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La guerra dei dazi e l’assedio alla chitarra: come le tariffe di Trump stanno cambiando l’industria musicale
La guerra dei dazi e l’assedio alla chitarra: come le tariffe di Trump stanno cambiando l’industria musicale
di [user #65794] - pubblicato il

In un'America che suona sempre più fuori tempo, le chitarre rischiano di diventare vittime silenziose di una guerra commerciale senza accordi né armonie. Tra incontri diplomatici e dazi alle stelle, l’industria musicale statunitense si ritrova sull’orlo di un collasso annunciato. E mentre il presidente della NAMM lancia l’ennesimo grido d’allarme, il futuro vibra su corde sempre più tese.
Mentre il presidente Donald Trump incontra Giorgia Meloni per discutere un nuovo accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea, le tensioni legate alla politica dei dazi continuano a animare la scena economica internazionale. Al centro del dibattito, non ci sono soltanto i grandi comparti industriali, ma anche settori meno visibili eppure strategici per l’identità culturale americana – come quello degli strumenti musicali.

Proprio in questi giorni, la NAMM (National Association of Music Merchants) è tornata a farsi sentire con forza. Il presidente John Mlynczak ha rilasciato dichiarazioni nette, mettendo in guardia l’amministrazione da un potenziale disastro economico e culturale: “Le attuali misure tariffarie minacciano la competitività globale dell’industria musicale statunitense,” ha affermato in un appello rivolto direttamente alla Casa Bianca.

La guerra dei dazi e l’assedio alla chitarra: come le tariffe di Trump stanno cambiando l’industria musicale

Il timing non potrebbe essere più delicato. Con un pacchetto di dazi sempre più aggressivo, che coinvolge materie prime, componentistica e strumenti finiti, la filiera musicale americana rischia di subire un contraccolpo duraturo. E mentre Trump cerca di rafforzare l’asse transatlantico, il tessuto produttivo che alimenta decine di migliaia di posti di lavoro tra liuteria, elettronica, distribuzione e retail è sotto pressione. In un clima segnato da retoriche protezioniste e riforme unilaterali, cresce il timore che le decisioni strategiche vengano prese senza un reale confronto con chi l’industria musicale la vive ogni giorno, tra pedalboard, pickup e tavole armoniche importate dal sud-est asiatico.

Per un approfondimento diretto delle comunicazioni provenienti dalla Casa Bianca: Regulating imports with a reciprocal tariff to rectify trade practices that contribute to large and persistent annual United States goods trade deficits.

Alla luce di tutto questo, le parole di Mlynczak suonano come un monito preciso: “Il nostro settore è profondamente interconnesso. Non possiamo permetterci una politica commerciale che ignori la realtà di una produzione ormai globale.” Nell’attesa di sviluppi concreti dall’incontro tra Washington e Bruxelles, la chitarra – icona culturale e simbolo produttivo – si ritrova in prima linea in un conflitto dove la posta in gioco non è solo economica, ma identitaria.

Protezionismo americano
Negli ultimi mesi, l’amministrazione Trump ha riaperto un fronte economico che pareva assopito: quello delle guerre commerciali a colpi di dazi. Il nuovo pacchetto tariffario, varato all’inizio del 2025 attraverso una serie di ordini esecutivi, ha introdotto aumenti significativi sulle importazioni da Paesi come Cina, Vietnam e Messico, con aliquote che in alcuni casi raggiungono il 145%. Le motivazioni ufficiali ruotano attorno a due concetti cardine: la “mancanza di reciprocità” nei rapporti bilaterali e la “minaccia straordinaria alla sicurezza economica nazionale”. È un approccio che segna un ritorno deciso alla dottrina del protezionismo, con l’intento dichiarato di rilanciare la manifattura americana, riportando posti di lavoro e produzione sul territorio nazionale.

La guerra dei dazi e l’assedio alla chitarra: come le tariffe di Trump stanno cambiando l’industria musicale
Photo credit: Reverb.com

Tuttavia, come in ogni conflitto commerciale, le conseguenze sono tutt’altro che univoche. Settori strategici come quello tecnologico, automobilistico, tessile e agricolo stanno già mostrando i primi segni di contraccolpo: l’aumento dei costi di importazione sta ricadendo su tutta la filiera, dai produttori ai consumatori, con rincari che mettono in discussione la competitività di interi comparti. Il presidente della NAMM, John Mlynczak, ha espresso pubblicamente la sua preoccupazione per il settore degli strumenti musicali: “Le misure adottate mettono a rischio l’impatto economico e culturale degli strumenti musicali statunitensi,” si legge nella sua dichiarazione ufficiale, che accompagna una richiesta formale di esenzione indirizzata all’amministrazione.

Le reazioni internazionali non si sono fatte attendere. Pechino ha risposto con misure analoghe su prodotti agricoli e tecnologici statunitensi, colpendo aree industriali chiave e gettando in allarme le aziende americane esportatrici. Anche il Vietnam, inizialmente rifugio produttivo alternativo alla Cina, è finito sotto il mirino di Washington, con nuove tariffe al 46% che rischiano di vanificare i recenti investimenti occidentali nell’area. Il Messico, partner essenziale nelle catene di fornitura nordamericane, è coinvolto in modo altrettanto sensibile: qui le tariffe colpiscono soprattutto componentistica industriale, auto e alimentari.

Settori trascurati, ma vulnerabili: il caso degli strumenti musicali
Gli effetti a catena iniziano a toccare anche settori meno evidenti ma non per questo marginali: elettronica di consumo, editoria, moda, e ovviamente strumenti musicali. Proprio quest’ultimo ambito, tradizionalmente legato all’esportazione e all’importazione di componenti altamente specializzati, è tra i più vulnerabili. Il caso della chitarra elettrica – dove componentistica asiatica, lavorazioni messicane e assemblaggio statunitense convivono in una delicata simbiosi – è emblematico di come l’economia globale moderna sia interconnessa e difficilmente riducibile a logiche di produzione nazionale. A pagarne il prezzo, almeno nel breve periodo, non sarà solo il produttore o il distributore, ma soprattutto il consumatore finale, che vedrà aumentare i prezzi di beni finora accessibili, e con essi la soglia d’ingresso a molti settori, musica compresa.

Le chitarre “made in USA” sono raramente, davvero, fatte interamente negli Stati Uniti. Le grandi aziende del settore – da Fender a Gibson – basano la propria competitività su un equilibrio complesso: realizzano i modelli di fascia alta sul territorio nazionale, ma importano buona parte dei componenti dai mercati asiatici. Sempre il presidente della NAMM lo ha ribadito con chiarezza: “La ragione per cui possiamo permetterci di costruire strumenti di fascia alta in patria è perché abbiamo entrate derivanti da prodotti mid-level ed entry-level fabbricati all’estero.
Questo principio vale tanto per i colossi dell’industria quanto per i marchi boutique. Joe Morgan, fondatore del marchio Morgan Amps, ha dichiarato che l’effetto immediato dei nuovi dazi sarà un incremento di circa 1000 dollari sui suoi amplificatori. Una cifra che, per un’azienda artigianale, può trasformarsi in una condanna a morte commerciale.

La guerra dei dazi e l’assedio alla chitarra: come le tariffe di Trump stanno cambiando l’industria musicale

Il paradosso della manifattura americana
A chi obietta che le tariffe stimoleranno una rinascita della manifattura statunitense, Mlynczak risponde con pragmatismo: “Il nostro settore è altamente specializzato. Non è possibile semplicemente inviare un disegno CAD a un’altra fabbrica dall’oggi al domani. Le nostre aziende non possono spostare la produzione con rapidità e non lavorano con margini elevati.
Lo scenario è particolarmente allarmante se si considera che il 43% degli strumenti importati negli USA proviene dalla Cina. Un’altra quota consistente – il 26% – arriva dal Vietnam. Entrambi i paesi sono oggi soggetti a dazi che ne compromettono in maniera drastica la competitività. In alcuni casi, come per i prodotti cinesi, le tariffe superano il 100%, rendendo economicamente insensato qualsiasi tentativo di importazione.

Nel pieno della guerra commerciale, emerge - ovviamente - anche un altro dettaglio paradossale, perché secondo un’inchiesta di un’emittente cinese, le chitarre firmate da Donald Trump – strumenti promossi dal presidente stesso in una campagna al limite dell'assurdo – sarebbero prodotte proprio in Cina. Così come lo erano i famosi cappelli MAGA (make America great again). Un simbolo che riassume bene la distanza tra retorica e realtà industriale.

Fender e l’effetto domino
La crisi è già tangibile. Fender ha visto la propria valutazione di credito declassata da Moody’s, con costi operativi previsti in crescita di circa 20 milioni di dollari. L’azienda, come altre, si è già dovuta adattare in passato alle normative “made in USA”, modificando l’etichettatura dei propri strumenti. Non si legge più “Made in USA” sulla paletta, ma “Corona, California”, una dicitura più neutra che riflette la realtà di una produzione distribuita tra USA, Messico, Cina e Indonesia.

Dazi e debuttanti: un mercato in crisi
Oltre al lato produttivo, i dazi colpiscono duramente anche il segmento entry-level, quello cioè dei chitarristi principianti. Rob Chapman – paladino di Chapman Guitars – sottolinea il rischio: “I modelli economici prodotti in Cina sono il primo passo per tantissimi musicisti. Se questi strumenti diventano troppo costosi o difficili da reperire, perderemo intere generazioni di chitarristi.” E aggiunge: “Non si può rilanciare l’industria se nessuno può permettersi di acquistare il primo strumento.
Il caso della signature di Lee Malia per Jackson è esemplare. Realizzata in Cina e venduta a 899 dollari, ha registrato un sold-out immediato. Il paragone con la SL2DX americana da 2.449 dollari evidenzia la forbice economica sempre più ampia, che rischia di diventare incolmabile con l’aumento dei dazi.

La guerra dei dazi e l’assedio alla chitarra: come le tariffe di Trump stanno cambiando l’industria musicale

Il futuro incerto della filiera musicale
Le stime della NAMM parlano chiaro: le vendite complessive del settore negli Stati Uniti nel 2023 sono state pari a 8,3 miliardi di dollari, con una contrazione del 4% rispetto all’anno precedente. Un calo attribuito alla fine dell’ondata di acquisti post-pandemia, ma che rischia ora di trasformarsi in recessione. “Queste tariffe – osserva Mlynczak – potrebbero causare una vera e propria crisi del comparto strumenti musicali.
Il pericolo è reale, soprattutto considerando la fragilità della catena di fornitura: “Molti dei nostri membri non sopravvivranno a un mercato in contrazione,” avverte Mlynczak. “E noi non possiamo permetterci di perdere quel tessuto industriale che garantisce la varietà e la qualità dell’offerta musicale americana.”

