Il giorno del giudizio è arrivato: Black Sabbath, 5 luglio 2025
di Francesco Sicheri [user #65794] - pubblicato il 05 luglio 2025 ore 14:31
Dopo cinquant’anni di tritoni, invocazioni demoniache e riff più pesanti del piombo, i Black Sabbath chiudono il cerchio. Con “Back to the Beginning”, il quartetto di Birmingham saluta il mondo dal palco di casa, insieme a Ozzy e a un esercito di discepoli in distorsione. E se il metal è nato per non morire mai, forse è solo l’inferno a prendersi una pausa.
E così, alla fine, l’Apocalisse è arrivata. Niente cavalli dell’inferno, niente fiamme celesti, solo un palco a Villa Park, quattro ombre familiari e un pubblico che ha aspettato mezzo secolo per vedere chiudersi un cerchio fatto di riff, rituali e ruggiti. Oggi, 5 luglio 2025, i Black Sabbath celebrano il loro ultimo sabba, e non è solo un concerto: è un evento cosmico. È come se i Beatles suonassero Sgt. Pepper su Marte o Dimebag risorgesse per dirigere il Requiem di Mozart con un plettro tra le dita. È la fine, sì, e questa volta bisogna crederci.
Birmingham 1968: la nascita del male
Tutto comincia nel 1968, in una Birmingham che aveva lo stesso fascino di una caldaia arrugginita. Lì, nel cuore industriale dell’Inghilterra, quattro ragazzi – Ozzy Osbourne, Tony Iommi, Geezer Butler e Bill Ward – decidono che il rumore delle presse non basta: serve qualcosa di più potente, più oscuro, più... rumoroso. Un suono che faccia tremare i muri, le coscienze e, se possibile, anche le budella. Nascono i Black Sabbath, ma nessuno li prende sul serio. Troppo lenti. Troppo cupi. Troppo maledetti. Ma loro se ne fregano e fanno bene, perché da lì in poi ogni nota che grida rabbia, ogni distorsione che odora di zolfo, ogni canzone che parla di guerra, apocalisse e alienazione, avrà una sola matrice: Sabbath.
Il Sabba può avere inzio. L'alba dell'Heavy Metal
La leggenda inizia sul serio tra il '69 e il '70, con un album omonimo e un riff che ancora oggi fa tremare le chiese. Black Sabbath – il brano – è un incubo in tre atti. Pioggia battente, tritono diabolico, Ozzy che urla come se avesse visto Satana in persona al supermercato. E poi via, giù in un abisso sonoro che diventerà la colonna vertebrale di un intero genere. È l’alba dell’heavy metal, e nessuno lo sa ancora. Ma loro sì. E lo dimostrano pochi mesi dopo con Paranoid, l’album che contiene Iron Man, War Pigs e la title track più malata di sempre. Tutti pensano siano indemoniati, loro non confermano né smentiscono... Si limitano a suonare, e a farlo come se non ci fosse un domani.
Tony Iommi è una sorta di mago industriale, dopo aver perso le falangi di due dita in un incidente di lavoro, si costruisce delle protesi di plastica e inventa – letteralmente – un nuovo modo di suonare la chitarra elettrica. Il suo tocco è lento, pesante, intriso di melodia sinistra. È il padre fondatore del riff metal. E non parliamo di riff qualunque: parliamo di quelli che sembrano scolpiti nel granito con una motosega. Ogni nota di Iommi è una sentenza. Ogni suo accordo, una preghiera blasfema.
Ozzy, invece, è un miracolo ambulante. Ha la voce di un tostapane posseduto, il carisma di una rockstar in coma e l’energia di un bambino cresciuto a Red Bull e vinili dei Beatles. È il frontman perfetto, lì dove gli altri cantano, lui evoca. Quando parla, sembra un oracolo confuso; quando canta, sembra che stia chiamando a raccolta tutti i demoni degli inferi. E in effetti, un po’ lo fa... ma con stile.
