Nella seconda metà degli anni ‘60, mio padre appese la chitarra al chiodo, dovendo aprire tutte le mattine la sua bottega, insieme a suo fratello, che dava da mangiare alle loro famiglie. Negli anni emerse la predisposizione naturale per la musica, di mio fratello Emanuele nato nel 1966. Nel 1976 mio padre lo iscrisse alla neonata scuola di musica “Pergolesi” di Jesi, per imparare a suonare il pianoforte, ritenuto in famiglia uno strumento più nobile della chitarra e per non farmi un torto, fui iscritto al corso di chitarra della stessa scuola. In casa disponevamo ancora della Hofner archtop elettrica, tra le poche cose rimaste a mio padre, al termine del suo periodo musicale, insieme ad un eco Binson Echorec e probabilmente un qualche amplificatore valvolare. Inoltre erano stati acquistati due economici microfoni electrec a batterie stilo, una acustica Clarissa, presto sostituita da una Cimar di tipo dreadnought, ma soprattutto un organo Farfisa a due tastiere con batteria incorporata per i ritmi. In seguito arrivò anche una piccola tastiera progettata da Gary Stewart Hurst, l’inventore del Tone Bender, uno dei primi fuzz degli anni’60, insieme ad un equalizzatore a dieci bande e al pedale King Fuzz tutti della sua azienda marchigiana, la Electronic Sound, una semiacustica a marchio ZeroSette e nel 1980 la mia Aria acustica a 12 corde per emulare i suoni di Edoardo Bennato, appena ascoltato in concerto con gli amici.
Al tempo oltre agli impegni scolastici, eravamo entrambi iscritti ad un corso di nuoto come aiuto allo sviluppo scheletrico. L’organo rimase poco tempo, al suo posto arrivò un pianoforte verticale, più adatto per lo studio. Iniziammo le lezioni avendo già mosso i primi passi, ricordo le tante scale cromatiche e gli esempi di semplici brani sul libro in cui aveva studiato anche mio padre all’epoca. Inoltre conoscevo già svariati accordi, imparati da mio padre che ogni tanto ci cantava qualcosa di Paul Anka, Van Wood, Renato Carosone, Marino Marini, Fred Buscaglione ed altri. Tra i brani strumentali ricordo alcuni pezzi dei Santo & Johnny e degli Shadows.
Dopo il mio primo anno di studi, andato a rilento in quanto tutti gli altri compagni di classe erano molto scarsi, avrei dovuto eseguire un brano di J.S.Bach in duo con il mio insegnante Americo Piaggesi, che poi si trasferì in Francia, come saggio di fine anno. Mi presentai carico per l’esecuzione, ma seppi che il mio insegnante se ne era andato senza un motivo. Rinunciai ad eseguirla da solo e decisi di non riscrivermi all’anno successivo, così per qualche tempo andai a lezioni private, 30 km distano tra Jesi e Ancona e io tutti i lunedì prendevo l’autobus per recarmi da questo anziano maestro, lo stesso che aveva insegnato a mio padre. Purtroppo dopo pochi mesi, mio padre dovette chiudere la sua officina, che da 15-20 anni produceva attrezzature per meccanici d’auto, per motivi di salute, in quanto avendo scelto di lavorare anche per la famiglia di suo fratello, scomparso nel 1972 a soli 32 anni, aveva troppe responsabilità, alcuni operai regolarmente assunti ed altre otto bocche da sfamare, oltre alla sua. Io sono riuscito a dargli una mano, nel periodo estivo, tagliando i tubi di ferro e altro con un sega circolare, alle misure necessarie per le varie produzioni. Inoltre avevo rifatto i disegni tecnici dei prodotti, ero molto bravo in questo, ormai troppo sporchi di grasso, mentre i miei due fratelli erano ancora troppo piccoli per lavorare. Con le leggi attuali sarebbe stato impossibile farlo.
Mio padre tornitore e fresatore, si occupava anche della saldatura ad elettrodo delle parti meccaniche. Aveva come hobby, sin da ragazzo, la pesca a mosca di trote, cavedani, lucci e i suoi fiumi preferiti, il Nera in Umbria, il Sangro in Abruzzo, spesso d’estate abbinava le vacanze per noi con la sua passione, in compagnia di qualche amico. Essendo stato uno dei primi in Italia a dedicarsi a questo tipo di pesca sportiva, fu invitato anche nella ex Jugoslavia per una dimostrazione, da parte di un altro appassionato.