Un'industria in trincea
Volendola vedere in chiave romantica, la chitarra elettrica è da sempre simbolo di libertà, innovazione e - tra le altre cose - accessibilità... È difficile non pensare a come le tariffe imposte dall’amministrazione Trump vadano a soffocare proprio questi principi. I grandi marchi, forti della loro notorietà, cercheranno nuove strategie. Le aziende artigianali, spesso a conduzione familiare, rischiano invece di assorbire il colpo nella maniera peggiore.

L’effetto finale potrebbe essere quello di una polarizzazione dell’offerta: da un lato strumenti elitari, dall’altro un vuoto cosmico nella proposta economica. In un contesto di questo tipo, indovinate un po' chi sarà il vero sconfitto? I chitarristi ed in particolare chi suona per passione, e non per mestiere, costretti a scegliere tra strumenti fuori budget o qualità non certo eccelsa. La guerra commerciale ha un prezzo, e oggi più che mai rischia di essere pagato in musica.
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di MTB70 [user #26791]
commento del 19/04/2025 ore 20:38:4
Indubbiamente. Io ho il vantaggio di avere una certa età e avere già tutto quello che mi serve, per cui mi metto alla finestra e sospendo gli acquisti - non aiuto il comparto, ma se può permettersi di comportarsi da irresponsabile il presidente degli Stati Uniti, posso anch’io essere un filo egoista. Con me certo non riporteranno posti di lavoro negli USA. Vediamo quando si svegliano.
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di dariothery [user #12896]
commento del 23/04/2025 ore 09:04:36
bravo!la penso esattamente come te!sto cercando anche di acquistare corde italiane per liberarmi anche dal fardello di acquistare roba USA
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di Massiblues84 [user #66245]
commento del 19/04/2025 ore 20:54:33
Ho una Les paul standard,una tele american vintage e una strato american vintage,,ultimo acquisto una bella J45 usata ma quasi intonsa, presa dopo aver venduto la acustica che avevo prima..direi che posso stare sull uscio a vedere che aria tira per un po' :)
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di fla72 [user #29005]
commento del 19/04/2025 ore 21:34:51
GIBSON tutte vendute , e non ho intenzione di riprenderne un'altra. Fender strato: una americana ed una giapponese, tele PAOLETTI , PRS vendute e addio per sempre.. per me possono smettere di produrre. Ora come ora comprerei una Shecter indonesiana NICK JHONSON al massimo. A dire la verità, dati gli aumenti degli ultimi anni avevo già accantonato gli USA da un pezzo. Mi spiace pero' per i poveri futuri senza tetto che questa politica provocherà.
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di go00742 [user #875]
commento del 19/04/2025 ore 23:01:09
Però non capisco 1 cosa aiutatemi...se compro extra UE già da tempo immemore pago i dazi.
Se gli USA mettono dazi sulle chitarre cinese koreane o vietnamite a noi in Italia cosa cambia? I dazi da noi ci sono già su prodotti extra UE...i guai saranno per gli americani che vorranno una ESP dal Giappone per esempio.

Sarò tardo io ma se trump si mette i dazi sui prodotti esteri saranno cavoli (per non usare altri termini) degli americani che pagheranno maggiormente il prodotto.

Noi vedremo le ns aziende che esportano in USA colpite per restare in tema ...brunetti mezzabarba etc.. vedranno i propri prodotti colpiti da dazi ma per me che sono Italia perché una fender o gibson dovrebbe costare di più? Almeno fino a quando la UE non risponderà con ulteriori dazi non dovrebbe cambiare nulla. Sbaglio? Fila il ragionamento o sono fuori dal mondo?
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di giambibolla [user #5757]
commento del 19/04/2025 ore 23:43:41
Non fila purtroppo, e non solo per il settore strumenti musicali.
Rispondi
di MTB70 [user #26791]
commento del 19/04/2025 ore 23:44:30
Quasi giusto, salvo che: 1. Se mettono dazi gli americani si alza il prezzo delle merci negli USA e a quel punto anche i produttori di altre aree alzano a loro volta i prezzi perché sanno che la concorrenza è meno competitiva economicamente e ne approfittano per migliorare i margini - nessuno perde l’occasione di aumentare i prezzi a costi invariati se può dare la colpa a fattori esterni; questo meccanismo tra l’altro anche indirettamente alza l’inflazione e a quel punto aumenta un po’ tutto; e 2) sono possibili ritorsioni con nostri dazi.
Rispondi
di kolang [user #64834]
commento del 19/04/2025 ore 23:55:59
Se quanto riportato nell'articolo è corretto, ovvero che:
"Le chitarre made in USA sono raramente, davvero, fatte interamente negli Stati Uniti. Le grandi aziende del settore – da Fender a Gibson – basano la propria competitività su un equilibrio complesso: realizzano i modelli di fascia alta sul territorio nazionale, ma importano buona parte dei componenti dai mercati asiatici."
le Fender e le Gibson assemblate in USA costeranno di più per il solo fatto che i componenti da loro importati saranno più cari perchè gravati dai dazi.
Rispondi
di go00742 [user #875]
commento del 20/04/2025 ore 00:38:39
Ah ok così mi torna ...esempio una tastiera palissandro che arriva dall'India costerà maggiormente perché gravata dai dazi...idem magari se monta meccaniche gotoh etc...
Giustamente il giochino fender non piu made in USA ma corona California ne risente avendo parti che arrivano fuori dagli USA ...così ha senso...grazie.
Rispondi
di alexus77 [user #3871]
commento del 22/04/2025 ore 02:39:09
E non solo. I componenti sono una cosa, ma poi c'e' anche il fatto che, se una parte consistente dei ricavi viene da produzioni orientali, spesso a basso costo ma anche a volume e margine piu' elevato, allora anche i prezzi della produzione domestica dovranno salire per compensare le perdite dovute ai dazi sulla produzione orientale. Alla fine, si paga tutto di piu'. Un autogol colossale.
Rispondi
di go00742 [user #875]
commento del 20/04/2025 ore 06:12:02
In ogni caso comunque non dovrebbero raddoppiare ma un leggero incremento esempio se prima una tastiera costava 50eu adesso ne costa 75...ragion per cui se l'aumento non è congruo le cose sono 2 o ci fregano alla grande sul made in USA oppure ci speculano.
Il problema ovviamente è grosso per chi esporta in USA.
Rispondi
di Sykk [user #21196]
commento del 20/04/2025 ore 10:00:1
Avrei una domanda, in Europa che costruttori di strumenti abbiamo? Escludendo i liutai o comunque le realtà molto piccole che ti costano un occhio... insomma chi è che costruisce in serie chitarre degne tra i 700 e i 1500 euro?
Rispondi
di _Spawn_ [user #14552]
commento del 20/04/2025 ore 10:42:16
Una volta la Duesenberg (gran begli strumenti tra l'altro) ma ormai si attestano su una fascia ben più alta.
Attualmente mi viene in mente Chapman guitars che se non sbaglio ha produzione interamente asiatica (eventualmente correggetemi), e anche Hagstrom.
Ci sarà sicuro qualcun altro che non mi sovviene
Rispondi
di RedRaven [user #20706]
commento del 20/04/2025 ore 11:28:16
In quella fascia non c'è quasi nulla. Le produzioni europee sono hi-end. Le Chapman made in UK non so se le facciano ancora ma erano 3500 sterline. Ci sono le Gordon-Smith a 2000 sterline. La produzione europea era vista come premium e tutto il resto messo in asia, come le Chapman standard che pare siano ottimi strumenti sui 1000 euro.
Rispondi
di Fiori29 [user #49531]
commento del 21/04/2025 ore 15:27:33
Buonasera sykk, in Europa ad oggi il miglior produttore è FURCH, con chitarre fatte veramente bene, impeccabili direi, legno massello tastiere in ebano ecc… suono pauroso… provale!
Rispondi
di Mawo [user #4839]
commento del 21/04/2025 ore 17:17:48
Grazie per la segnalazione.
Di chitarre elettriche di ottima qualità, prodotte in Europa, c'è anche la Vigier, se non erro.
Rispondi
di MTB70 [user #26791]
commento del 21/04/2025 ore 19:15:38
Purtroppo per quel che ne so Vigier ha appena chiuso.
Rispondi
di MTB70 [user #26791]
commento del 21/04/2025 ore 19:58:12
Aggiungo che si fanno ci starre di qualità a prezzi ragionevoli in Polonia; penso a Fame ma soprattutto a Mensinger, che qui nessuno conosce ma ha dei prodotti molto particolari (oltre ovviamente alle solite riproduzioni) che sembrano avere davvero buona fama e che ti customizzano a costi molto ragionevoli. Poi ovviamente le HB sono prodotte in Asia ma sono un marchio tedesco, e poi abbiamo Strandberg che è svedese, e sicuramente anche tanti altri.
Rispondi
di Guycho [user #2802]
commento del 22/04/2025 ore 10:15:57
Io credo che anche Eko possa dire la sua.

