Quando, all’inizio del 2017, la stretta del CITES all’uso di legni come il palissandro ha colpito il mondo chitarristico, per molti è stata una doccia fredda. L’essenza - usata sulle tastiere di una fetta enorme delle chitarre in circolazione - sembrava insostituibile, ma il mercato ha reagito in fretta. La caccia ai materiali alternativi si è mossa di pari passo con la ricerca tecnica sulle forme e le misure, e in pochi anni tecnologie costruttive un tempo esclusiva delle fasce più alte sono divenute accessibili, forse anche per la necessità di rendere appetibili i nuovi legni che le regolamentazioni internazionali imponevano. Così i prodotti di fascia media hanno guadagnato manici finemente lavorati e dai bordi smussati, hardware sempre più performanti ed elettroniche al livello.
Nel frattempo, non si è mai abbandonata la via diplomatica sull’uso dei legni e il CITES ha cominciato a prevedere alcune eccezioni per i settori meno incisivi nell’uso di specie a rischio. Quello dello strumento musicale è uno di questi, e il traguardo del 2024 è il ritorno del palissandro sulle grandi produzioni destinate alla fascia media.
Nel frattempo il pubblico aveva già goduto degli aggiornamenti tecnici fioccati per un mercato sempre più competitivo, e è a dir poco eccitante.
La è una chitarra, come si dice, figlia del suo tempo.
La ricetta è tra le più classiche ma - lente d’ingrandimento alla mano - gli accorgimenti sono quanto mai al passo coi tempi.
Quella in prova ha un body in ontano, ma la serie prevede anche versioni con cassa in frassino o in mogano, entrambe con camere utili all’alleggerimento quanto all’incremento della risonanza acustica.
L’abbinamento vede un manico in acero e - finalmente - il ritorno della tastiera in palissandro.
Il pau ferro non se l’è cavata affatto male sulle scorse edizioni, ma l’aspetto classico del palissandro, con le sue venature di un marrone profondo, è qualcosa a cui è difficile resistere ed è bello che l’opzione sia tornata in catalogo.
All’approccio classico di un evergreen come la Telecaster si contrappongono accorgimenti moderni come il ponte a sei sellette. Non propriamente una scelta vintage, sarà apprezzata dai fanatici dell’intonazione e da chi non va troppo d’accordo con le “alette” sollevate dei ponti ashtray o con il tatto singolare che le tre sellette impongono al palmo. Sul piano sonoro, la compattezza, l’incisività e l’attacco della soluzione è ormai assodata.
Una piacevole scoperta sono anche i pickup in Alnico 5 appositamente disegnati per la serie Player II. Si tratta di single coil dalla voce piuttosto tradizionale, resa più moderna da un output degno di nota e da una buona resistenza alle interferenze e ai ronzii, rappresentando così una scelta valida per chi è in cerca di strumenti flessibili, adatti al palco e a lavorare con gli effetti conservando sempre una buona intelligibilità e corpo nell’insieme.
Nell’abbinamento con la tastiera in palissandro, la voce della chitarra restituisce un bilanciamento tipico, con bassi profondi e rombanti, ma mai confusi, e con acuti evidenti eppure mai taglienti. L’equilibrio diventa così ideale per riempire i mix più scarni con un tono grosso e variegato, ma fornisce anche un’ottima base di partenza per cesellare tutte le sfumature di cui si può aver bisogno nei diversi contesti.
Tale flessibilità è una delle armi più apprezzate della Telecaster, e nella Player II si sente tutta quanta.
Quella che abbiamo avuto sotto le mani è una Telecaster propriamente detta, frutto di un’evoluzione che rispetta il DNA del modello e non si spinge in accorgimenti estremi come contour o tacchi smussati, ma li concentra tutti in appunti funzionali e stilistici quasi invisibili ma evidenti per chi suona, mirati a migliorare l’esperienza d’uso da parte del musicista lasciando allo spettatore tutta la genuinità di un modello che da quasi un secolo attraversa le epoche senza perdere un colpo. E, aggiungeremmo, a ragion veduta. |