di Vintage Vault [user #63578] - pubblicato il 13 febbraio 2023 ore 21:20
Nella seconda metà degli anni ’60 il mercato della chitarra elettrica vive un momento magico. Le vendite vanno alle stelle e suscitano l’interesse di grandi investitori, che cominciano a fare shopping di aziende del settore. Tra queste Gibson e Fender, entrati rispettivamente nell’orbita di CMI (poi Norlin) e CBS.
Ma quella che appare come un’opportunità si trasforma presto in un incubo: i nuovi management non sanno nulla di strumenti musicali e si concentrano solo sul taglio dei costi per aumentare i profitti. Si innesca così un calo qualitativo che nel corso dei due decenni successivi avrà influenze importanti su tutto il settore. Quando il prodotto peggiora la prima conseguenza è una calo delle vendite: per Gibson e Fender nella prima metà degli anni ’80 il calo è talmente drammatico da portare le due aziende al limite del fallimento.
Questa crisi produce però due effetti interessanti. Il primo è una crescita di attenzione per le chitarre degli anni passati, che da “modelli vecchi”, da accantonare se non rottamare, diventano i sempre più costosi e ricercati strumenti “vintage”. Il secondo effetto è la nascita di un ricco sottobosco di piccole aziende a carattere artigianale o semi artigianale che rispondono alla domanda di una qualità scomparsa dalla produzione dei top brand.
Tra i primi a imboccare questo cammino c’è David Schecter, un liutaio californiano che a inizio anni ’70 apre un laboratorio a Van Nuys (California) e si specializza nella produzione di componentistica destinata a sostituire le parti originali sulle Fender dell’epoca: prima i manici, poi i corpi e infine l’hardware.