Era una splendida giornata di sole, quel pomeriggio di primavera inoltrata,
I raggi solari entravano dalle finestre di quella fabbrica scaldando l’ambiente già saturo di calore, causato dai macchinari e dalle alte temperature dei forni delle blisteratrici, rendendo ancor di più l’aria torrida e soffocante.
Non mancava molto all’ora X, era venerdì pomeriggio ed il week end era alle porte, ma soprattutto quel venerdì era speciale.
Dalla sua postazione, impilando su di un pallet gli espositori imballati nell’involucro dei blister,
Stefano contava i minuti che lo separavano dalla fuga da quel posto infernale.
Mancava poco a quel fatidico suono,
Si, quel suono che non si riesce ad attribuire a nessuna nota musicale,
La sirena delle sei.
Gli aveva pure attribuito un giro armonico a quel fatidico suono,
Il “SI SI Va”,
Che lo faceva godere come i giri armonici di “SI LA DO” e il “SI MI FA”.
Intanto il sudore gli grondava in tutto il corpo, e si sentiva addosso quella polvere schifosissima di quel materiale che veniva usato per gli espositori,
La polvere di MDF, materiale povero e di uso comune per la fabbricazione di espositori,
Quella polvere sottile e fastidiosa se la ritrovava sempre dappertutto,
Dentro le scarpe, dentro ai calzini, dentro ai jeans,
Perfino dentro alle mutande se la ritrovava quella maledettissima polvere di MDF, che spesso lo faceva sternutire e bestemmiare come un vecchio acciaccato dalle artrosi.
Stava ripassando mentalmente la scaletta dei brani Stefano, si perché quel venerdì doveva esibirsi con la sua cover band, i “Breakin’ Down”,
Un gruppo musicale formato da sei elementi, due chitarre, un basso, voce, tastiera, batteria, che ripercorreva i classici hard rock degli anni 80 e 90,
mentre si sforzava di ricordare l’ordine preciso dei brani da suonare quella sera,
Il suono della sirena lo prese allo sprovvisto,
uehehehehehehehehehehehehehueheheheheheheh.
Caspita sono le sei! Esclamò Stefano, l’adrenalina gli scattò a mille, corse subito al marcatempo, prese il suo cartellino cartaceo di color giallo sbiadito, il numero 34, lo infilò nell’apposita sede dell’apparecchio attinente alla registrazione dell’orario di lavoro svolto, finché non sentì il suono della timbratura effettuata,
E si slanciò in fretta e furia fuori dalla fabbrica di espositori per ceramica.
Doveva fare in fretta e sbrigarsi Stefano, erano già le sei, doveva fare la doccia, prepararsi per bene, scegliere un bel paio di jeans, una bella camicia, e il suo immancabile gilet di pelle, che dal vivo usava spesso, Doveva inoltre preparare la sua attrezzatura, prendere lo zainetto della Invicta, quello nero e viola, un regalo di Betty, la sua ex fidanzata, regalo fatto in occasione della festa degli innamorati, riempire lo zaino di cavi, cavetti, cavatappi, pedaliera midi, trasformatore per la pedaliera, accordatore, set di corde di riserva, il wah wah, una pila 9 Volt di riserva per il Wah Wah, una ciabatta con sei prese di corrente 220 Volt, la testata Brunetti 059, la cassa Marshall 1960 lead 4x12, la sua magica chitarra elettrica, un Ibanez 90th Anniversary JPM model, però era in netto ritardo e lo sapeva, i suoi compagni di band erano già nel locale dalle 5 del pomeriggio, mancava solo lui per completare il sound-check.
La sua 4x12 era già coricata nella vettura del papà di Stefano, che per farcela stare dovette reclinare i sedili posteriori, quel veicolo era una Fiat Punto di color grigio chiaro metallizzato,
Aveva sempre avuto delle automobili Fiat il papà di Stefano;
dalla mitica 500, alla 127 giallo canarino, alla prima versione della Fiat Uno color verde bottiglia per poi passare all’altro modello uscito negli anni 90, approdando infine alla Fiat Punto.
