di alberto biraghi [user #3] - pubblicato il 24 maggio 2021 ore 09:00
Roberto Pistolesi si manifestò nel settembre 1992 alla prima edizione di SHG con un carico di amplificatori Vox AC15 e AC30. Diventammo amici dopo dieci minuti e lo rimanemmo per quattordici anni (anche se non mi perdonò mai gli ultimi tre numeri di Nashville), fino al giorno in cui decise di allontanarsi, il 24 maggio di quindici anni fa.
Roberto era un uomo geniale e poliedrico. Toscano fino al midollo, aveva rinunciato a un lavoro di prestigio e a una vita comoda a Milano per amore della libertà. Non era un animale da ufficio, era un ricercatore, con innumerevoli punti di contatto col suo nume tutelare, Leo Fender.
Figlio di falegname, perito tecnico e grande appassionato di chitarre, Roberto considerava dei capolavori i primi progetti di Leo Fender e li aveva studiati nei minimi dettagli, per riuscire a riprodurne la magia che - soprattutto negli anni Novanta - sfuggiva ai più.
Analizzava le vecchie foto di Fullerton con la lente, ascoltava al rallentatore i dischi per cogliere le sfumature, registrava con strumenti professionali per fare confronti sonori, costruiva prototipi per valutare l'influenza sul suono di minime modifiche strutturali. Arrivò a organizzare un test montando manici di diverse epoche sulla stessa Stratocaster per verificare l'influsso del manico sulla sonorità.
Da appassionato di meccanica rifiutava l'idea di essere il classico liutaio artigianale, che costruisce le chitarre una a una, di Fender apprezzava anche l'impostazione industriale. Per questo progettò e realizzò una macchina per costruire i manici e una per mettere i tasti, non martellati dall'alto, ma trascinati, proprio come facevano a Fullerton negli anni Cinquanta.
Girava i mercatini di surplus militare (a Livorno era di casa) dove faceva incetta di residuati bellici - valvole, componenti elettroniche, interruttori - e quando trovava qualche scatola di roba "New Old Stock - military grade" era felice come un bambino. Non a caso il suo amplificatore The Mojo venne progettato proprio su una introvabile valvola nata per le ricetrasmittenti degli aerei da guerra, di cui aveva fatto scorta.
Le poche chitarre - in gran parte repliche della Stratocaster - e gli amplificatori che è riuscito a completare nella sua vita troppo breve sono nelle mani di amici e appassionati che le custodiscono come gioielli preziosi, trovarne in vendita è pressoché impossibile. Ma chi ha avuto la fortuna di avere una sua Spacecaster ha chiarissima l'idea di quanto Roberto abbia saputo imboccare la strada di Leo Fender, percorrerla con rispetto e per certi versi spingersi un po' più avanti.
Roberto ha lasciato molto al nostro mondo e se ancora oggi, trent'anni dopo, siamo ancora qui su Accordo a parlare di chitarre con entusiasmo e competenza lo dobbiamo anche a lui. Indimenticabile.