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Sly Stone: chi era il genio dietro “Everyday People” e il funk multirazziale
Sly Stone: chi era il genio dietro “Everyday People” e il funk multirazziale
di [user #65794] - pubblicato il

È morto a 82 anni Sly Stone, artista che ha rivoluzionato funk, soul e rock con una visione musicale e sociale radicale. Fondatore della leggendaria Family Stone, ha unito razze, generi e stili, lasciando un’eredità incancellabile nonostante una vita tormentata e carica di tensioni. Il suo groove resta un faro per intere generazioni.
Il genio che fuse funk, soul e rivoluzione culturale
Sylvester Stewart, in arte Sly Stone, ha incarnato come pochi altri lo spirito funk più dirompente degli anni Sessanta e Settanta. La sua band, Sly & the Family Stone, non è stata esclusivamente un laboratorio di groove esplosivi, ma un manifesto di integrazione razziale e parità di genere. A comporla, musicisti bianchi e neri, uomini e donne, sullo stesso palco, con lo stesso microfono, nello stesso funk. Stone è morto a 82 anni dopo una lunga battaglia contro la broncopneumopatia cronica ostruttiva (COPD), circondato dai figli e dalla famiglia. 

Sly Stone: chi era il genio dietro “Everyday People” e il funk multirazziale

Dalle radio nere alla rivoluzione del palco
Nato a Denton (Texas) nel 1943, cresciuto a Vallejo, California, Sly era un prodigio precoce: suonava chitarra, basso e batteria prima dei 10 anni. Iniziò come DJ per le radio soul di San Francisco (KSOL, KDIA), dove mise a fuoco le sue idee rivoluzionarie: “Non dovrebbe esistere radio nera, solo radio”, dichiarò, preconizzando un mondo musicale inclusivo.

Nel frattempo, era già un rispettato produttore: tra i suoi meriti, il successo di C’mon and Swim di Bobby Freeman e Somebody to Love della Great Society (pre-Jefferson Airplane). Collaborò anche in veste di session man con Dionne Warwick, Marvin Gaye e i Righteous Brothers.



Nel 1966 nasce la Sly & the Family Stone: i fratelli Rose e Freddie Stewart, il bassista Larry Graham, la trombettista Cynthia Robinson e il batterista Greg Errico unirono le forze in una formazione che anticipa di decenni la contaminazione stilistica che altre decadi si attribuiscono di diritto.

È Dance to the Music del 1968 a fare da detonatore: una bomba funk che dà voce e spazio a ogni strumento. Poi arrivano Everyday People, Hot Fun in the Summertime, Stand!, I Want to Take You Higher. In quegli anni, i concerti di Sly & the Family Stone  erano cerimonie laiche di liberazione collettiva, e l’esibizione a Woodstock nel ’69 ne è la concretizzazione più forte: pura elettricità interrazziale.



Dalla vetta alla caduta: There’s a Riot Goin’ On
Il sogno dura fino al 1971. L’album There’s a Riot Goin’ On è la crepa nella storia di Sly. Capolavoro oscuro, lento, saturo, denso di paranoia, un addio ai sogni del decennio precedente. Un po' come la caduta di quella speranza legata al mondo culturale degli anni '60, anche Sly sembra scoprire la disillusione. La Family Stone si smembra progressivamente, e Sly si avvita in una spirale di droga, distanziamento e autodistruzione. Nel 1974 Sly sposa Kathy Silva in un Madison Square Garden sold out, ma il matrimonio si scioglie pochi mesi dopo, il declino della sua vena creativa è ormai evidente. Gli album successivi (Heard Ya Missed Me, Well I’m Back, Back on the Right Track) non riportarono in auge il genio degli esordi, e anche il pubblico sembra prendere le distanze da una formula che a tratti appare addirittura anacronistica.



Genio in esilio: apparizioni e fantasmi
Negli anni Ottanta e Novanta, tra arresti per droga e ricoveri in cliniche di riabilitazione, Sly diventa una figura quasi mitologica. Nel 1993 viene inserito nella Rock & Roll Hall of Fame, quasi come a voler salvare il salvabile di un personaggio caduto in una sorta di turbine troppo forte per essere combattuto. La sua apparizione ai Grammy del 2006, con cresta bionda e sguardo perso nel vuoto, fu un’epifania malinconica. Nel 2011 si scopre che Sly vive in un camper a Los Angeles, eppure il suo nome restava leggendario, invocato da Prince, D’Angelo, Herbie Hancock, Red Hot Chili Peppers, Roots e una incalcolabile schiera di altri artisti.

Il peso del genio, la luce dell’eredità
Nel 2023 esce la sua autobiografia, Thank You (Falettinme Be Mice Elf Agin). L’anno dopo, il documentario Sly Lives! diretto da Questlove riporta l’attenzione su di lui grazie ad una  pellicola, sottotitolata “Il fardello del genio nero”, che indaga la tensione tra il genio musicale e il peso dell’identità razziale in un’America divisa.
Testimonianze di George Clinton, Chaka Khan, Q-Tip, Larry Graham, Jerry Martini raccontano la grandezza, ma anche la fragilità di un artista che voleva essere tutto: funk e soul, bianco e nero, radio e palcoscenico, ribellione e armonia.

Oggi Everyday People resta l’inno di chi sogna un mondo dove le differenze si ballano, non si temono. E forse è vero, come ha detto Martini nel film: “Io ero un uomo bianco che voleva essere nero. Sly era un uomo nero che voleva essere tutto.”

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