Era un ex operaio in pensione e si chiamava Orlando il padre di Stefano,
Quando non riusciva a trovare il passaggio da qualche compagno, era lui che si premuniva di accompagnare il figlio ai suoi appuntamenti musicali,
Bestemmiandogli sempre contro, non tanto perché doveva portarlo in qualche destinazione di breve distanza, ma in quanto Orlando riteneva che il suo figliolo avesse attrezzatura pesante ed ingombrante, preoccupandosi più che si rovinasse la sua automobile, più che preoccuparsi che si rovinasse l’attrezzatura musicale del figlio.
CAPITOLO 2
(Il bar delle sorelle musiciste)
Il locale dove doveva esibirsi Stefano e la sua band, era un bar piccolino, che apriva i battenti molto presto, fin dalle prime luci dell’alba, per servire colazioni ai clienti di passaggio di quella zona industriale dove era ubicato,
Per poi trasformarsi nelle sere del week end, in un luogo per appassionati di musica live,
Si, perché nelle serate del venerdì e sabato, in quel piccolo caffè, si accendevano i riflettori e si aprivano le serate con ottimi live music show.
Erano passate le 18 e 30, quando Stefano si trovava nel bel mezzo del parcheggio di fronte al locale, pronto a scaricare la sua meravigliosa attrezzatura da chitarrista elettrico,
Non fece in tempo a scendere dall’automobile del padre, che subito si sentì chiamare da una voce femminile.
Ciao Stefano! Esclamò quella voce, Stefano, sentendosi chiamare, si voltò verso quella persona la quale egli riconobbe subito.
Ciao Mary, rispose lui sorpreso di vedere quella ragazza.
Mary era una collega di vecchia data, che da qualche anno non lavorava più nella stessa fabbrica di Stefano.
I due si avvicinarono, scambiandosi prima uno strano sorriso,
Mentre lei continuava a fissarlo quasi mangiandolo con gli occhi.
Era in splendida forma Stefano, ben vestito e ben curato, i suoi capelli erano stati acconciati da poco dal suo parrucchiere,
Aveva un taglio alla moda, e si era fatto fare i riflessi biondi sulle punte dei capelli.
Lei si avvicinò ulteriormente al giovane chitarrista, poi gli appoggiò con delicatezza le labbra sulla guancia, baciandolo amichevolmente,
E sorridendogli ancor di più di prima, esclamò:
Ti trovo davvero in splendida forma,
Ma cosa ci fai tu qui? Domandò Mary per iniziare una conversazione con Stefano.
Sono qui a scaricare la mia strumentazione, perché stasera, qui al bar di fronte, suonerò insieme ai Breakin’ Down, la mia cover band di musica rock.
Esteticamente parlando, Stefano, non provava attrazione nei confronti di Mary,
Aveva un bel seno prosperoso, quello sì senza dubbio alcuno,
Aveva anche un bel sedere, ma erano i tratti del viso molto pronunciati, con le sopracciglia nere e molto folte, e quel tipo di lineamenti molto mediterranei a non far scattare alcuna scintilla dentro lui.
Insomma, oltre ad avere gusti particolari, aveva visto e conosciuto ragazze molto più interessanti di Mary dentro alla fabbrica in cui lavorava Stefano.
Aveva avuto anche due storie con due ragazze differenti sempre in quella fabbrica, tra cui anche la Betty, quella che gli regalò lo zaino della Invicta, che lui usava sempre per trasportare parte dei cavi e dei pedali.
Intanto, il padre di Stefano, visto lo scambio ravvicinato di gesti e sguardi dei due giovani, si allontanò facendo finta di nulla, anche se in realtà, lo fece per non mettere in imbarazzo il suo figliuolo.