In quel periodo era tempo di frequentare i corsi preparatori per il sacramento della Cresima, nella nuova parrocchia che era stata per me la sede dei primi due anni di scuole elementari, in attesa che gli operai terminassero quella nuova. Il nuovo parroco aveva dotato la struttura di tavoli da ping-pong, saletta per la musica e la lettura, gioco delle bocce e delle carte per i più anziani, stava inoltre lavorando a convertire il vecchio e piccolo campo da calcio e la zona intorno, in uno più grande e con un migliore fondo, con annesso campo da pallacanestro/pallavolo e campo da tennis con tanto di spogliatoi. Tutta l’opera era finanziata da una banca e si realizzò intorno al 1981-1982. La nuova parrocchia nel 1977 attirò molti ragazzi e ragazze della zona, alcuni che già conoscevo, abitando nella zona. Qui ci trovammo in diversi con la passione per la chitarra acustica, era il periodo dei cantautori impegnati politicamente e non, io avevo iniziato ascoltando disco-music, era quel periodo, ma anche rock, pop, country, folk e imparare una nuova canzone, accompagnandosi alla chitarra, faceva molta leva sulle nostre amiche. Io ed Emanuele fummo ingaggiati per suonare alle varie funzioni della domenica mattina, con due chitarre e organo, insieme ad altri tre amici, mentre tutti gli altri formavano il coro. Tra gli amici vi era anche un ragazzo più grande, appena diplomato al Conservatorio “Rossini” di Pesaro come pianista ed un autore di testi teatrali e flautista, già collaboratore con un gruppo musicale della zona. Si volle organizzare uno spettacolo teatrale, intervallando piccole storie di vita quotidiana con alcuni brani musicali, in un salone della struttura, facendo recitare i ragazzi e le ragazze ancora adolescenti. Tra un cambio di scena e l’altro un discreto imitatore alle prime armi intratteneva il pubblico. Noi avevamo già fatto i nostri primi esperimenti musicali con tre chitarre, una ritmica, una solista e una che simulava il basso. In parrocchia avevamo una semiacustica Gherson e un combo valvolare, alcuni la propria chitarra acustica, mio fratello la sua tastiera e riuscimmo a trovare un batterista anche se alle prime armi. Nel frattempo mio padre che si stava riprendendo dal suo terribile periodo, aveva preso in affitto un locale per provare a costruire chitarre e bassi elettrici con alcune sue idee. Uno degli strumenti che aveva realizzato, era un basso a scala lunga con due corni della stessa lunghezza. Il problema dell’amplificazione lo risolvemmo facendoci prestare un impianto autocostruito ad otto canali e due casse, con speaker diversi tra loro, ma tant’è che a caval donato…
Sia la tastiera, sia l’elettrica, sia i tre microfoni erano collegati direttamente al mixer e le casse posizionate ai lati del palco, con due microfoni di fronte per la registrazione audio. Tra l’elettrica e l’ingresso del mixer avevo inserito il fuzz di Gary per i pochi assoli che facevo, mentre non avevamo monitor sul palco, suonando due brani per volta sarebbe stato anche impossibile ogni volta spostarle. La batteria e le acustiche non erano amplificate.