Geezer Butler, bassista e paroliere, è l’anima filosofica del gruppo. Scrive testi che sembrano usciti tanto dall’Apocalisse di Giovanni, quanto da una seduta di terapia psicologica. Parla di guerra, alienazione, ingiustizia sociale, e fa tutto questo mentre tiene in piedi il suono più pesante della band. Il suo basso è una ruspa con le corde.
E poi c’è Bill Ward. Il batterista che suona come se stesse lottando con il tempo stesso. È caotico, tribale, jazzistico, imprevedibile, è il batterista che ogni band sogna e che ogni assicurazione teme. Quando suona, sembra che il mondo stia per esplodere. Ma in tempo.
Gli anni ’70 sono il regno dei Sabbath. Album dopo album, costruiscono una mitologia sonora che influenzerà tutto e tutti. Master of Reality, Vol. 4, Sabbath Bloody Sabbath, Sabotage… ognuno di questi album è una pietra miliare. I critici non (sempre) li adorano, ma il pubblico li ama. I Sabbath parlano a chi si sente alienato, a chi non crede nei fiori nei cannoni, a chi vuole musica che faccia male. E loro gliela danno, in dosi massicce.
La caduta e la rinascita
Poi arrivano i problemi. Droghe, alcol, ego, follia. Ozzy viene cacciato dalla band nel 1979. Troppo ingestibile, ma come ogni leggenda che si rispetti, non muore: si reinventa. La carriera solista di Ozzy è un’altra saga a sé. Da Crazy Train a Mr. Crowley, scrive un nuovo capitolo della Bibbia del metal, e nel frattempo i Sabbath non si fermano. Arriva Ronnie James Dio e con lui Heaven and Hell, un album capace di sconfiggere lo scetticismo di tutti. Ma i cambi di formazione si susseguono come in una soap opera, la gloria si alterna al caos, la creatività alla confusione.
Negli anni ’90 e 2000, i Sabbath vanno e vengono. Reunion, tour, progetti paralleli...
Ma nel 2013, il colpo di coda: 13, un disco nuovo con Ozzy alla voce. Non sarà un capolavoro, ma è la chiusura del cerchio.
O almeno così sembrava.
5 luglio '25, Back to the Beginning
Perché ora siamo qui. Villa Park, Birmingham. Il 5 luglio 2025. Back to the Beginning”. Il concerto finale.
Ozzy, Iommi, Butler e anche Ward di nuovo insieme, il mondo intero trattiene il respiro. Sul palco saliranno anche Metallica, Slayer, Pantera, Gojira, Halestorm, Alice In Chains, Lamb of God, Mastodon, Anthrax e una quantità di superospiti che neanche il Valhalla avevano previsto. È il momento di tornare dove tutto è cominciato e dare qualcosa indietro alla mia gente, ha detto Ozzy. Tutti i proventi andranno in beneficenza: Cure Parkinson’s, Birmingham Children’s Hospital e Acorn Children’s Hospice. Anche il Diavolo - ogni tanto - fa beneficenza, soprattutto se viene da Birmingham, dove l'accento brommie unisce più di ogni altro collante al mondo.
Ritorno all'oscurità
La verità è che i Black Sabbath non sono mai stati solo una band. Sono stati un genere, un movimento, una filosofia di vita. Hanno insegnato che puoi essere brutto, storto, fuori tono e comunque scrivere la colonna sonora della fine del mondo. Hanno dimostrato che la musica può essere un’esorcismo collettivo, un grido di guerra, una poesia... Forse non sublime, ma pur sempre una poesia.
E ora, mentre le luci di Villa Park si abbassano e le prime note di “Black Sabbath” risuonano ancora una volta, tutti dobbiamo prendere atto di una cosa: i Sabbath se ne vanno, ma allo stesso tempo restano. Restano nei riff di ogni band metal, nelle urla di ogni frontman, nei sogni (o incubi) di ogni chitarrista. Restano nel sangue e nelle orecchie. Perché non puoi uccidere ciò che è nato morto.
Il sabba è finito. Ma il buio, grazie a loro, è diventato casa.