CAPITOLO 3
(Il sound check)
Nel mentre succedeva tutto ciò, una voce giungeva dall’ingresso del bar, raggiungendo le orecchie di Stefano, che era ancora alle prese con Mary che non gli staccava gli occhi da dosso:
“Allora? Ti dai una Mossa?”
Quella voce proveniva dalla bocca di Fabbri, il tastierista dei Breakin’ Down, in realtà si chiamava Fabrizio, ma per la band e gli amici lui era Fabbri, un ragazzo molto disponibile, che aiutava spesso Stefano a montare e spostare la sua attrezzatura ingombrante.
Arrivò il momento dei saluti per Stefano e Mary, lui in un certo senso si sentì sollevato e col pensiero ringraziò Fabbri per aver interrotto quell’attimo in cui lui ormai non sapeva più che dire alla giovane Mary,
Lei lo salutò baciandolo ancora amichevolmente sulla guancia, fissandolo ancora con uno sguardo penetrante.
Fabbri raggiunse in un lampo Stefano, poi lo aiutò a scaricare l’attrezzatura del giovane chitarrista,
Estrassero con cautela la cassa Marshall 4x12, poi la testata Brunetti, un bestione da 120 Watt, la appoggiarono sopra al cabine, e sfruttando le ruote di quest’ultimo, Stefano con lo zaino in spalla, e Fabbri conla custodia della chitarra in mano, trasportarono l’attrezzatura all’interno del locale.
Il papà di Stefano salutò i due giovani per congedarsi da loro, guardandoli allontanarsi con uno strano sorriso,
Tra sé e sé pensava chissà che frastuono uscirà stasera da quella attrezzatura, che Orlando conosceva bene, visto che Stefano in casa usava solo quella, facendo tremare le pareti domestiche causa l’enorme potenza sonora del suo sistema testata e cassa.
Quando i due ragazzi entrarono nel locale, per sistemare sul palco il sistema di amplificazione di Stefano,
Quest’ultimo percepì una strana ansia nell’aria, si era accorto che vi era agitazione tra i ragazzi della band.
Quel posto era un locale molto cool e anche molto ambito dai musicisti della zona e non solo,
La sera poi, quando quelle quattro mura si trasformavano in un live music bar,
Quel luogo Si riempiva di musicisti e appassionati di musica, forse anche per questo motivo, il resto della band era in agitazione, o almeno Stefano ipotizzò questa teoria.
Ma alla fine non si sbagliò più di tanto,
Poiché neanche un minuto dopo aver oltrepassato la porta principale del locale, Emanuele, il batterista della band, gli si avvicinò per rivolgergli la parola, sputando tutto il rospo.
Guarda Sanny, qui siamo tutti agitati per stasera, disse Emanuele a Stefano, intanto Checco, il cantante, era andato in bagno a vomitare per l’ansia, poi a Bruno, l’altro chitarrista, gli tremavano le gambe nel sound-check e suonava la chitarra da seduto, perché nella classica posizione eretta oscillava come una foglia che sta per staccarsi dal suo ramo.
Stefano invece era tranquillo, conosceva bene i brani della scaletta da eseguire, poi era da tanto che voleva esibirsi in quel posto,
Aveva visto suonare troppe band su quel piccolo palco, e non vedeva l’ora di fare lo stesso anche lui.
Quel bar era gestito da due giovani ragazze, Chiara e Cristina, le quali erano pure sorelle, appassionate di musica ma non solo.
Cristina era una flautista, suonava il flauto dolce in una band al femminile, Chiara invece cantava ed era una fan sfegatata di Janis Joplin, adorava anche alla follia Richie Sambora, era andata in estasi quando i membri della band dissero a lei che avrebbero suonato quella sera alcuni brani dei Bon Jovi.
Emanuele batterista dei Breakin’ Down, era molto agitato perché sapeva che quella sera il locale si sarebbe riempito di musicisti,
I quali con le orecchie ben rizzate, sarebbero rimasti attenti a carpire ogni errore, lo avrebbero squadrato da inizio a fine esibizione,
Puntandogli addosso quegli sguardi di chi è lì pronto a non farsi scappare la minima cappella
Per poi folgorarti con un’occhiata da killer spietato.