Ho provato alcune cose, economiche, davvero ben fatte. Restano sempre i marchi japan.
Rispondi
di Francescod [user #48583]
commento del 20/04/2025 ore 10:53:56
Personalmente continuerò sempre a guardare al mercato americano come punto principale di riferimento. La storia degli strumenti elettrici l'hanno fatta loro e continuano a farla loro, quindi per me è naturale e scontato guardare sempre a loro. Poi ovvio che esistono anche il Giappone, l'Europa ecc. Ci mancherebbe.
Ma dei dazi poco mi frega, perché innanzitutto il danno è globale su tutti i tipi di merci, a prescindere da dove specificamente piazzi i dazi (se fossero poche misure limitate allora non ce ne accorgeremmo nemmeno, ma siccome l'intenzione è quella di ridiscutere tutta l'impalcatura, ne risentirà ogni angolo del pianeta e qualunque settore, quindi in un clima da recessione o quasi le chitarre non sono il punto centrale). E poi perché al massimo rallenterò i ritmi di acquisto, quindi acquistando le stesse cose ma a ritmo più lento, in modo da attutire l'eventuale aumento dei costi (che comunque già c'è stato violentemente dal 2020 al 2024, con un aumento generale dei prezzi del 25-45%).
Detto ciò, quello che gli italiani proprio non vogliono capire è che quello che li frega non sono i dazi ma i loro stipendi. Il loro problema è tutto in Italia, quindi guardare ai dazi ecc. poco dovrebbe preoccuparli. È l'Italia che ha sempre gli stessi stipendi da vent'anni, unica nazione in Europa. Gli altri adeguano gli stipendi all'inflazione (perché poi i dazi creano anche ulteriore inflazione).
Se qualcuno è iscritto a un sindacato, la prima cosa che dovrebbe fare è interrogarli: esattamente cosa stai facendo per l'adeguamento del mio stipendio all'inflazione, visto che la situazione è di totale inerzia??
Il resto conta molto molto molto meno. Perché se un prezzo aumenta ma lo stipendio viene adeguato, il potere d'acquisto rimane inalterato.
Rispondi
di MTB70 [user #26791]
commento del 20/04/2025 ore 13:29:0
Quello che dici ha un senso; spesso e volentieri il sindacato ha scioperato per diritti e principi (per carità, ha pure senso) ma ha altrettanto spesso dimenticato di farsi valere per quanto riguarda gli stipendi, che dovrebbero essere la prima preoccupazione per chi difende i lavoratori.
Il problema però è che non si può semplicemente rivendicare aumenti salariali quando la produttività non cresce, quando i costi per produrre sono comunque alti per gli annessi costi di sistema e per le inefficienze dovute alla dimensione delle aziende italiane; i salari non possono crescere se i settori dove siamo più competitivi sono anche quelli più esposti alla manodopera asiatica e relativa delocalizzazione.
I salari non crescono se imprenditori, funzionari pubblici e politici sono tutti collusi in barba alle regole di mercato che dovrebbero regolare il sistema.
Rispondi
di MTB70 [user #26791]
commento del 20/04/2025 ore 13:58:25
Aggiungo e per semplificare estremizzo: se il nostro fosse un sistema europeo dove i salari si adeguano al costo della vita e dove si rispettano di norma le regole, in cambio dei salari aderenti al costo della vita avresti alcuni milioni di disoccupati in più. Per evitare una vera economia di mercato con la sua inevitabile durezza, le classi dirigenti italiane (non solo i politici) hanno da sempre preferito un sistema di finto-mercato largamente assistito che hanno chiamato welfare state perché faceva figo chiamarlo così, non perché assomigliasse al welfare che esiste altrove.
Rispondi
di melonstone [user #55593]
commento del 20/04/2025 ore 17:53:49
Pienamente d'accordo con te. Sarò fuori dal tempo, ma da diversi anni continuo a sostenere quanto era giusta l'applicazione della cosiddetta "scala mobile". I detrattori sostengono che faceva schizzare l'inflazione... mi sembra che, anche in assenza di questo strumento, l'inflazione negli ultimi anni abbia galoppato, per cui...
Io sto seriamente pensando di mettere in vendita la mia telecaster fender made in usa 1999 per virare su una Gibson SG o Flying V, perchè inizio a preferire le tastiere morbide della Gibson...e da qualche giorno mi sto chiedendo quale sia il prezzo giusto cui vendere...forse mi conviene aspettare che vengano applicati i dazi
Rispondi
di MTB70 [user #26791]
commento del 20/04/2025 ore 20:59:49
Non vorrei andare troppo off-topic e ognuno può ovviamente pensare quel che crede ma sinceramente fintanto che abbiamo avuto la scala mobile l’inflazione alta era la norma ogni singolo anno, da quando è stata tolta abbiamo avuto quasi sempre un livello di inflazione del 2% tranne dopo il covid per motivi ben precisi. Stiamo parlando di 10-20%/anno contro 2% scarso. Non metterei i due periodi sullo stesso piano, mi pare più un artificio retorico che qualcosa di sostanziale.
Rispondi
di Francescod [user #48583]
commento del 20/04/2025 ore 21:45:42
Sono d'accordo con te. D'altra parte tra l'inerzia totale e un meccanismo controverso come la scala mobile c'è un tutto un mare di misure che si potevano intraprendere. Quel che più mi ha scioccato in questi è stato scoprire che il 99% delle persone con cui ho parlato non sapevano che stavamo avendo un periodo di fortissima inflazione. Addirittura molti appassionati di musica pensavano che gli aumenti ci fossero solo nel settore delle chitarre! Altri poi pensavano che fosse solo Gibson ad aumentare i prezzi. Negli ultimi quattro anni mi sono reso conto in quale mare di ignoranza viviamo. Lì ho capito che non abbiamo speranze e che i sindacati campano tranquilli tanto nessuno pretende nulla da loro. In altre Nazioni si sono mobilitati e hanno ottenuto buoni adeguamenti.
Boh.
Rispondi
di RedRaven [user #20706]
commento del 20/04/2025 ore 11:22:12
"Le chitarre “made in USA” sono raramente, davvero, fatte interamente negli Stati Uniti. Le grandi aziende del settore – da Fender a Gibson – basano la propria competitività su un equilibrio complesso: realizzano i modelli di fascia alta sul territorio nazionale, ma importano buona parte dei componenti dai mercati asiatici."

Secondo me state facendo affermazioni superficiali. Prendo una Les Paul Standard. Componenti: le meccaniche, pickups, potenziometri, ponte. Adesso scopriamo che le meccaniche o i pickups sono cinesi? Prodotti in Cina? non credo proprio. L'acciaio o l'alluminio arrivano dalla cina? forse, ma conta il valore della materia importata, quindi una frazione infinitesima del costo di un pickup. Non ho motivo di pensare che uno strumento USA venduto in USA debba avere aumenti significativi. O ci hanno preso in giro fino ad oggi e i Custombucker sono fatti oltre oceano?
Invece una Fender made in Mexico.. quella finirà per costare più di una player made in USA. Per loro.
Rispondi
di alexus77 [user #3871]
commento del 22/04/2025 ore 02:45:41
Ma neanche tanto. Ad esempio, prendi Gibson: i legni, anche per le CS, vengono da molti paesi diversi, tra cui gli USA, certo, ma anche Canada ed Europa per l'acero, e America Centrale per il mogano. Quindi gia' li i costi vanno su. Poi si, magari le meccaniche sono fatte negli USA, ma prendi ad esempio i CTS pots, quelli credo siano fatti a Taiwan. Le custodie, se non erro la maggior parte sono fatte in Canada. Alla fine, il prezzo sale, eccome
Rispondi
di KJ Midway [user #10754]
commento del 20/04/2025 ore 11:23:3
Che brutta cosa vedere facce di politici su questo sito, anche questo è un segno dei tempi che cambiano, e non in bene.
Rispondi
di Guycho [user #2802]
commento del 22/04/2025 ore 10:21:4
Pensavi che la politica fosse come una partita di calcio, che se non segui non ti riguarda?
Rispondi
di KJ Midway [user #10754]
commento del 22/04/2025 ore 10:55:47
Al contrario, a parte che il calcio mi rompe anche nkn seguendolo :))
È che da chenho memoria non mi sembra di aver mai visto faccioni di politici in home page su Accordo, solo questo ho posto in evidenza.
Poi parlare degli effetti dei dazi sulle chitarre è lecito e doveroso qui.
Rispondi
di redcapacci [user #33920]
commento del 20/04/2025 ore 11:26:34
io costruisco pedali, per la maggior parte li vendo in america;
Questa manovra ha colpito ESCLUSIVAMENTE i produttori americani, le componenti vengono esclusivamente dalla cina, con dazzi al 145% il prezzo medio della roba aumenta almeno di un terzo.
Dall'altra parte noi costruttori europei, se non vendiamo per 800$, non siamo nemmeno colpiti dal 20%
questo significa che i nostri prezzi rimangono gli stessi, mentre i loro aumentano verticalmente, e dire che voleva aiutare l'america hahahah
Rispondi
di RedRaven [user #20706]
commento del 20/04/2025 ore 11:29:42
ciao, non ho capito gli 800$ è una franchigia? Non è un valore molto alto, è per pezzo venduto?
Rispondi
di go00742 [user #875]
commento del 20/04/2025 ore 18:18:2
E' il discorso che facevo io ...infine a noi poco importa nel senso chi di noi esporta in quel paese vedrà i suoi prodotti penalizzati.

Per chi dice che le MADE in USA siano fatte interamente in USA probabilmente l'80% ma ad esempio abbiamo mai visto una tastiera fatta in un gibson factory tour ? ci mostrano sempre i body, i binding, le verniciature ma mai una tastiera (ebano o palissandro che sia) tagliata, sagomata ..vediamo le tastiere già belle pronte a cui applicano i tasti ma della produzione della tastiera il nulla quindi da supporre che arrivi dall'oriente.

