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Michael Houser e i Widespread Panic, la trama silenziosa della jam rock americana
Michael Houser e i Widespread Panic, la trama silenziosa della jam rock americana
di [user #65904] - pubblicato il

Ci sono chitarristi che vivono per i riflettori, e altri che scelgono di parlare soltanto con le note. Michael Houser apparteneva alla seconda categoria: seduto, assorto, con il pedale del volume a plasmare paesaggi sonori più che assoli. Fondatore e anima silenziosa dei Widespread Panic, ha trasformato ansia e fragilità in energia creativa. Il suo stile – fatto di bending, slide e vibrazioni ipnotiche – era tanto personale da risultare irripetibile. E a oltre vent’anni dalla sua scomparsa, il ricordo di “Mikey” continua a vibrare con la stessa intensità di allora.
Era un osservatore sicuro di sé. Un oratore pacato. Un conversatore gentile. Un chitarrista solista improbabile con un timbro diverso da chiunque altro lo avesse preceduto. Aveva uno stile di suonare unico, fatto di bending, slide, tremolo e il pedale del volume che creava una vibrazione che ricordava un antico inno.
O un orso elettronico ringhiante. O una voce lontana che cantava una ninna nanna con un accento del sud. O un'aquila che si libra in volo. O una macchina oscura.

Ted Rockwell, creatore di Everyday Companion, la più estesa e accreditata banca dati online relativa ai Widespread Panic

Una manciata di giorni fa (il 10 agosto per la precisione), è stato l’anniversario della morte di Michael Houser, uno dei chitarristi più rappresentativi della scena jam rock statunitense. Morto il 10 agosto 2002 dopo una strenua battaglia contro un tumore al pancreas, “Mikey”, come veniva chiamato da amici e colleghi, ha però lottato fino alla fine, nota dopo nota, rendendo indimenticabili gli ultimi show della storica band di cui è stato cofondatore e chitarra solista fin dal lontano 1986, i Widespread Panic.



Panic. Pochi sanno che il nome del gruppo di Athens, Georgia, ha preso ispirazione proprio da Houser, il quale, ai tempi dell’università, soffriva di attacchi di panico… e pensare che, ad immaginarlo ancora sul palco, stretto alla sua iconica Fender Telecaster non lo si sarebbe mai detto. Costantemente assorto, immerso nella musica, coperto dai lunghi e mossi capelli color biondo cenere oppure intento a scambiare uno sguardo d’intesa con il cantante (nonchè ottimo chitarrista ritmico e compagno sin dai tempi della scuola) John Bell.

Michael Houser e i Widespread Panic, la trama silenziosa della jam rock americana

Houser ci ha lasciato da ormai ben 23 anni, ma è davvero come se fosse sempre lì con la creatura a sei teste che ha saputo far diventare tra le più longeve e amate di una scena - quella jam appunto - sinonimo, dagli Allman Brothers in avanti, di epiche gesta on stage ed altrettanto celebri e plateali tragedie (morti, incidenti, separazioni… l’elenco è consistente). "Keep the train rolling”, furono queste le sue parole quando, in procinto di andarsene, capì che non avrebbe più avuto molto tempo per fare la cosa che più di tutte amava: suonare.

Eppure il treno dei WP - nella sua idea - avrebbe dovuto continuare la corsa, proseguire quel meraviglioso viaggio iniziato nella seconda metà degli anni Ottanta e che, nel pieno dell’esplosione del grunge, aveva saputo mantenere un’identità salda, strutturata e matura pubblicando - oltre agli ottimi Everyday (1993), ’Til the Medicine Takes (1999), Don’t Tell the Band (2001) - anche un capolavoro assoluto, Bombs & Butterflies (1997). Un album che non soltanto accorpa alcuni dei pezzi più importanti della formazione - Tall Boy, Aunt Avis (feat. Vic Chesnutt), Rebirtha con la sua inconfondibile linea di basso ad opera di Dave School, la hit radiofonica Hope in a Hopeless World - ma suona fresco ancora oggi. Un classico, non c’è ombra di dubbio.

Michael Houser e i Widespread Panic, la trama silenziosa della jam rock americana
 
I Widespread Panic, che nel corso della carriera hanno mutato pelle più volte, reinventandosi senza però mai venir meno alla propria natura intrinseca, hanno potuto contare - oltre alla geniale firma di Michael Houser - anche sulla presenza, sul timbro e sulla grinta di un frontman come John Bell; sul playing avvolgente del già citato Schools; sulle parti di piano di John “JoJo” Hermann ed infine su uno scomparto ritmico da capogiro, Domingo S. Ortiz alle percussioni e Todd Nance alla batteria. Dal canto suo, Houser ha contribuito in più modi che, nonostante la bravura dei successori George McConnell (prima) e Jimmy Herring (dopo), non sono stati dimenticati. Modi che - quando con il pensiero ritorna all’epoca d’oro della band - ci fanno capire quanto sia grande l’eredità che il nostro ha saputo donarci nella sua significativa, seppure breve permanenza su questo pianeta.


…suonare è stato molto terapeutico per le nostre teste e il nostro cuore. Forse nell’aria c'era anche un po’ di volontà di negazione. Ci ha aiutato a non farci prendere troppo dalla paura per la sua morte. È andata come è andata, e ora fa parte della storia nel suo complesso.
John Bell

Il pedale del volume. Nello stile di Michael Houser, esso non costituiva un semplice ausilio tecnico nè tanto meno un accessorio da usare in maniera convenzionale. L’Ernie Ball volume pedal serviva a tutti gli effetti per garantire la piena espressione della visione sonora tipica del chitarrista dando corpo alla sua innata capacità di trasformare assoli e fraseggi in autentiche pennellate di colore in musica, da formidabile creatore di soundscapes qual era. Seduto, sovente ripiegato su se stesso, gli occhi chiusi, la sua Fender Telecaster Plus Deluxe, un Wah-Wah Dunlop Cry Baby, il BOSS DD-3 Digital Delay, corde D’Addario e l’immancabile testata Soldano SLO-100. Per il resto… un feeling naturale e la magia, quella del solo ed unico Mikey, a cui non possiamo far altro che rivolgerci con occhi lucidi e un pizzico di innegabile nostalgia.

Michael Houser e i Widespread Panic, la trama silenziosa della jam rock americana

So I went to see my girl, told her about my day
She said, “Life can be that way
But don’t give up, don’t give up, no,
’Cause where there is love, there is hope”

Widespread Panic, This Part Of Town

In seguito alla dipartita di Michael Houser, sono stati pubblicati due dischi postumi: Door Harp (Sanctuary, 2002) e Sandbox (Super Cat Records, 2006). L’invito è quello di ri-trovarli e assaporarne le composizioni assieme, cosa buona e giusta, ad un pronto ripasso del repertorio dei Panic. Le orecchie ne gioveranno, ed anche lo spirito.

Michael Houser e i Widespread Panic, la trama silenziosa della jam rock americana
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