Il brand statunitense non è mai stato estraneo alla sperimentazione, specialmente in un decennio divisivo come quello della Norlin Era, proprietaria anche del marchio Moog Music.
Nel ’77, quest’ultimo aveva già riscosso una moltitudine di successi con i suoi sintetizzatori; nella fattispecie nel 1964 con il primo modello omonimo, nel 1970 con il Minimoog, nel ’75 con il Taurus e nel 1978 con il Vocoder, solidificando la sua reputazione nelle più alte sfere della scena musicale dell’epoca e non solo.

Inserire una chitarra con circuito Moog nel catalogo Gibson sembrò una scelta dal successo quasi garantito per il board di Norlin. I dirigenti del gruppo, infatti, non avrebbero mai pensato di essere contraddetti praticamente nell’immediato dallo scarso interesse della clientela, ma andiamo per gradi.
Gibson RD: funzioni, caratteristiche e modelli della controversa linea sperimentale della Norlin Era
La serie RD presentava un’elettronica attiva progettata da Bob Moog in persona. La presenza del fondatore del brand di sintetizzatori durante il progetto RD di Gibson avrebbe assunto una valenza storica ancora maggiore di lì a poco, visto che avrebbe lasciato Moog Music non molto tempo dopo. In ogni caso, il circuito presentava un circuito di compressione ed espansione delle frequenze.

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È bene sottolineare, comunque, che la serie Standard (comprendente sia un basso che una chitarra) non presentavano l’elettronica Moog, appartenente invece ai modelli Custom e Artist. L’intera linea manteneva, invece, la scala a 24 ¾” usata nei design più convenzionali del marchio.
La variante Artist montava, poi, una circuitazione attiva con cui poter cambiare da bright mode, treble e bass boost, oltre alle sopracitate funzioni di compressione ed espansione delle frequenze. Lo strumento non presentava una modalità passiva, con l’elettronica che veniva alimentata da una batteria di 9v, collegata a una scheda grande quasi quanto tutto il body della chitarra in lunghezza e accessibile attraverso una cavità posta sul retro.

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Il modello custom presentava una scheda di dimensioni leggermente ridotte rispetto alla Artist che, tra l’altro, presentava anche dei pickup dall’output particolarmente basso, nell’ordine dei 3.62K.
La Standard era completamente passiva e manteneva, di fatto, soltanto le forme offset della linea. L’RD era disponibile anche come basso, ricordato soltanto dai fan sfegatati dei Nirvana, poiché ripresentato nel 2011 come modello signature per Krist Novoselic.

Per quanto riguarda le chitarre, invece, le Custom e le Standard uscirono di produzione nel 1979, mentre la Artist perseverò in catalogo fino al 1982. Come già accennato in precedenza, a discapito del potenziale, la serie RD non riscosse mai il successo che Gibson e, in particolare, Norlin speravano, finendo nel dimenticatoio fino ai giorni nostri.
Non è un segreto, del resto, che negli ultimi decenni le chitarre maggiormente sottovalutate in passato, abbiano avuto modo di tornare in auge. Dalle Fender Jaguar e Jazzmaster protagoniste del tramonto dello scorso Millennio alle , riscoperte da diversi chitarristi moderni, come dei Mastodon (prima di passare a ESP/Ltd), i Ghoul militanti nei Ghost, da anni promotori di Hagstrom con il modello Fantomen, sviluppato sulla base delle RD da loro utilizzate nei primi anni.
Le fasi finali della serie Artist
Complessità dei controlli e scarsa ergonomia delle forme sembrarono essere i motivi principali della disfatta prematura della linea RD. All’alba degli anni ’80, Gibson assunse l’ardua decisione di non rinunciare ancora al suo status pioneristico nell’ambito delle circuitazioni attive, utilizzando i sistemi Moog in strumenti dagli shape più tradizionali come la Les Paul e la ES Thinline.
Nacque così la serie Artist, comprendente chitarre come la Les Paul Artist, con un prezzo di 1299 dollari e la ES Artist da 1399 dollari. Per distinguere gli strumenti dalle loro varianti più tradizionali, Gibson adottò hardware dorati, un tailpiece TP6 con funzione di fine-tuning, strap lock e fermi in ottone su cui montare il ponte.

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Questa volta, i controlli presero la forma di tre potenziometri e tre mini-switch, dove i primi regolavano il volume centrale, i bassi e gli alti, mentre gli switch permettevano di ingaggiare le funzioni di bright-lead, compressione-espansione e circuitazione attiva. Infine, si trovava un regolare switch a tre vie per la selezione dei pickup.
A differenza delle RD, le schede vennero ridimensionate e rese più piccole, nonostante Gibson dovette rinunciare a parecchio legno anche sulle Les Paul affinché i sistemi venissero installati. Per quest’ultima vennero scelti segnatasti in madreperla, mentre alla 335 vennero rimosse le buche a F e si optò per dei dot ravvicinati, quasi in stile Gretsch.
Purtroppo, anche quest’ultimo tentativo da parte di Gibson fu snobbato dal pubblico, preoccupato che gli artifici dei circuiti Moog avrebbero snaturato strumenti, di per sé, già considerati tradizionali, anche a fronte di un prezzo maggiorato rispetto al listino dell’epoca.
Che la divisione Research and Development di Gibson non abbia dato i frutti sperati, ormai, è chiaro. Ciò nonostante, simili avventure nel mondo dell’innovazione chitarristica hanno contribuito – e contribuiscono tutt’ora – all’introduzione di strumenti confortevoli, moderni e, di fatto, unici nel loro genere, proprio come era la linea RD originale, fortunatamente rivalutata dal pubblico negli ultimi anni.

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