Detto questo quella tastiera costerà il doppio? ma non può costarmi il doppio l'intera chitarra ....
Rispondi
di Yago71 [user #55788]
commento del 20/04/2025 ore 11:33:20
Mah .....tutta sta storia dei dazi mi lascia alquanto perplesso...
penso al costo dei materiali di una chitarra che e' di poche decine di euro...e poco altro di manodopera,visto che ormai e' quasi tutto automatizzato.....
Poi penso ai costi di vendita....e vedo un margine spropositato....
Che diventa "imbarazzante" sui prodotti di fascia piu' alta ...
Lo stesso discorso che vale per la tecnologia...( Vedi apple)...
Forse sara' ora che gli amici americani inizino ad accontentarsi di margini piu' bassi ...in alternativa prepararsi a tirare giu' la saracinesca..
Rispondi
di frankpoogy [user #45097]
commento del 20/04/2025 ore 19:20:46
Non ho compreso il passaggio dell'articolo che recita 'E mentre Trump cerca di rafforzare l’asse transatlantico...". Mi pare il contrario, francamente, un conflitto commerciale verso tutti, in cui giornalmente le condizioni al contorno cambiano, con l'alternarsi di decisioni e revoche/sospensioni spiazzanti. Le conseguenze di quella che ai miei occhi di non esperto di economia pare una politica parecchio improvvisata, credo siano difficilmente prevedibili nella loro interezza, ma di sicuro ci sarà anche chi ne approfitterà per alzare i prezzi pur non essendo particolarmente colpito, è inevitabile (basti pensare al periodo della pandemia, qualsiasi rincaro era colpa del COVID). Condivido alcune considerazioni fatte sui salari, e su questo tema aggiungo che non si può trascurare il tema dell'evasione fiscale, che in Italia supera gli 82 miliardi annui, ovverosia un multiplo di una manovra fiscale.
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di Shoreline [user #20926]
commento del 20/04/2025 ore 19:33:30
Il dazio più grande l abbiamo pagato comprando roba spacciata per USA o made in Italy ( non parlo di Paoletti) o ''qualita Tedesca'' e faccio riferimento a qualsiasi altro settore, dalla moda all alimentare al mondo dell' auto, pagato tanto e poi prodotto a basso costo e quindi prodotto da persone sottopagate. Poi ci meravigliamo di Trump e la ripercussione dei dazi quando 20 anni qualcuno ci ha sputtanato metà del potere d acquisto e dei risparmi passando dalla lira all Euro (di merda).
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di Mariano C [user #45976]
commento del 21/04/2025 ore 18:09:20
in tutta la zona euro il potere di acquisto è cresciuto negli ultimi 20 anni, TRANNE che in italia, quindi il problema è l'italia non certo l'euro
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di Shoreline [user #20926]
commento del 22/04/2025 ore 07:08:35
Intendi Germania e Francia ovviamente tutti gli altri gli hanno pulito le scarpe. Poi concordo che il problema più grande dell' Italia sono un buon 35% che non vuole lavorare e vive di sussidi sulle spalle di chi lavora.
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di Mariano C [user #45976]
commento del 22/04/2025 ore 07:42:41
Assolutamente no. Tutti i 26 paesi dell'area euro, chi più chi meno, hanno visto crescere stipendi netti e potere d'acquisto. Il vantaggio più grosso non l'hanno avuto certo Francia e Germania, che erano già i paesi più ricchi prima, ma le repubbliche ex sovietiche e paesi che erano più economicamente arretrati come Spagna, Portogallo o Irlanda, che hanno avuto crescite MOLTO maggiori di Francia e Germania. L'unico paese a non essere cresciuto é l'Italia, tutti gli altri con euro e mercato unico, che resta di fatto il mercato più ricco del mondo, sono cresciuti.
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di Mariano C [user #45976]
commento del 22/04/2025 ore 08:29:15
i dati di crescita li puoi comparare, non sono mica segreti vai al link e anche vai al link . Germania e Francia sono sempre sotto la metà classifica, dal 2005 nelle ultime posizioni. I paesi che sono cresciuti di più sono sempre quelli che partono da più indietro, è abbastanza ovvio. Sul "buon 35% che non vuole lavorare" non so dove hai preso sto dato, visto che la disoccupazione in italia è al 6,3%. A meno che tu non voglia inserire anche i pensionati, che non lavorano, allora potrei anche essere d'accordo, visto che si mangiano il 35% del PIL
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di TB [user #1658]
commento del 22/04/2025 ore 13:22:03
Dal secondo grafico linkato si evince che EU e EA (eurozona) hanno un percorso sostanzialmente equivalente, ma anche che l'EA cresce comunque sempre di meno rispetto a EU. Quindi in EU chi ha deciso di rimanere fuori dall'euro sembrerebbe aver avuto ragione, no?
Sia EA che EU, poi, hanno una crescita nettamente inferiore a quella cinese (ovvio), ma anche a quella americana. E allora non ti viene il dubbio che le assurde regole macroeconomiche che ci siamo dati in EU, austeritarie e procicliche, ci abbiano trasformato nel buco nero dell'economia mondiale, nonostante siamo "di fatto il mercato più ricco del mondo"? No, perché lo va dicendo in giro anche Draghi, ormai, che pure di quelle regole è stato uno dei custodi più feroci (do you remember Greece?): "Abbiamo perseguito una strategia deliberata volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri e, combinando ciò con una politica fiscale prociclica, l’effetto netto è stato solo quello di indebolire la nostra domanda interna e minare il nostro modello sociale." vai al link
Quanto mi piacerebbe avere le tue stesse certezze...
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di Mariano C [user #45976]
commento del 22/04/2025 ore 13:41:4
Si ricordo la Grecia, che è stata trattata coi guanti, visto che ricordo anche il discorso in diretta di Papandreu nel 2009 dove ammetteva candidamente che i governi greci per quasi trent'anni avevano falsificato i bilanci per poter usufruire dei vantaggi del mercato unico, truffando di fatto tutti i partner europei, e non solo. Le "assurde regole macroeconomiche" sono quelle che rendono la UE il luogo al mondo dove, rispetto a qualsiasi altro mercato (nord americano, sudamericano, cinese, sud est asiatico, africano....) c'è, leggi alla mano, la maggior tutela della privacy, del consumatore, del lavoratore, dell'ambiente (a meno che qualcuno non voglia sostenere che in Cina ci sia una maggior tutela dell'ambiente e in USA del consumatore....). Sono assolutamente d'accordo a ridurre la tutela della privacy e le protezioni corporativistiche di cui l'Italia è l'esempio supremo, ma se pensi che la frase estrapolata dal discorso di Draghi significa quello che pensi voglia dire, o non hai ascoltato tutto il discorso, o non hai capito a chi si rivolgeva. Quella frase è spesso citata come una critica all’intera politica economica europea. Tuttavia, letta nel contesto del discorso pronunciato a Jackson Hole nel 2014, emerge il vero bersaglio della sua analisi: non l’Unione Europea in quanto tale, ma piuttosto alcuni suoi membri che, perseguendo politiche di compressione salariale competitive in modo non coordinato e affiancandole a misure fiscali procicliche, hanno compromesso la domanda interna e minato il modello sociale europeo. Draghi denuncia dunque un tradimento dello spirito cooperativo che dovrebbe animare l’Unione, mettendo in guardia dai rischi di una corsa al ribasso salariale tra Paesi partner. È paradossale, quindi, che quella frase venga frequentemente usata per attribuirgli una visione eurocritica, quando in realtà rappresentava un richiamo a una maggiore solidarietà e coordinamento all’interno dell’UE.
E indovina un pò quali sono i paesi che hanno applicato con maggior forza le politiche che Draghi critica? I paesi e i partiti che si oppongono a una politica fiscale comune che risolverebbe gran parte di questi problemi? Quelli meno europeisti e più sovranisti come l'Ungheria, o i vari LePen.
poi è vero che nei grafici si vede che l’eurozona cresce un po’ meno rispetto all’intera UE, e che entrambe crescono meno di USA e Cina — ma da qui a dire che “chi è rimasto fuori dall’euro aveva ragione” ce ne passa. I Paesi UE che non usano l’euro spesso sono economie più piccole, che partivano da livelli più bassi e stanno semplicemente recuperando terreno (tipo Polonia, Romania, ecc.). Non è l’assenza dell’euro che li fa crescere di più, ma altri fattori, come fondi europei, crescita demografica, o riforme fatte in casa. E comunque, stare fuori dall’euro non significa automaticamente andare meglio (vedi il Regno Unito post-Brexit). L’euro ha dei vincoli, certo, ma offre anche stabilità, protezione dai cambi e tassi d’interesse bassi. Non è l’euro che blocca la crescita dell’Italia, ad esempio — sono problemi nostri, strutturali.

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di TB [user #1658]
commento del 22/04/2025 ore 15:20:1
Accidenti, che risposta veemente e scomposta, mi sa che ho toccato qualche nervo scoperto, vero?
Io parlo di “assurde regole macroeconomiche in EU, austeritarie e procicliche” e tu fraintendi volutamente, citando la legislazione su privacy, ambiente e lavoro, che è proprio il motivo, tra l’altro, per cui esiste la globalizzazione (spostare la produzione dove il capitale non ha questi vincoli, per aumentare i profitti e abbattere il potere contrattuale dei lavoratori). Troppo facile, così!
A riprova ti cito Draghi dal discorso di La Hulpe nel 2024, quando, da pensionato in cerca di un ruolo, si arrampica sugli specchi parlando di competitività (per una macroarea con un enorme surplus commerciale!), ma deve ammettere che le regole dell’eurozona sono quelle di farsi la concorrenza tagliando i salari e, quindi, diminuendo la domanda interna (e il welfare: pensioni, sanità, istruzione) per poter campare di esportazioni, cosa che ovviamente ci manda in crisi quando c’è uno shock esterno (pandemie, guerre commerciali, guerre guerreggiate) e non c’è più un mercato interno decente a salvarci.
E tu? Mischi le date (caxxo c’entra Jackson Hole 2014? Non hai il coraggio, allora, di tornare indietro fino al 2011, alla famigerata lettera della BCE che imponeva l’austerità al governo italiano in nome di principi che adesso il suo estensore tranquillamente rinnega?), spari giudizi moralistici e razzisti su interi popoli, denotando una povertà umana impressionante, e ti inventi pure una Le Pen al governo pur di svicolare da una discussione un minimo seria su problemi oggettivi ed evidenti ormai a tutti.
Ti lascio, come un soldatino giapponese in un’isola sperduta del Pacifico, a difendere fino alla fine la bandiera dell’euro.
Poi un giorno qualcuno verrà a dirti che Draghi si è arreso e ha ammesso l’ultima ovvietà: "Abbiamo perseguito una strategia deliberata volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri perché, con la moneta unica, non c’è altro modo per compensare gli squilibri tra economie diverse, visto che non si può più agire sui tassi di cambio”. Ma tanto è tutta colpa di Orban e della Le Pen, no? (Che uno l'euro non ce l'ha mai avuto e l'altra non è mai stata al governo, ma fa lo stesso, mica ci mettiamo a sottilizzare, qui siamo su un sito di chitarristi, vale tutto...)
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di Mariano C [user #45976]
commento del 22/04/2025 ore 18:35:48
Capisco le critiche all’eurozona e non le liquido affatto, anzi: Draghi stesso, nel discorso di La Hulpe, ha criticato senza mezzi termini il modo miope in cui alcuni Paesi UE hanno cercato competitività abbassando i salari, anziché cooperando e investendo. Ma attenzione: non stava dicendo “è inevitabile che l’euro funzioni così”, stava dicendo “è stato un errore politico farlo funzionare così, e bisogna cambiare”.
E qui arriva il paradosso: chi oggi urla contro “l’euro delle regole assurde” spesso è lo stesso che si oppone a quelle soluzioni che renderebbero l’eurozona più equa e funzionale, come una fiscalità comune europea, trasferimenti solidali, una vera capacità di bilancio centrale. E chi sono i principali oppositori di tutto questo? Proprio i partiti “sovranisti”, sia al Nord che al Sud. Quelli che dicono “prima gli olandesi” o “prima gli italiani” impediscono che si costruisca quell’Europa solidale che servirebbe per correggere gli squilibri dell’euro.
Poi c’è l’altro punto: dire che “USA e Cina crescono di più” può anche essere vero, ma dimentica come crescono. Lo fanno anche grazie a pratiche (delocalizzazione estrema, dumping ambientale e sociale, concorrenza interna al ribasso) che in Europa abbiamo volutamente limitato per proteggere cittadini, lavoratori e ambiente, e che sono proprio quelle messe in atto dai paesi CRITICATI da Draghi. Non puoi dire “l’UE è lenta” e poi criticare l’UE perché non è abbastanza spietata. La lentezza in certi ambiti è il costo — forse alto, ma consapevole — di uno standard più alto di diritti e tutele. Se vuoi quei numeri di crescita, devi anche essere disposto ad accettare quelle condizioni. E spesso, per fortuna, in Europa non lo siamo. In sintesi: i problemi ci sono e Draghi li ha messi in chiaro. Ma se davvero vogliamo risolverli, la strada è costruire più Europa, non smontarla pezzo per pezzo.

