Il ritorno di Leo Kottke e l’arte del fingerpicking
di redazione [user #116] - pubblicato il 23 aprile 2025 ore 07:10
Dopo quasi cinquant’anni, Leo Kottke torna a calcare un palco italiano, riportando con sé il suono legnoso delle sue sei e dodici corde. Un viaggio nel tempo e nello spazio, tra ironia, virtuosismo e poesia acustica. Milano si prepara ad accogliere un gigante della musica come un vecchio amico mai dimenticato.
Il 17 novembre 2025 il Teatro Elfo Puccini di Milano ospiterà un evento raro e prezioso: il ritorno in Italia di Leo Kottke, uno dei massimi interpreti mondiali del fingerpicking su chitarra acustica. Classe 1945, statunitense, Kottke rappresenta una figura di culto per generazioni di musicisti e ascoltatori, grazie a uno stile inconfondibile fatto di tecnica trascendente, umorismo disarmante e un approccio profondamente personale alla composizione e all’arrangiamento.
Il concerto milanese – previsto per le ore 21:00 e promosso da Barley Arts – segna il ritorno in scena italiana del chitarrista dopo un’assenza lunga quasi mezzo secolo. L’ultima apparizione risale infatti al 1979. A ricordarlo è proprio Claudio Trotta, fondatore della storica agenzia di concerti: “Era un’epoca pionieristica. La gente si accalcava per ascoltare artisti come Kottke in sale cinematografiche trasformate per l’occasione. Portavo Leo in giro con un furgoncino giallo il cui antifurto si attivava a sproposito, e lui si arrabbiava ridendo…”
Un nomade del suono
Leo Kottke nasce ad Athens, Georgia, ma cresce spostandosi continuamente tra dodici stati diversi degli USA. Una vita in movimento che si riflette nella sua musica, capace di sintetizzare influenze disparate: dalle marce di John Philip Sousa ai boogie ipnotici di Preston Epps, passando per il country-blues di Mississippi John Hurt. Dopo aver abbandonato lo studio del violino e del trombone, si dedica alla chitarra all’età di 11 anni, sviluppando un linguaggio unico su strumenti a sei e dodici corde.
Stabilitosi nell’area delle Twin Cities, diventa un habitué dello Scholar Coffeehouse di Minneapolis, lo stesso locale frequentato in passato da Bob Dylan. È qui che affina il suo repertorio e registra i primi nastri che attireranno l’attenzione di John Fahey, figura chiave del movimento American Primitive Guitar. Proprio Fahey lo introduce alla sua etichetta Takoma, con cui Kottke pubblica nel 1969 l’album 6 and 12-String Guitar, destinato a diventare un riferimento assoluto per ogni chitarrista acustico.
Carriera, collaborazioni e nuovi orizzonti
Negli anni ’70 Leo Kottke firma per Capitol Records e pubblica dischi che lo consacrano a livello nazionale. Con Chewing Pine (1975) entra per la seconda volta nella Top 30 statunitense. Ma il vero punto di svolta arriva nel 2002 con l’album Clone, frutto della collaborazione con Mike Gordon, bassista dei Phish. Il progetto si amplia nel 2005 con “Sixty Six Steps”, registrato alle Bahamas e prodotto da David Z (collaboratore di Prince), che mostra un lato più riflessivo e melodico di Kottke.
La sua discografia prosegue con regolarità, alternando lavori solisti a progetti in duo. Il più recente è Try And Stop Me, disco che combina brani strumentali e cantati, in un equilibrio maturo tra virtuosismo e immediatezza espressiva. Tra i riconoscimenti ricevuti, spiccano due nomination ai Grammy e un dottorato onorario in Music Performance conferito dalla Peck School of Music dell’Università del Wisconsin.
Una lezione di libertà musicale
Kottke è un autore schivo, ironico, con una voce roca e tagliente spesso usata per raccontare aneddoti surreali durante i concerti. Il suo stile chitarristico, che unisce thumbpicking, armonici artificiali, accordature aperte e poliritmie complesse, ha influenzato in modo diretto generazioni di chitarristi acustici, da Michael Hedges a Kaki King, fino ai contemporanei Daniel Bachman e Yasmin Williams.
Il concerto milanese si presenta dunque come un’occasione rara per ascoltare dal vivo un protagonista assoluto della chitarra acustica americana, capace ancora oggi di reinventarsi senza perdere autenticità. Un artista che ha saputo rimanere ai margini dell’industria pur influenzandola in profondità, e che torna in Italia con la leggerezza dei grandi viaggiatori, pronto a raccontare nuove storie con le sue sei e dodici corde.