I ragazzi della band avevano suddiviso il loro show in 2 parti;
Prima dovevano iniziare carichi con brani di un certo livello, che mantenessero viva l’attenzione del pubblico in sala,
Poi vi era uno spazio acustico, per spezzare un po’ la scaletta, far riposare i membri della band e far riposare anche le orecchie agli ascoltatori.
Il sound-check era terminato, per alcuni membri della band era stato più utile farlo per ripassare alcuni passaggi e stacchi di qualche brano, più che fare le regolazioni dei suoni e dei volumi degli strumenti,
Poi tanto i ragazzi lo sapevano già,
Cioè che Stefano, il chitarrista, avrebbe manomesso il volume del suo amplificatore dopo pochi minuti dall’inizio del concerto.
Purtroppo Stefano aveva questa brutta abitudine, lui non era affetto dalla GAS, ovvero sindrome di acquisto compulsivo di chitarre,
Ma aveva il vizio di aprire come si dice nel gergo automobilistico il gas, girando la manopola del volume da sinistra verso destra,
Infatti, a lui non bastava sentire bene la sua chitarra da sopra il palcoscenico, egli doveva sovrastare tutti gli altri membri che suonavano con lui!
Questo brutto modo di fare che aveva Stefano, era spesso oggetto di discussione tra i membri della band,
Infatti, Quando erano giunti al termine delle loro esibizioni dal vivo, i ragazzi del gruppo musicale davano spesso il cazziatone a Stefano, ma queste piccole liti si placavano quasi sempre davanti ad un Coca e Rum, poi lo perdonavano poiché sapevano che era un chitarrista molto preparato, sapeva bene i brani da suonare, aveva un ottima strumentazione, ma soprattutto, non tirava mai bidoni e andava sempre alle prove.
Si erano per un attimo separati i ragazzi della band,
mancavano quasi due ore, all’avvio del concerto, Il sound check era terminato e alcuni di loro, quelli che abitavano nelle vicinanze del bar,
Approfittarono per tornare alle loro dimore per riposarsi un po’ lasciando nel locale i membri della band che venivano da lontano,
Ma anche, nel caso di Stefano, per rilassarsi e stemperare la tensione lontano da occhi indiscreti.
Stefano era stato accompagnato a casa da Emanuele nella pausa prima del live,
In quel frangente si trovava seduto sul suo letto a rilassarsi e a riscaldare le mani esercitandosi con una chitarra elettrica non collegata, poiché l’amplificatore si trovava montato sul palco del locale,
Stava ripassando alcuni passaggi dei brani che doveva riproporre in quella serata,
Ma fu subito interrotto dallo squillo del campanello;
drihihihihihihihihihihihihihihihihihin, fece un balzo dallo spavento perché preso allo sprovvisto, si precipitò poi al citofono, era Emanuele, il quale si trovava già sotto casa di Stefano per prelevarlo per poi recarsi insieme sulla scena.
CAPITOLO 4
(Lo show)
Ripose in fretta la chitarra nell’armadio Stefano,
Poi lanciò un saluto al volo alla madre, dicendole che era pronto per uscire e per recarsi a suonare,
La madre gli fece sempre le solite raccomandazioni, sempre le solite sempre quelle, ovvero, non bere e comportati bene che poi ti fai una brutta reputazione, ormai lui non ci faceva più caso, era sempre quello che fuori di casa si comportava peggio degli altri a detta della madre,
Questa cosa a Stefano dava fastidio, giacché sapeva di non essere un perfetto angioletto, però non era di sicuro peggio di tanti suoi amici o conoscenti,
E comunque non erano quelle due o tre birrette che si tracannava in una sera a far sì che la gente potesse parlar male di lui,
Ma vallo a spiegare a quella, pensava sempre Stefano nei confronti della madre.