Purtroppo dopo quella bella esperienza sembrava scemato l’interesse del gruppo, per cui durante l’estate, mio fratello Emanuele, che a 14 anni già suonava brani di Castellina-Pasi in un orchestra da ballo con l’elettrica, mi propose di passare al basso, essendosi proposto un nostro amico, allenato a rompere penne biro sul banco di scuola come batterista. Con il trio chitarra-basso-batteria, iniziammo l’affiatamento con brani di disco-music, pop italiano e rock, nei locali dove si trovava mio padre a progettare i suoi pickup e strumenti. La prima occasione di farci ascoltare fu per degli stacchetti, improvvisati da noi per una radio locale, che avevo frequentato anni prima, poi l’anno successivo ripetemmo l’esperienza dello spettacolo teatrale con la stessa formula, aggiungendo un tastierista e una chitarra acustica di un ex del gruppo. Questa formazione era decisamente più valida di quella dell’esordio. Ricordo che suonavamo con strumenti costruiti da mio padre, l’elettrica di mio fratello, i due bassi esteticamente simili ed originali ma con pickup completamente diversi, di cui un fretted e un fretless a scala lunga. Il batterista aveva una batteria molto semplice ma valida e in quell’occasione prese in prestito anche dei piatti di un’altra batteria. Nel frattempo eravamo riusciti ad acquistare un vecchio impianto Davoli valvolare, con due casse ed eco a nastro della potenza di 100 watt per canale. Mio fratello aveva il suo amplificatore credo Binson e io un Music Man in prestito, visto che il mio FBT a transistor con cassa 3x15 ero troppo scomodo da trasportare. L’unica acustica rimasta era ora amplificata e a parte il batterista cantavamo tutti, sia come solisti sia come coristi. I brani erano decisamente più rock, rispetto all’anno precedente ed Emanuele a 16 anni mostrava all’elettrica già cosa sapeva fare, mentre il più “anziano” aveva 20 anni. Purtroppo di quell’occasione sembra che nessuno abbia scattato delle fotografie. Molti anni dopo ho provato a ricostruire virtualmente gli strumenti costruiti da mio padre, in genere realizzati in acero per la cassa e manico e palissandro per le tastiere. I pickup li aveva realizzati con un’avvolgitrice di sua creazione. Nei due ultimi bassi avevo inserito anche dei selettori per il fuori-fase per particolari sonorità.
Al trio intanto si era aggiunta una seconda chitarra elettrica, che dovette abbandonare presto per la leva militare. In quel periodo, fummo chiamati anche a suonare ad alcuni eventi organizzati nei paesi intorno alla nostra cittadina, sia come trio, sia per accompagnare altri musicisti. Nel frattempo avevamo trasferito la sala prove in un locale di una fabbrica, che io ormai maggiorenne e mio padre avevamo preso in gestione, per la produzione di piattelli per tiro a volo ed abbandonato il locale per la costruzione degli strumenti musicali. Nonostante le tante migliore di mio padre, la fabbrica ormai dotata di sistemi superati, non riuscì a battere la concorrenza sempre più agguerrita, chiudendo definitivamente l’anno successivo. Giunti alla metà degli anni ‘80, prima mio fratello che aveva terminato presto gli studi scolastici e in seguito io, ci fermammo per la nostra “pausa” militare bloccando il gruppo.
Negli anni precedenti suonammo anche a dei Recital in chiesa, gestita dal giovane parroco che aveva idee moderne e sfruttava la musica e lo sport per attirare soprattutto giovani. I brani suonati dal nostro trio erano arrangiati in modo molto pop e cantati dal coro parrocchiale, con discreta soddisfazione per noi. Normalmente lo si faceva nel periodo di Natale o della Pasqua, ricordo la classica “Imagine” di John Lennon, presente ogni Natale e una canzone di Renato Zero, molto legato alla religiosità.
I due bassi del 1981, si erano fatti notare agli addetti ai lavori, in molte zone della provincia si parlava di un bassista che suonava il “basso con il tubo”, era infatti un tubo d’alluminio curvato a dare la forma al body. All’epoca incontrammo anche Alfredo Bugari che stava lanciando i suoi Stonehenge, chitarre e bassi particolari anche loro con un tubo intorno, ma dall’incontro non nacque nulla.
Terminato nel 1986 il mio servizio di leva prima a Casale Monferrato in Piemonte e poi a Sacile in provincia di Pordenone ed iniziato quasi immediatamente il percorso lavorativo come programmatore di gestionali per personal computer, riprendemmo in quattro il discorso musicale, con due elettriche, entrambe soliste e ritmiche, basso e batteria, con me ed Emanuele anche alla voce. Dopo un bel periodo di prove, prima in una ex-scuola e poi in una villa spesso vuota, provando sia brani conosciuti che nostre composizioni inedite, suonammo a fine estate 1987 nella nostra ultima esibizione. Insieme ad altri gruppi, ognuno con il proprio genere, io come portavoce del gruppo, presentai il gruppo “I Tidalrace” e i quattro componenti. Tra i motivi dell’abbandono ci furono troppi dubbi circa le nostre composizioni, funky, rock, pop ma soprattutto i nuovi impegni lavorativi che lasciavano poco spazio a questa passione. Ma il tutto era solo rimandato. |