Tra l'altro, il nodo iniziale rimane: tutti i Paesi dell’eurozona tranne uno — l’Italia — hanno visto crescere salari reali e potere d’acquisto. E parliamo di economie molto diverse fra loro: chi ha puntato sull’innovazione, chi su formazione, chi su export avanzato, ma tutti hanno fatto qualcosa per diventare più competitivi senza tagliare diritti o welfare. L’argomento “è colpa dell’euro” si sgonfia da solo, se appena guardiamo i dati. Il problema, semmai, è che l’Italia ha smesso da tempo di investire seriamente nel proprio futuro, e non ha alcuna intenzione di farlo adesso. Non investe in scuola, non in ricerca, non nella PA, non nella transizione verde, non nella natalità. Infatti continua — e continuerà — il suo declino demografico, sociale ed economico. Non per colpa dell’euro, ma per colpa in primis dei suoi cittadini ed elettori.
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di TB [user #1658]
commento del 23/04/2025 ore 12:16:3
Senti, non mi interessa discutere le tesi di un ormai pensionato Draghi, ti rimando a Blanchard se vuoi delle critiche “certificate”: “Essential issues raised, but not fully answered by the Draghi report” vai al link (titolo perfido, by the way ;-)
Draghi l’ho citato solo come l’esempio più clamoroso di un rappresentante dell’establishment europeo che, per giustificare la crisi attuale, comincia ad ammettere gli errori fatti e, soprattutto, la vera natura del progetto EU, che è mercantilista e nient’affatto solidarista. Rileggi: “Abbiamo perseguito una strategia DELIBERATA volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri e, combinando ciò con una politica fiscale prociclica, ecc.”: smonta in un colpo solo tutta la retorica “progressista” di cui è stato rivestito un progetto che non ha nulla di democratico (non potrà mai esistere un unico ‘demos’ europeo formato da decine di popoli con lingue, religioni e culture diverse, dove le classi politiche dei paesi del Nord incitano apertamente al razzismo contro i paesi del Sud, loro “frugali”, noi “maiali” (PIGS)) e che prevede una governance accentrata e dirigista (alla faccia del libero mercato!), sovraordinata e irresponsabile rispetto ai parlamenti dei paesi componenti, ridotti a meri passacarte di decisioni prese altrove, “al riparo del processo democratico” (Monti dixit) e al servizio degli interessi dei paesi forti (Francia, Germania e loro satelliti), che da sempre applicano le regole agli altri e le disapplicano o le fanno cambiare quando toccherebbe a loro (alla Francia, per dirne una, hanno quasi sempre permesso di sforare pesantemente il tetto al deficit del 3%, per sostenere spesa sociale e crescita senza dover fare austerità per rientrare dai deficit estero e di bilancio: sono capaci tutti a crescere così!).
L’euro, moneta strutturalmente più debole del marco, è nato per sostenere le politiche mercantilistiche tedesche che, con il loro eccesso, hanno portato prima alla distruzione (via “austerità”) delle economie del Sud Europa, poi all’enorme deficit commerciale verso gli USA, che hanno reagito a modo loro (non puoi pensare di schiacciare tutti come la Grecia…): inserimento della Germania nella lista dei paesi manipolatori di moneta, Dieselgate, una guerra ai confini orientali, con tanto di gasdotti esplosi “misteriosamente”, e ora i dazi di Trump.
E io, nel 2025, dopo tutto questo, devo ancora sorbirmi, pure qui su Accordo (!!!), la favoletta piddina del “Ci vuole più Europa, basta sovranismi”?
Ma per favore, torniamo a suonare che è meglio…
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di Mariano C [user #45976]
commento del 23/04/2025 ore 12:40:11
Se citi Draghi come prova del fallimento dell’UE, allora non puoi al tempo stesso liquidarlo come un “pensionato”: le sue affermazioni – così come le critiche che gli muove Blanchard – non sono una condanna dell’Europa in sé, ma un riconoscimento della necessità di una maggiore integrazione politica, fiscale e industriale. Quindi sì, Draghi ammette che ci sono stati errori, ma il suo punto è che per correggerli serve più Europa, non meno. Ed è qui la contraddizione di fondo: i maggiori oppositori delle politiche fiscali comuni – che potrebbero davvero risolvere molti squilibri dell’eurozona – sono proprio i partiti sovranisti, spesso gli stessi che gridano all’ingiustizia dell’euro, ma poi si oppongono sistematicamente a qualsiasi passo avanti verso un’unione politica ed economica più solida.
Se poi mi parli di PD caschi proprio male visto che sono di opposta parrocchia, allo stesso modo in cui considero i sovranismi nient'altro che una purulenta crescita cancerosa dell'arcaico concetto di tribù, che umanamente trovo ripugnante. È vero che la governance europea è imperfetta e che spesso il peso politico ed economico della Germania e della Francia è stato preponderante, ma non si può nemmeno ignorare che l’UE ha costruito meccanismi di solidarietà unici al mondo: fondi di coesione, tutele sociali, standard ambientali e sanitari, e strumenti come il Next Generation EU. Se alcuni paesi ne hanno beneficiato più di altri, è anche perché hanno saputo usare meglio le risorse disponibili e hanno puntato sull’innovazione, sull’istruzione, sull’inclusione nel mondo produttivo. L’Italia ha spesso rinunciato a farlo: ha tagliato la spesa in ricerca, ha favorito politiche di breve periodo, non ha investito seriamente in produttività né in competitività, e ora paga il prezzo anche in termini di declino demografico e coesione sociale. Quanto alla democraticità dell’UE: certo, può e deve essere rafforzata, ma non è vero che le decisioni vengano prese in modo completamente opaco. Il Parlamento europeo è eletto a suffragio universale, la Commissione è votata da esso, e il Consiglio europeo è composto dai governi democraticamente eletti dei paesi membri. Serve semmai un dibattito pubblico europeo più forte, più trasparenza e meno veto nazionali. Ma tutto questo richiede ancora una volta più Europa, non un ritorno ai nazionalismi che hanno già mostrato di non funzionare. È falso inoltre che solo la Germania abbia tratto vantaggio dall’euro: tutti i paesi che hanno saputo mantenere un equilibrio tra produttività e coesione hanno visto crescere salari e benessere. L’Italia è l’unico paese dove, dal 1999, salari e potere d’acquisto sono rimasti stagnanti o in calo: questo dato da solo smentisce le letture puramente “anti-euro.” L’euro non è stato imposto dalla Germania: è nato come compromesso, e se oggi la moneta unica è “strutturalmente più debole del marco”, è anche perché la BCE deve tenere conto degli interessi comuni, non solo di Berlino. L’eccesso di surplus tedesco è un problema, ma non basta a spiegare il declino italiano. Quanto poi alle differenze nel rispetto delle regole: è vero che alla Francia sono stati concessi margini maggiori, ma ciò è avvenuto in un contesto dove ha dimostrato maggiore capacità di gestione politica ed economica. L’Italia ha accumulato promesse non mantenute e piani mai attuati, e questo ha minato la fiducia dei partner. Sulla retorica anti-Sud, hai ragione: il linguaggio dei “frugali” è spesso odioso e umiliante, ma non si combatte chiudendosi nel vittimismo o nel nazionalismo. Lo si combatte pretendendo regole comuni, applicate a tutti, e meccanismi redistributivi efficaci. Infine, sul paragone con Cina e USA: bisogna essere coerenti. Se si critica l’UE perché “crescerebbe troppo lentamente”, bisogna anche riconoscere che proprio quella lentezza è figlia delle garanzie che offre a cittadini, lavoratori e consumatori, al contrario dei modelli cinesi e americani che spesso delocalizzano, tagliano salari e riducono tutele. Non si può quindi usare la crescita altrui come modello se si rifiutano – giustamente – le pratiche su cui si basa. In definitiva: l’UE ha bisogno di riforme profonde, ma l’alternativa non è tornare indietro. È impegnarsi, con rigore e lucidità, per cambiarla dall’interno. L’illusione di una via nazionale autarchica è già stata smentita dalla storia.

P. S. Sui gasdotti esplosi ho i miei sospetti su chi sia stato, ma chiunque sia gli stringerei la mano e gli darei un abbraccio, visto che erano un cordone ombelicale marcio che teneva egato il continente al suo principale e dichiarato nemico. È stato sicuramente un servizio a me e ai miei cari che ho parecchio apprezzato
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di MTB70 [user #26791]
commento del 23/04/2025 ore 13:16:20
Volevo sono dire che concordo su tutto e in particolare sull'ultimo paragrafo. Quel gas era una trappola ed una minaccia, meglio riconoscere l’errore e guardare altrove, e se un “incidente” aiuta a ritrovare il senno, ben venga.
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di TB [user #1658]
commento del 23/04/2025 ore 14:12:07
Mariano, per favore, finiamola qui, sul serio. Non ho mai visto una tale sequela di luoghi comuni sciorinata con tanta naturalezza e tranquillità, ignorando completamente i reali meccanismi di funzionamento delle istituzioni politiche, nazionali e sovranazionali, e dei rapporti (di forza) tra stati. Oltre a ignorare tutto l’ormai ampio dibattito scientifico eurocritico (nel senso dell’EU e dell’euro) che tu demonizzi usando il termine “sovranismo”, da cui fai derivare, non so come, autarchia e altre scemenze varie.
“Il Parlamento europeo è eletto a suffragio universale”: sì, ma non conta un cazzo, ziobono! E’ l’unico parlamento che non ha potere legislativo, ti rendi conto in che “mondo” viviamo? E se andasse tutto così bene (migliorando qualcosa, bontà tua…), perché i partiti “sovranisti” stanno prendendo piede dappertutto (ma, attenzione, non stanno al governo quasi da nessun parte, per ora, quindi di che li puoi accusare?)? Non sarà perché la gente alla fine tanto bene non sta e cerca una via d’uscita da questa situazione, chiunque gliela offra? Soprattutto in Italia, dove i governi europeisti “duri e puri” degli anni 2011-2022 (con la breve parentesi del Conte I) sono stati i primi della classe in termini di “riforme” (quelle che servono a tenere sotto schiaffo i lavoratori e a tagliare pensioni, spesa pubblica e investimenti per rientrare nei magici e a-scientifici “parametri europei”), con i bei risultati che adesso deplori?
“alla Francia sono stati concessi margini maggiori, ma ciò è avvenuto in un contesto dove ha dimostrato maggiore capacità di gestione politica ed economica”: sì, vabbé, con le barricate per strada quando hanno provato ad alzare l’età pensionabile (meno che da noi, ca va sans dire…) e la scomparsa dall’orizzonte politico del partito socialista francese… ma di che parli?
No, dai, basta così, non ha senso, abbiamo perso fin troppo tempo, se qualcuno ci ha letto trarrà le sue conclusioni… Passo e chiudo.