Scese le scale in un lampo, poi salì sull’automobile del batterista, uscirono dal viale di casa di Stefano, fecero un paio di rotonde, poi subito dopo presero un cavalcavia, da lì in poi la strada era tutta diritta e alla prima rotatoria svoltarono a destra, e in un batter d’occhio giunsero a destinazione.
Il parcheggio del locale pullulava di vetture in sosta, questo era un buon segno pensarono i due giovani musicisti, i quali sentirono in un lampo l’adrenalina salire dentro di loro,
Ma salì ancor di più non appena varcarono la porta d’ingresso del caffè e quando videro che il posto era già mezzo pieno di persone.
La massa di gente che si trovava all’interno del bar quella sera, era per lo più composta da ragazzi di età media compresa tra i venti e trenta anni, ma non mancavano di certo anche tante belle signorine.
Davanti al palcoscenico, a pochi centimetri dalle casse, si erano posizionati gli amici di Bruno, il chitarrista ritmico dei Breakin’ Down, costoro erano tra i più giovani presenti tra gli ascoltatori in sala,
Erano anche i più casinari tra il pubblico presente, lanciando spesso cori da stadio per inneggiare il loro amico chitarrista.
Le luci in un attimo si spensero,
La musica che usciva dalle casse dell’impianto stereo del locale soffocò pian piano, lasciando come sottofondo solo il discorrere della gente che rumoreggiava sorseggiando bevande alcoliche nei loro calici,
Sul palco la band era già pronta ed allineata come un esercito di soldati in una parata militare.
“Shot through the heart and you're to blame
Darling, you give love a bad name!”
Boom! Lo show partì subito con “You give love a bad name” dei Bon Jovi, una perla della musica rock degli anni 80, susseguirono poi tanti altri classici del genere, come “Give me all your love” dei Whitesnake,
o come “18 and life” degli Skid Row,
passando per brani degli Europe, come la celebre “Rock the night” o la tamarra “Cherokee” e la struggente “prisoners in paradise”.
All’appello non mancavano brani dei Toto, come la rinomata “Hold the line”, oppure brani dei Mr Big, come la fantastica “Green tinted sixties mind”.
All’interno della scaletta musicale vi erano anche diverse ballad, come “I remember you” o “Breakin’ down” degli Skid Row, o la stupenda “Burning our bed” di Alice Cooper,
ma anche la intrigante “In these arms” dei Bon Jovi.
Il repertorio suonato quella sera, scorreva fluido come una clessidra,
brano dopo brano, minuto dopo minuto,
applauso dopo applauso, quel bellissimo concerto terminò in fretta, come poi tutte le cose belle fatte per durare poco,
il tutto con un certo entusiasmo generale, sia da parte del pubblico in sala,
sia da parte delle titolari del locale,
ma soprattutto ci fu entusiasmo tra i membri della band.
Fiero ed entusiasta Stefano, dopo aver appoggiato la sua Ibanez sopra ad un supporto dedicato,
si orientò verso la calca di gente che affollava il bar, andando alla ricerca dei suoi amici, i quali non mancavano mai agli appuntamenti di musica live della band, passando in mezzo ai tavoli e alle persone, orgoglioso si prendeva pacche sulle spalle e strette di mano da diverse persone che volevano complimentarsi con egli,
all’improvviso si sentì prendere e afferrare da dietro, due forti braccia lo strinsero in vita,
era Riccardo, un suo caro amico di vecchia data, membro della sua mitica compagnia, costui carico d’entusiasmo disse a Stefano;
siete andati alla grande, mi è piaciuto molto quando avete fatto quel piccolo stacchetto acustico, ma dimmi un po’,
Continuò Riccardo rivolgendosi all’amico chitarrista,
Quella Takamine acustica è tua? No perché ha veramente un bel suono caspita!
