crede faccia la prova, l’efficienza del sistema è stupefacente (e agghiacciante quando lo si scopre).
Dall’altra parte c’è ACCORDO, che i social li ha inventati. Non è una boutade, ma la pura realtà. Siamo stati luogo di aggregazione e confronto tra musicisti, prima di chiunque altro. Abbiamo organizzato il primo guitar show europeo nel 1992, riunendo persone che condividevano la stessa passione, ma non si conoscevano. Primi nel mondo della musica, abbiamo aperto i commenti dei lettori nel 2001, grazie all’allora rivoluzionaria piattaforma Slashdot. E oggi siamo l’unica testata italiana registrata con un audience maggioritaria, reale, solida, qualificata nel settore degli strumenti musicali. ACCORDO non ha mai millantato con gli inserzionisti numeri mirabolanti (e non realistici nel nostro mercato), ma garantisce loro la costruzione nel tempo di notorietà, fiducia e reputazione presso il pubblico reale di chi fa musica in Italia. E reinveste gli utili sotto forma di servizio, a vantaggio di chi in Italia fa musica e lavora nella musica.
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