P.S. Sui gasdotti esplosi posso apprezzare anch'io, ma ti faccio notare che si è trattato di uno schiaffo dell'imperatore ad un vassallo che, per l'ennesima volta, si era montato troppo la testa, confidando nella "forza" che gli dava il predominio incontrastato su quella "UE che ha costruito meccanismi di solidarietà unici al mondo", che a questo servono. Bye
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di Mariano C [user #45976]
commento del 23/04/2025 ore 14:26:24
Mi dispiace che tu abbia deciso di chiudere il confronto con un tono liquidatorio, ma non posso accettare l’accusa generica di “luoghi comuni” senza che tu abbia indicato con precisione quali sarebbero. Ho portato argomentazioni articolate, basate su dati, fatti storici e dinamiche istituzionali, mentre tu rispondi con generalizzazioni che spesso cadono proprio in quei cliché che mi imputi.
Parli del Parlamento europeo come di un organo privo di poteri: questo è semplicemente falso; a sentire ste fregnacce il mio manuale universitario di "Diritto dell'Unione Europea" prende fuoco, significa letteralmente non avere idea di cosa si parla. Il Parlamento europeo ha potere legislativo congiunto con il Consiglio dell’Unione Europea su quasi tutte le materie, secondo la procedura di codecisione (oggi chiamata procedura legislativa ordinaria). Ha potere di bilancio, può approvare o respingere la Commissione, e ha voce importante nelle trattative internazionali e sui fondi europei. Che poi servano riforme per rafforzarlo ulteriormente è un altro discorso, e sono d’accordo. Ma dire che “non conta un cazzo” non è un’analisi politica: è una frase da bar. A meno che tu non voglia dire "facciamolo contare molto di più" e allora sono assolutamente d'accordo: sono pienamente a favore al rafforzamento del potere del parlamento europeo e della riduzione delle competenze dei parlamenti nazionali
Inoltre, non ho demonizzato il pensiero critico verso l’UE. Ho criticato un certo tipo di sovranismo che rifiuta ogni forma di cooperazione sovranazionale, che chiama “autarchia” ciò che non lo è, ma che spesso lo diventa nei fatti quando si riduce la complessità a slogan come “prima gli italiani” o “torniamo alla lira”. Se citi il “dibattito scientifico eurocritico”, bene: portalo. Ma se ti rifugi nella chiusura e nell’insulto, allora quel dibattito lo stai sabotando tu stesso.
Sull’ascesa dei movimenti sovranisti: certo che guadagnano consensi, in un contesto di crisi sociale, stagnazione salariale, diseguaglianze e sfiducia nelle istituzioni. È una dinamica nota e comprensibile. Ma il fatto che crescano nei sondaggi non è una prova della loro efficacia, né tantomeno della bontà delle loro proposte. Anche i populismi autoritari crescono nei momenti di crisi: non per questo diventano automaticamente la soluzione. L’analisi politica non può fermarsi al “la gente è arrabbiata, quindi hanno ragione quelli che urlano di più”.
Hai poi evocato i “governi europeisti italiani” come responsabili del declino. Ma qui va fatta chiarezza: le riforme fatte in Italia non sono affatto le riforme strutturali che l’Europa (e la realtà) ci chiedono da decenni. Sono state per lo più riforme di facciata, incoerenti o addirittura controproducenti. Qualche esempio? La riforma Fornero, fatta in emergenza, ha creato uno scalone senza politiche di accompagnamento per chi perdeva il lavoro oltre i 50 anni, con effetti disastrosi sull’occupazione giovanile e sull’invecchiamento forzato della forza lavoro. Il Jobs Act ha generato una bolla di contratti a tutele crescenti drogata da incentivi pubblici, senza affrontare la reale rigidità del sistema duale italiano (ipertutela per alcuni, precarietà per gli altri). Finita la decontribuzione, boom di contratti a termine. La cosiddetta “Buona Scuola” ha introdotto il caos nella gestione delle cattedre e ha ridotto il tema dell’istruzione a una questione di numeri e algoritmi, senza investimenti seri in qualità didattica, edilizia scolastica o formazione. Gli investimenti pubblici in infrastrutture, ricerca, transizione digitale e verde — quelli veri, che servono per far crescere la competitività — sono rimasti sempre sottofinanziati. Il PNRR è stata un’occasione parziale, mal gestita in molti casi, e già rallentata da mille pastoie burocratiche. Queste non sono le “riforme” che servono; lo sarebbero state se fossero stato MOLTO più pesanti di quello che sono state poi formulate nel modo. Ma magari avere una Fornero Bis ben più incisiva. Sono aggiustamenti di corto respiro, spesso imposti più per “fare bella figura” a Bruxelles che per risolvere i problemi strutturali italiani. L’Europa, semmai, ha chiesto più investimenti in capitale umano, efficienza della PA, giustizia civile, contrasto all’evasione, digitalizzazione: tutte cose che l’Italia ha fatto poco o niente per realizzare. La Francia ha avuto proteste dure, vero, ma è anche il paese che ha mantenuto più investimenti pubblici, più sostegno alla scuola e alla sanità, e ha saputo (fino a poco fa) attrarre più capitali esteri dell’Italia. Che il Partito socialista francese sia crollato dice più della crisi della sinistra europea che non della tenuta dello stato francese.
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di TB [user #1658]
commento del 23/04/2025 ore 17:14:28
Mariano, ho “troncato il confronto con fare liquidatorio” per spossatezza e inutilità, visto che rimaniamo, legittimamente, entrambi sulle nostre posizioni, che nascono da presupposti e interessi diversi, legittimi anche quelli, e che ci portano a leggere la realtà con lenti molto diverse e aspettative opposte. Per te il progetto europeo è una grande opera incompiuta, da portare a termine costi quel che costi. Per me, invece, che distinguo tra CEE e UE, da Maastricht in poi è diventato un incubo mal concepito e peggio realizzato, ideato per permettere quella svolta neoliberista realizzata da Reagan e dalla Thatcher in USA e UK, ma che qui in Europa era impedita dalle Costituzioni ad impianto social-democratico, utili prima per arginare il fascino del comunismo presso le masse di lavoratori, ma diventate un intralcio per il libero dispiegarsi del capitale con il comunismo ormai morente. E allora via con le cessioni di sovranità a organismi sovranazionali regolati da Trattati prolissi e spesso contraddittori, ma ben chiari nel definire la prevalenza di “un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale” (art.3 TUE), dove ovviamente quella che conta è la prima parte della frase, a scapito della seconda. Tanto è vero che quando verrà istituita la BCE non le si darà il compito di tutelare la piena occupazione, come per la FED, ma solo il controllo dell’inflazione, a tutela del mero interesse dei creditori.
Ma, ripeto, le nostre divergenze di fondo sono chiare, legittime e inconciliabili, quindi perché insistere nel confronto? Servirebbe solo a trasformarlo in uno scontro, pure scorretto e sbracato (per esempio l’affermazione “Ho portato argomentazioni articolate, basate su dati, fatti storici e dinamiche istituzionali, mentre tu rispondi con generalizzazioni che spesso cadono proprio in quei cliché che mi imputi” te la posso rigirare pari pari…).
E poi qui SIAMO in un bar, c’è poco da fare, le semplificazioni sono inevitabili, non possiamo allegare la bibliografia scientifica ad ogni post (comunque, per rimanere nel campo giuridico, Giandomenico Majone, Alessandro Mangia, Luciano Barra Caracciolo hanno scritto cose interessanti sul tema, chi vuole può darci un’occhiata).
Stammi bene, e la prossima volta spero di discutere solo di musica, ciao.
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di Mariano C [user #45976]
commento del 23/04/2025 ore 17:24:45
Capisco il tono stanco, e condivido il desiderio di evitare uno “scontro sbracato”. Ma visto che sono state fatte affermazioni forti — e che chiamano in causa non solo divergenze valoriali, ma veri e propri dati di realtà — credo valga la pena chiarire alcuni punti, anche per chi eventualmente ci legge.
Il cuore del tuo messaggio è una lettura ideologica secondo cui l’Unione Europea sarebbe stata creata per smantellare lo Stato sociale europeo e imporre un ordine neoliberista sul modello anglosassone. Ma questa tesi, affascinante sul piano narrativo, cozza frontalmente con la realtà normativa, sociale ed economica dell’UE.
L’Europa — a partire proprio dal progetto Maastricht — non ha mai adottato il paradigma ultraliberista in stile Thatcher o Reagan. Al contrario:
-I sistemi di welfare europei restano i più estesi e costosi al mondo, con una spesa pubblica media sul PIL superiore a quella degli Stati Uniti, in sanità, scuola, protezione sociale, pensioni. Eccellenze ci sono anche altrove (Canada, Australia, Singapore....) ma la media UE è sempre ai primi posti
-Il mercato europeo è fortemente regolamentato: dalla protezione ambientale alla tutela dei consumatori, dai diritti dei lavoratori alle norme sulla concorrenza. Prova a chiedere a una multinazionale americana quanto è “neoliberista” il Regolamento REACH sui prodotti chimici, o il GDPR sui dati personali. È assolutamente paradossale accusare di ultra liberismo il mercato con la legislazione più stringente al mondo in termini di antitrust, concorrenza e protezione del consumatore. Quali sarebbero i mercati migliori da questo punto di vista?
-La stessa BCE, che citi come simbolo del dogma monetarista, ha di fatto adottato politiche ultra-espansive dal 2015 in poi (quantitative easing, tassi negativi, acquisto di titoli pubblici) — tutto il contrario della rigidità da “Bundesbank-style” che molti paventavano.
Inoltre, proprio l’esperienza del COVID e poi del PNRR ha mostrato una svolta solidaristica senza precedenti, con la sospensione del Patto di Stabilità, la creazione di debito comune (Next Generation EU) e l’avvio di programmi europei per finanziare investimenti pubblici nei singoli Stati membri. Altro che neoliberismo sfrenato: questa è integrazione fiscale solidale, in netta discontinuità rispetto al passato.
Parli dell’art.3 TUE come se fosse una foglia di fico, ma dimentichi che quel principio — “un’economia sociale di mercato fortemente competitiva” — nasce proprio come sintesi tra efficienza e giustizia sociale, tra impresa e diritti. L’UE non è perfetta, ma la costruzione stessa di un mercato regolato e non “selvaggio” nasce per evitare esattamente le distorsioni delle economie deregolamentate.
E qui sta la contraddizione centrale della tua posizione: non puoi accusare l’UE di essere l’araldo del neoliberismo globale e, nello stesso tempo, lamentarti che soffochi l’iniziativa nazionale con vincoli e regole. Le due cose sono logicamente opposte: il neoliberismo pretende meno Stato, meno regole, meno vincoli. L’UE, semmai, è un costrutto faticosamente basato su regole comuni che proprio i governi degli Stati membri hanno negoziato, firmato e spesso chiesto di irrigidire. E per continuare sulla narrativa di questa "Europa di Shroedinger" critichi il Parlamento europeo dicendo che non conta un cazzo, eppure le istituzioni europee riescono allo stesso tempo a non contare nulla ma a imporre a tutti (sopratutto all'Italia, poverella lei...) i loro dictat
Infine, sul piano politico, c’è un ulteriore paradosso da evidenziare: se davvero l’UE fosse l’ariete del tecnocapitalismo globale, com’è possibile che sia proprio Bruxelles a infliggere le uniche vere sanzioni antitrust alle grandi multinazionali digitali? Google, Apple, Amazon, Meta: tutte hanno subito in Europa multe miliardarie e sono soggette a regolamenti stringenti come il Digital Markets Act e il Digital Services Act, che non hanno eguali né negli Stati Uniti — dove spesso quelle stesse aziende dettano l’agenda — né tantomeno in Cina. L’UE è oggi il principale soggetto regolatore globale, spesso in aperto contrasto con gli interessi delle grandi piattaforme. Questo è l’esatto opposto di una resa al neoliberismo: è un tentativo, difficile e imperfetto, di riaffermare la sovranità democratica nello spazio economico globalizzato.
Insomma, che ci siano critiche legittime all’UE, è pacifico. Ma leggere l’intera costruzione europea come una cospirazione neoliberista significa ignorare tanto la complessità quanto i fatti concreti. È una narrazione, non un’analisi.
Rispondi
di Mariano C [user #45976]
commento del 23/04/2025 ore 17:47:19
Permettimi di tornare ancora su un punto che per me è davvero centrale e che trovo irrimediabilmente contraddittorio nel tuo discorso: l'idea che l’Unione Europea sia il cavallo di Troia del neoliberismo tatcheriano o reaganiano. Se analizziamo nel concreto le politiche UE — e non gli slogan — ci rendiamo conto che si tratta, al contrario, della più grande macchina di regolazione del mercato che il mondo contemporaneo conosca. Con tutte le sue imperfezioni, l’Unione è una diga contro le derive di un mercato selvaggio, ben più di quanto non siano mai state le singole legislazioni nazionali nei decenni pre-Maastricht. Negli anni ‘70 e ‘80, in molti paesi europei — Italia compresa — non esistevano minimi garantiti omogenei per orario di lavoro, tutele contro lo sfruttamento negli appalti, limiti al precariato o meccanismi di coordinamento delle politiche sociali. Oggi, grazie all’UE, esistono: la direttiva sull’orario di lavoro (48 ore settimanali max, riposo minimo garantito), la Garanzia Giovani, la direttiva sui salari minimi adeguati (non obbliga un salario minimo unico, ma impone parametri per valutarne la sufficienza e la copertura contrattuale), il principio di “stesso lavoro, stessa retribuzione nello stesso luogo” (importantissimo nella regolazione del distacco transnazionale dei lavoratori). Altro che deregulation: questa è regolazione condivisa e vincolante, e chiunque abbia provato a smantellarla si è scontrato con Corte di Giustizia e Parlamento Europeo. L’UE ha introdotto norme come: il diritto di recesso online (14 giorni senza giustificazione), la garanzia legale di 2 anni su tutti i beni di consumo, i limiti alle pratiche commerciali scorrette (con pubblicità ingannevoli e vendite aggressive vietate), la regolamentazione degli OGM e dell’etichettatura alimentare (tra le più severe al mondo). Ti sembra neoliberismo questo? Negli USA — patria del reaganismo — puoi vendere un prodotto difettoso e cavartela con un rimborso simbolico, mentre l’UE impone rimborsi completi, obblighi informativi e responsabilità diretta del produttore. Negli anni ‘70, molte legislazioni nazionali erano letteralmente inesistenti in tema ambientale. L’Italia, ad esempio, non aveva neanche un Ministero dell’Ambiente fino al 1986. Oggi l’UE ha: il sistema ETS (scambio delle quote di CO₂), il Green Deal Europeo (neutralità climatica entro il 2050), il divieto progressivo di veicoli a motore termico entro il 2035, una strategia sulla biodiversità e la lotta alla deforestazione importata, la tassonomia verde, che definisce cosa può essere considerato “investimento sostenibile”. Anche qui, ti invito a cercare qualcosa di simile in Cina, negli USA o persino nei BRICS. Non c’è paragone. Il GDPR — General Data Protection Regulation — è il regolamento sulla privacy più avanzato al mondo. Ha costretto persino aziende americane ad adattarsi. Solo il Canada ha una legge comparabile, ma ispirata proprio al GDPR, e il Giappone anche. La Cina? Tutela i dati sì, ma solo nella misura in cui servono al Partito. Gli USA? Lasciano ai singoli Stati la questione, con una giungla di norme locali che tutelano poco e male. E le mega-multe antitrust a Google, Amazon, Apple, Meta…? Solo in Europa si sono viste. Gli USA, finora, non hanno mai fatto nulla di realmente incisivo contro i monopoli digitali. Accusare l’UE di essere figlia del neoliberismo è un rovesciamento totale della realtà. Il neoliberismo, quello vero, lo vedi: dove lo Stato si ritira, dove non ci sono tutele universali, dove il profitto di pochi prevale sull’interesse pubblico, dove si affida tutto alla competizione selvaggia. L’UE — pur con i suoi limiti — fa esattamente l’opposto: interviene, regola, impone diritti minimi, spesso anche contro gli interessi delle multinazionali e talvolta contro la volontà di governi nazionali più “disinvolti”. E non dimentichiamoci che molti stati membri erano, negli anni ‘80, assai meno protettivi e regolatori di quanto non siano oggi proprio grazie alla cornice europea. L'Italia stessa ha avuto per anni il primato per morti sul lavoro, inquinamento industriale impunito, precariato selvaggio. Molti miglioramenti normativi si sono avuti solo grazie a recepimenti obbligatori di direttive UE. Se oggi possiamo discutere di tutto questo con spirito critico, è proprio perché siamo dentro uno spazio giuridico e politico aperto, che — contrariamente a ogni propaganda — è l’ultima barriera seria contro le degenerazioni vere del mercato globalizzato. E questo, francamente, col thatcherismo e reaganismo non ha niente a che vedere.