No, rispose Stefano, io lo sai, ho soltanto la mia vecchia Yamaha come chitarra acustica, oltretutto non è preamplificata e nemmeno elettrificata, la Takamine è di Checco, il nostro cantante, me la presta sempre quando ci serve per qualche brano acustico da proporre dal vivo,
Però mi fa piacere che ti sia assai piaciuta.
Ma dimmi un altra cosa, chiese Riccardo a Stefano cambiando il discorso e portandolo su altri fronti,
Ma chi è quella bella fighetta che somiglia un casino a Penélope Cruz?
É la morosa del nostro cantante, si chiama Francesca, ma so dirti poche cose su ella, poiché l’ho conosciuta da non tantissimo tempo, inoltre l’avrò intravista due o tre volte, comunque non sei l’unico ad aver notato la notevole somiglianza con l’attrice famosa, lo dicono in tanti,
Poi Stefano si congedò da Riccardo, recandosi al bancone per ordinare un drink, aveva sudato molto durante il concerto, si sentiva la gola secca, e non vedeva l’ora di tracannare qualcosa di fresco e dissetante, un Coca e Havana andrà benissimo pensò Stefano appoggiato al bancone del bar prima di ordinare.
La barista, Cristina, lo raggiunse in un attimo al bancone, sia per complimentarsi di come era andata la serata, sia per offrirgli il Cuba Libre da egli richiesto.
Cristina era molto carina sia come modi di fare, sia come lato estetico, non a caso attaccati al bancone del bar c’erano sempre diversi emergumeni tutte le sere a provarci spudoratamente con ella,
Ma Stefano aveva capito che non era cosa, con quella tipa non si batteva di sicuro il chiodo, era meglio girare al largo, tanto non sapeva nemmeno come attaccare bottone, tanto valeva sorseggiare con gusto quel Cuba Libre che proprio lei gli aveva servito senza pensare per una volta ad attaccare pezza ad una donna.
CAPITOLO 5
(Il danno)
Ormai la serata era giunta al termine, i Breakin’ Down avevano fatto la loro splendida figura,
Si erano presi i loro complimenti, si erano prese le loro consumazioni in omaggio pattuite con le titolari del locale,
Si erano pure presi il loro compenso in denaro, un pochino misero visto che il totale andava diviso per sei, ma alla band non importava, andava bene così, tanto quello era un periodo fertile, arrivavano serate una dietro l’altra, ed i membri della band non potevano di certo lamentarsi.
Il primo ad allontanarsi dalla sala fu Alessandro, il bassista, che era quello che dopo il cantante aveva meno attrezzature da smontare e caricare in vettura, se ne andò carico di adrenalina con la fidanzata di allora, salutando e abbracciando gli altri compagni musicisti.
Qualcuno intanto, stava aiutando Emanuele, il povero batterista che aveva tutti i tamburi e piatti con i loro supporti da caricare in automobile, come al solito aveva fatto una lunga distesa sulla pedana del palco, bisognava fare il percorso a ostacoli per evitare di inciampare sulle sue pelli stese sul parquet.
Intanto Stefano mentre riponeva i cavi, cavetti, cavatappi, pedaliera midi, trasformatore della pedaliera, il wah wah, la ciabatta con le prese di corrente, il tutto dentro al suo zaino nero e viola dell’Invicta, stava chiedendo ai compagni rimasti un passaggio per recarsi a casa, si era offerto disponibile un amico del batterista, soprannominato Mona, quel nomignolo non era quella parolaccia tipica lagunare, ma bensì l’abbreviazione del suo cognome.
Mona, era un bravissimo ragazzo, un tipo in gamba, alto ma soprattutto ben piazzato, che non solo si era reso disponibile ad accompagnare Stefano a casa, ma si stava pure dando da fare aiutando il giovane e stanco chitarrista a smontare e caricare l’attrezzatura sulla propria automobile.
Mona, ad un certo punto disse a Stefano;
Sanny, ti prendo io la chitarra e te la metto nella custodia poi la carico in macchina, ok?