Pensare davvero che le costituzioni nazionali fossero un argine al Reganismo e la legislezione UE, OSCENAMENTE più pesante delle singole costituzioni in tutte quelle che sono i limiti (antitrust, privacy, ambiente, consumatore, lavoro, welfare....) invece no è un totalmente fuori dalla realtà. Con buona pace di Caracciolo che farebbe bene a leggersele le leggi, e il cui Orizzonte48 è un orizzonte assai limitato, quando non scade proprio nella fanta giurisprudenza, che resta insieme al citato Mangia una delle voci decisamente MENO scientifiche di analisi, con il loro formalismo esagerato, l'uso selettivo e strumentale delle fonti e il riduzionismo economico-giuridico. Sembrano dei Marco Mori che ce l'hanno fatta (un pò di più). Poi pure io ho la mia ideologia molto specifica e auspico la dissoluzione degli stati nazionali, ma almeno non mi lascio andare a supercazzole come quelle di Caracciolo sulla UE incompatibile con la costituzione...
Rispondi
di spillo91 [user #17528]
commento del 23/04/2025 ore 18:45:14
Beato tu che ancora ci credi... ti consiglio di non andare mai a guardare dove lavori oggi la stragrande maggioranza degli ex commissari ed ex parlamentari europei. Non c'è niente di peggio di una vittima che difende i propri aguzzini (J.P. Sartre).
Rispondi
di Mariano C [user #45976]
commento del 23/04/2025 ore 19:01:46
Beato te che pensi di aver scoperto l’acqua calda. Davvero, “non guardare dove lavorano oggi gli ex commissari”? Come se fosse un segreto oscuro che dopo 40 anni di carriera ad alto livello qualcuno entri in un think tank, in un consiglio di amministrazione o in una fondazione internazionale. Credi forse che i ministri, presidenti del Consiglio o direttori generali degli anni ’70 o ’80 — in Italia, in Germania, in Portogallo — andassero a fare i pizzaioli o grigliare wrustel una volta terminato il mandato? La politica di alto livello è sempre stata intrecciata con ambienti economici e accademici, e nessuno ha mai pensato che questo bastasse, di per sé, a delegittimare un intero progetto politico. Il punto è un altro: non è dove finiscono a lavorare le persone, ma quali sono i contenuti delle politiche che producono. E se guardiamo questi contenuti, come già detto, le normative europee sono tra le più avanzate al mondo nel contrastare proprio lo strapotere delle grandi aziende, in tema di privacy, antitrust, diritti dei lavoratori, ambiente (mi piacerebbe leggere le legislazioni migliori in caso contrario...). Ma capisco: è molto più comodo lanciarsi in anatemi pseudo-rivoluzionari da tastiera, piuttosto che studiare davvero i testi, le dinamiche istituzionali e il quadro normativo. Ottima la citazione di Sartre poi, che della difesa dei carnefici ne ha fatta proprio una bandiera e una scelta di vita, se gli piacevano politicamente
Rispondi
di Guycho [user #2802]
commento del 05/05/2025 ore 09:41:18
Scusa, ma questa del "dove lavorano gli ex-commissari" non ha alcun senso, se non quello di darsi ragione.
Rispondi
di ares [user #1335]
commento del 20/04/2025 ore 23:29:54
Non ho idea dove voglia arrivare Trump, ma qualcuno che finalmente dica che il Re è nudo deve pur esserci. E il Re non è altro che la globalizzazione che di fatto è stato una grande vantaggio, a catena:
- per gli imprenditori che hanno delocalizzato lucrando sul minor costo del lavoro;
- per gli azionisti cui non importa nulla del prodotto, purchè possano staccare dividendi;
- per i manager che compiacciono gli azionisti e portano a casa ricchi bonus quando il valore della azioni sale, indipendentemente dal fatto che l'aumento dipenda da licenziamenti o prodotti scadenti;
- e, dulcis in fundo, per i grandi fondi internazionali e le grandi banche d'affari che controllano il mercato e la finanza internazionale.
"Fender itself is owned by a group of investors, and BlackRock's involvement would likely be as one of those institutional investors."