Stefano annuì, dimenticandosi però di avvertire Mona sul fatto che aveva inserita la leva del vibrato dentro al ponte dell’Ibanez.
Nel frattempo Stefano stava finendo di sistemare lo zaino e stava guardando a pochi metri di distanza Mona che non riusciva a chiudere la custodia, così rivolgendosi a Mona gli disse;
Vuoi che faccio io?
Non fece in tempo a dirglielo che Mona con una gran spinta sulla parte superiore del case rigido chiuse in un lampo la custodia, ma si sentì uno strano crack, che lì per lì Stefano non se ne curò, in primis perché vedendoci poco causa i suoi gravi problemi alla retina, non si accorse che la leva era ancora inserita nell’apposita sede del ponte dell’Ibanez,
poi, in secondo luogo, era talmente cotto e bollito dalla lunga giornata trascorsa prima in fabbrica a lavorare, poi aveva perso tante energie durante lo spettacolo musicale, per cui non diede troppa importanza allo strano rumore avvertito durante la chiusura del case.
Mona aveva fretta di accompagnare a casa Stefano, anche perché doveva raggiungere in birreria gli altri membri della sua compagnia, tra cui vi era pure Emanuele, il batterista, e nella fretta di chiudere il case, aveva trovato ostruzione da parte della leva inserita, non tanto per quello, ma per la posizione in cui era orientata, probabilmente la leva era messa in una posizione obliqua rispetto al corpo della chitarra, per questo motivo Mona dovette premere con violenza la parte superiore della custodia rigida.
CAPITOLO 6
(Il giorno dopo)
L’indomani, come tutti i giorni successivi ai suoi eventi in musica, Stefano si svegliò con calma, era sabato mattina e non vi era alcuna fretta per fare cose di ogni sorta.
Ma questa calma apparente fu placata dalla madre del chitarrista, che non appena quest’ultimo finì di consumare la sua colazione si ritrovò all'istante ella a fargli pressione col fiato sul collo, si, perché lui aveva lasciato in garage tutto il suo armamentario musicale, e Marisa, la sua mamma, premeva che si sbrigasse a far ordine nel garage.
La routine dei dopo concerti era sempre la medesima, siccome Stefano rientrava a notte tarda con strumenti pesanti ed ingombranti, per non fare rumore e per non fare troppa fatica, il suo papà lasciava apposta lo spazio dentro al garage per Stefano, parcheggiando apposta la sua Fiat Punto fuori nel cortile dove aveva assegnato il suo posto auto,
così il suo figliuolo poteva tranquillamente riporre la propria attrezzatura all’interno del garage, per poi riportare il tutto il giorno seguente dentro la sua cameretta.
Naturalmente veniva aiutato dal padre a trasportare la sua cassa 4x12 su per le due rampe di scale, anche perché il cabinet era enorme e nel condominio dove Stefano abitava assieme ai suoi genitori non vi era l’ascensore.
Riportato il tutto nella sua cameretta, Stefano cominciò a risistemare tutta la sua roba, ripose la testata Brunetti 059 sulla cassa Marshall 1960 lead, fece tutti i cablaggi per collegare il multieffetto alla pedaliera e alla testata, quando terminò di collegare tutti i cavi e trasformatori, decise di aprire la custodia della sua Ibanez.
Era certo di aspettarsi di vedere come al solito le corde piene di ossidazione data dall’usura e dalla sudorazione del concerto del venerdì sera, ma quando aprì il case rigido trovò una inaspettata sorpresa.
Merda! Esclamò sconvolto Stefano, la leva era troncata alla base del ponte mobile, tranciata come un taglio netto, era ancora mezzo addormentato e pensò tra sé e sé, ma come è potuto succedere, di solito si premuniva sempre di estrarre la leva prima di riporre la chitarra in custodia, poi pian piano si ricordò che nel tram tram generale della serata del venerdì, ci fu quell’episodio con Mona che non riusciva a chiudere il case della sua Ibanez.