E' emblematico il caso Boeing che, pur di essere in anticipo sul mercato e portare a casa contratti (e quindi valore per gli azionisti e bonus per i manager), ha lesinato sulla sicurezza.
Rispondi
di MTB70 [user #26791]
commento del 20/04/2025 ore 23:38:56
Tutto vero e spesso davvero disdicevole. Però dimentichi un altro grande beneficiario della globalizzazione: i consumatori, ossia tutti noi. Se da domani i telefoni con la mela li producessero negli USA io, probabilmente tu e sicuramente gran parte dell’umanità non potremmo permetterceli. Non potremmo prenderci un maglioncino nuovo per stagione, cambiare macchina così spesso (e probabilmente la dovremmo prendere più piccola) e certo non potremmo collezionare chitarre (parlo del nuovo, ovviamente). La gente andrebbe rieducata ad avere poche cose, ma proprio poche come una volta (e spesso di qualità scadente, come avveniva ai tempi in cui la globalizzazione non c’era e i produttori nazionali stavano sicuri dietro ai muri alzati dal protezionismo coi loro prodotti scadenti, consapevoli che la concorrenza non c’era) - ci pensi tu? Chiedo perché a me scappa da ridere al solo pensiero.
Dimenticavo un altro beneficiario: i lavoratori nei paesi emergenti. Andiamo a dire ai cinesi, agli Europe dell’Est, ai latini-americani che i lavori grazie ai quali sono usciti dalla povertà non ci sono più perché la globalizzazione era una fregatura - secondo me, vista dal mondo che non è Occidente, questa posizione suona piuttosto egoista ed elitaria.
Rispondi
di Mariano C [user #45976]
commento del 21/04/2025 ore 18:11:26
hai dimenticato i circa 2 miliardi di persone che in asia e africa sono usciti dalla miseria più nera grazie alla globalizzazione. L'elenco da complottista da baretto di chi si è arricchita fa parecchio ridere
Rispondi
di ares [user #1335]
commento del 21/04/2025 ore 23:19:01
Sarà complottismo da baretto, però confronta a quanti anni di stipendio di un operaio corrispondeva la retribuzione annua di un amministratore delegato di una grande industria 30-40 anni fa e a quanti secoli di stipendio corrisponde oggi.
E qual è la percentuale di persone che detiene il 95% della ricchezza mondiale oggi rispetto anche solo a 20 anni fa.
In Cina e nei paesi dell'Estremo Oriente sotto la sua influenza i miliardi di persone sono usciti dalla miseria perché la linea politica non è più quella fallimentare del maoismo, della rivoluzione culturale e della follia dei Pol Pot.
L'India ha risorse materiali e umane.
Che in Africa si sia usciti dalla miseria più nera è da vedere, dal momento che milioni di persone pare vogliano venire in Europa.
Dopodiché puoi tornare al tuo anticomplottismo da fan ridens di FMI, BCE, WEF ecc.
Rispondi
di Mariano C [user #45976]
commento del 22/04/2025 ore 07:46:43
Più che altro sono fan ridens del mondo reale, dell'economia basata sui dati e non sulle finte lotte di classe da centro sociale da quattordicenne. Perchr ridurre la crescita cinese e indiana a "non é più maoismo" vuol dire non avere la minima idea di cosa sia l'economia. Idem per l'africa, che non é certo fatta solo di capanne, ma indovina, esiste gente con molta melanina capace anche di costruirsi strade, città e industrie
Rispondi
di spillo91 [user #17528]
commento del 22/04/2025 ore 08:57:01
Escludere il concetto di lotta di classe dall'economia significa non aver capito niente di economia... meglio suonare la chitarra.
Rispondi
di MTB70 [user #26791]
commento del 22/04/2025 ore 09:04:54
Non è la sede per discuterne ma faccio fatica a darmi una definizione di lotta di classe nel 2025, quando la società è divisa per interessi e ciascuno di noi ha una posizione diversa a seconda del tema specifico che si discute. Non è più tu di qua ed io dall’altra parte. Adesso siamo tutti suddivisi in gruppetti che cambiano continuamente a seconda della situazione e quindi contro chi dovrei lottare? Contro me stesso?
Meglio se parliamo di chitarre.
Rispondi
di Daffy Dark [user #64186]
commento del 22/04/2025 ore 10:40:02
Ma, parlare di chitarre ultimamente qui sopra, mi sbaglierò io, ma credo non importi più a tanti, visto che se sommi i commenti di questo articolo a quello di Giacomo Turra si arriva a 110, mentre su articoli di chitarre ed effetti vari si rasenta lo 0 o poco più.
Vero che di determinate vicende esistono apposite sedi dove parlarne, ma ormai è inevitabile, a me pare ci sia più un desiderio di sfogo che non di voglia di condividere passioni legate alla musica e alle chitarre, sarà il momento, sarà che siamo stanchi, sarà inoltre che ormai si è detto di tutto e di più su ampli, chitarre ed effettistica.
Ponila come vuoi, basta spostare l'ago verso analogico vs digitale, conta più la mano o la strumentazione, cosa ne pensate dei Maneskin, ma ormai si commenta e si discute solo su tematiche da tiro al bersaglio..
Rispondi
di MTB70 [user #26791]
commento del 22/04/2025 ore 11:05:53
Un po’ è una dinamica di internet: più un tema genera discussioni polarizzate e polemiche e più ci tuffiamo a commentare. E poi sono temi sui quali tutti hanno una opinione, mentre se parli dell’overdrive xyz se io non lo conosco magari me ne sto zitto.
E sicuramente siamo stanchi - negli ultimi cinque anni siamo passati da una turbolenza all’altra (covid, inflazione, guerre, dazi) e con l’eccezione della pandemia, le altre possiamo tutte allegramente ascriverle ai nostri comportamenti - non miei o tuoi, ma diciamo che sono ferite che l’umanità si è auto-inflitta per un motivo o per l’altro.
Rispondi
di Daffy Dark [user #64186]
commento del 22/04/2025 ore 12:13:41
Ma facci caso, anche in un articolo di pochi giorni fa, dove si annunciava un nuovo talento femminile della chitarra, i commenti già dal primo, hanno subito sviato l'argomento deviando totalmente la discussione, anche li si stava aprendo una valvola di sfogo, allora per questo mi chiedo, ma la chitarra e tutti i suoi contorni interessa ancora a qualcuno qui sopra?
Se come dici tu, se un overdrive non lo conosco mi taccio, dovrebbe allora estendersi anche su campi dove nessuno mastica di economia globale, politica, strategie di mercato eccetera, soprattutto su un sito dove si tratta di musica e chitarre, ma ognuno è libero di parlare e ci mancherebbe, io preferisco tacere anche perché, se il presidente di una nazione che sta ai vertici dell'economia e non solo, si è potuto permettere di usare termini da bar, come vengono tutti a baciarmi il culo, se mi ci mettessi io che non sono nessuno allora chissà a ruota cosa ne verrebbe fuori..
Rispondi
di Francescod [user #48583]
commento del 22/04/2025 ore 16:02:04
Premesso che sono d'accordo in toto con MB70, tornando su una frase che hai detto sul parlare di chitarre, a me invece viene da chiedermi: ma qualcuno la musica la ascolta ancora? :)
Lo chiedo perché in realtà vedo che di strumentazione si parla sempre moltissimo: gli youtuber sono molto seguiti e commentati nella loro promozioni, e sui social ogni novità viene, bene o male, affrontata. Invece spesso mi chiedo perché non si parli mai di musica intesa come ascolti, come album, discografie. L'altro giorno ho ripreso ad ascoltare i Megadeth dopo una lunga pausa in cui mi ero dedicato a decine di altri artisti. Ho ascoltato album che avevo completamente saltato, in particolare uno (Cryptic Writings), e mi sono chiesto con chi poterne parlare, visto che ho un solo amico che ascolta molta musica, mentre tutti gli altri sono piuttosto settoriali e... limitati nei loro ascolti.
Facendomi questa domanda mi sono chiesto più in generale come mai non si parli mai di band, artisti, album ecc., o comunque se ne parla pochissimo. Non che io la consideri una tragedia, è solo un mio interrogativo che potrebbe benissimo nascere da un'errata percezione.
Rispondi
di Daffy Dark [user #64186]
commento del 22/04/2025 ore 16:38:
Io l'ascolto e la compro ancora, non tantissima ma qualche cd lo compro di tanto in tanto, sicuramente poca musica odierna e molta del passato, ho ordinato pure il nuovo live postumo di Gary moore, in uscita il 23 maggio, poi ho preso un triplo cofanetto di Bowie alla modica cifra di 19€ e ho preso una raccolta di Vinicio Capossela a soli 12€, questo sabato mattina in centro a RE, in negozio fisico e non online, come già ben sai amo anche leggere le biografie di artisti vari dove ne ho parlato e consigliato in miei vecchi post
Rispondi
di Francescod [user #48583]
commento del 22/04/2025 ore 22:56:56
In realtà stavolta non parlavo di acquisti, ma di occasioni in cui si parla di ciò che si ascolta. Non ne vedo, o mi sbaglio?
Rispondi
di Daffy Dark [user #64186]
commento del 23/04/2025 ore 07:05:20
Beh, ogni tanto qui in home page qualche articolo, raro, capita di leggerlo, però si, se ne parla pochissimo, e comunque la mia risposta a MTB più sopra, non voleva essere polemica, ma era in risposta all'ultima frase quando ha scritto è meglio parlare di chitarre allora, da li è nata la mia riflessione dove ho detto espressamente che ormai i post o articoli dedicati a chitarra non li commenta più nessuno. Detto ciò, tu citi i Megadeth i quali sono stati di fondamentale importanza per me e non sono mancati nei miei ascolti di ragazzo, da Killing Is My Business fino a CTE li avevo tutti, poi lo scorso anno, quando ho donato buona parte dei miei cd ad una biblioteca, li ho donati tutti e mi sono tenuto solo RIP e CTE, per me i più iconici e meravigliosi
Rispondi
di TB [user #1658]
commento del 22/04/2025 ore 16:00:24
Come si fa a mettere un like qui? TANTI like?
Redazioneee!!!
Rispondi
di Tex Mex [user #62079]
commento del 21/04/2025 ore 05:29:37
Io penso che alla fine si risolverà tutto come una bolla di sapone.
Rispondi
di DiPaolo [user #48659]
commento del 21/04/2025 ore 13:20:52
A me piacerebbe sapere "chi è quello stupido che ha fatto entrare il rinoceronte in cristalleria?". Quell'animale non pensa, carica e poi si ritira per caricare qualcos'altro, senza una logica, senza una conoscenza anche solo superficiale del mondo degli affari e danneggiando primariamente proprio quegli americani che l'hanno eletto, continuando ad urlare il suo motto MAGA. Penso che sarà fermato proprio dagli americani che già sono riusciti a fargli rinviare i dazi tanto sbandierati. Paul.
Rispondi
di Met15 [user #47365]
commento del 21/04/2025 ore 18:30:09
I dazi sono sospesi quasi tutti (chissà se mai partiranno davvero).
Verso la Cina sono in piedi da anni.

Tutta speculazione.
Rispondi
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