Cazzo! Esclamò ancora Stefano, ora ricordo, Mona non riusciva a chiudere la custodia perché la leva faceva ostruzione, probabilmente era messa in una posizione obliqua e non parallela al corpo e al manico della chitarra come direzione, pensò Stefano che nel frattempo continuava ad imprecare.
Cercava di scervellarsi Stefano, perché non era molto ingegnoso sul fai da te, figuriamoci nel riparare un danno simile, il troncone mozzato della leva che era incastrato nella sede del ponte della sua Ibanez, non sporgeva abbastanza per essere estratto da una pinza o da qualche arnese che fungesse da estrattore.
La sua fortuna, fu quella che il tipo di leva era a incastro e non a vite, per cui una possibilità per estrarre quel pezzo di leva tranciato ci doveva pur essere, ma come fare? Pensava Stefano.
Quella chitarra era un pezzo raro, un edizione limitata, per cui ne fecero pochi esemplari, era un Ibanez modello John Petrucci, di colore verde e blu, ed era un modello "Anniversary", proprio perché la fabbrica Ibanez nel 1998 creò questi modelli per celebrare il novantesimo anniversario.
Stefano era molto affezionato a quello strumento, l’aveva pure pagato fior di quattrini, ci vollero due stipendi sudati in quella dannata fabbrica di espositori per racimolare la somma equivalente al costo della sua chitarra elettrica Ibanez.
Aveva capito che da solo non ci sarebbe riuscito a risolvere quel rompicapo,
Ma prima di rivolgersi a qualche tecnico del settore riparazione di strumenti musicali, a Stefano gli balenò per la testa un idea, ed era certo che quell’idea avrebbe portato buoni frutti.
CAPITOLO 7
(Enrico detto Gas)
Il danno della leva rotta nella apposita sede del ponte, per fortuna, non aveva creato danni del tipo graffi o ammaccature sulla parte frontale del body della Ibanez John Petrucci 90th anniversary, questa è stata una vera botta di culo, pensò Stefano tra sé e sé, poi mentre continuava a pensare all’accaduto, cercò il suo telefono cellulare per fare una chiamata.
Scorreva veloce sulla rubrica del suo vecchio Nokia 33 30 Stefano, e si fermò alla lettera G della rubrica, sotto la voce Gas.
Enrico, detto Gas, nomignolo dato dai suoi amici per via del fatto che in macchina correva sempre come un pazzo, era molto esperto in tutto quello che era fai da te, tra meccanica, elettrotecnica, insomma, era l’amico di cui si poteva affidare un problema del genere,
Infatti Stefano pensò subito a lui e non esitò a contattarlo.
Estrarre quel rimasuglio di ferro per Enrico fu un gioco da ragazzi;
Prese un cacciavite e svitò la mascherina posteriore della chitarra di Stefano, quella che copre le molle del ponte mobile,
Una volta tolta, Gas diede un occhiata per vedere come era strutturata la parte finale dell’alloggio ove si incastra la leva del vibrato, notò che vi era una piccola vite,
Chiese dunque a Stefano un piccolo cacciavite a stella, tolse quella piccola vite, accorgendosi che il foro era passante.
Bingo! Esclamò Gas, poi disse a Stefano, dammi una brugola, la più sottile che hai!
Fece passare la brugola sottile attraverso quel forellino, e con forza spinse finché la parte rotta della leva, incastrata nell’alloggio del ponte mobile, non uscì.
Avere degli amici trappolai, come si usava nel gergo della città in cui Stefano viveva, era di fondamentale importanza,
Senza l’aiuto di Enrico, Stefano, non sarebbe sicuramente riuscito a estrarre quel pezzo rotto, magari su indicazioni fatte da remoto, da parte di qualche esperto sarebbe pure riuscito a cavarsela, ma questa, è un altra storia! |