1) Ciao, Daniele!Vuoi raccontarci un po’ del making del tuo singolo “Telephone Blues”?
Ciao Stefania, benvenuta e grazie per il tuo tempo.Telephone Blues è il primo brano che ho registrato per il mio album “Guitar for rent” che uscirà a Natale ed è stato subito scelto dal produttore Fabrizio Rizzo (proprietario dell’etichetta Gynmusic di Paderno Dugnano), come primo singolo. La piccola storia di questo brano: un sabato mattina mando un sms a una persona chiedendole di venire con me in un locale la sera, un po’ per cercare una data, un po’ per uscire insieme. Nel pomeriggio, proprio mentre sto suonando un blues in Mi a casa mia, ricevo la sua chiamata. “Mi spiace, ho un altro impegno, non posso”. A parte la delusione, mi rendo conto che la telefonata avviene proprio mentre sto suonando e il testo viene scritto così come lo si può ascoltare, nel giro di pochi minuti, con la classica struttura dei blues. Primo e secondo verso uguali, il terzo diverso. Anche il modo di scrittura dei versi, le frasi, rispettano e danno il giusto tributo al genere che forse amo di più, insieme al Rock, da cui arrivo. Tutto questo, a marzo. Eseguo il brano una volta in un live in piazza Duomo a Milano insieme a un altro, Prisoner of your love (presente anch’esso nel disco) e il responso del pubblico mi convince moltissimo. Dunque, registriamo. Alla fine di luglio entro in studio e nel giro di un pomeriggio, dopo avere fatto quattro take, il produttore sceglie la terza ed ecco fatto. Il risultato lo convince a scegliere questo brano e a decidere di produrlo in tutto e per tutto. Per la copertina ci siamo avvalsi della collaborazione di Paul Martusciello , un grande scatto realizzato da un grande fotografo di cui sentiremo presto parlare e l’hair styling di Stefania Spera, eccezionale professionista del look , a loro và un ringraziamento particolare.
2) Mi parlavi della scelta di alcune tecniche particolari che avete utilizzato per le riprese in studio
La prima scelta “forte” è di registrare “old school”, senza sovraincisioni. Quindi devo suonare, cantare e battere il piede sullo stompin’ bass circondato da microfoni. La chitarra utilizzata, una Godin 5th avenue kingpin viene microfonata sulla cassa e sulla tastiera e una terza traccia riprende il pickup p90 presente al manico. Aggiungi un microfono per la voce, un panoramico con cui Fabrizio intende riprendere i rumori, i respiri e le riflessioni dei suoni sulle pareti e il segnale dello stompin’ bass della Shadow, fondamentalmente una scatola contenente un pickup che simula un suono di cassa se ci batti sopra il piede. Di fatto, a parte la foresta di microfoni, è un’esecuzione dal vivo in tutto e per tutto. Un paio di prove e poi via, registriamo. Quattro volte di seguito, con un paio di minuti per riaccordare, asciugare le mani e bere. Poi via, in sala regia ad ascoltare. Individuiamo nella terza take il sangue, il pianto, lo sconforto, l’anima del brano e decidiamo di tenere quella. L’unica cosa che aggiungiamo è una piccola intro, dove immaginiamo che io sia in uno studio chissà dove, forse negli Stati uniti. Entro dicendo “No, no! I won’t call her!” mi siedo, parlo (“Ehi! Ok, ok!”) col fonico che evidentemente mi dice qualcosa, innesto il jack e dico “Andiamo”. Il resto è il solo iniziale presente in ogni take, anche questo ogni volta leggermente diverso. Nell’intro parlata, due microfoni panoramici per vivere la camminata registrata e nessun suono “già sentito”. Tutto live e naturale. La panoramizzazione dei suoni e il modo di mixarli sono una delle caratteristiche del brano, tra cantato e soli. Il solo è insieme alla ritmica. Nessuno mi accompagna, sono io ad alternare. Qualche nota di ritmica e il solo. Con un risultato che continua a sorprendermi e a soddisfarmi. Ovviamente qualche sporchino qua e là si può sentire ma credo renda il brano assolutamente autentico e vissuto fino in fondo. Non c’è nulla di romanzato. La storia che ascolti è vera e viene da lontano.
3) Sarei un po’ curiosa di sapere cosa ti ha ispirato brani e del tuo progetto in generale
La track list che contiene brani diversi tra loro è ispirata al mio lavoro di session man, di chitarra a noleggio (da qui il titolo Guitar for rent). Brani che arrivano sempre dai miei gusti e dalla mia esperienza, uniti proprio dal suono della mia mano. Il concetto sono brani più forti, quelli fatti da una chitarra a noleggio che tuttavia vuole vivere il suo lavoro-passione fino in fondo e brani più tenui, quasi come se la chitarra quando non viene noleggiata, si metta a dormire e sognare. Quattro brani tra cui il singolo sono ispirati alla stessa persona di Telephone blues. Una conoscenza difficile, molto forte che però ha smosso dentro di me montagne di sentimenti e anche la voglia di testimoniare un momento importantissimo nella mia vita proprio con questo disco. E davvero mi spiace che questa persona non ci sia proprio adesso. Avrei voluto che cantasse un brano che per me è molto importante, Besame mucho, proprio su GfR ma dato che non è possibile il brano non sarà presente. La musica nasce spesso dalla sofferenza e ti assicuro che svegliarsi con un peso allo stomaco per un sms che non arriva può toccarti dentro fino a far uscire cose che normalmente non scriveresti. Una cosa molto importante che vorrei dire è che il mio progetto di un album inizia con la recensione del mio brano “Impronte” da parte di Mike Molenda, direttore di Guitar Player magazine nel novembre 2008. Da quel momento sono iniziati contatti, amicizie, commenti positivi e vari contatti che mi portano nel 2010 ad apparire come ospite in una pagina di lezioni e in un articolo tecnico sulla mia strumentazione. I ragazzi di GP sono davvero grandi! Troverete “Impronte” su GfR in una versione che mixa quella vecchia (registrata nel 1999) con una nuova, una sorta di Impronte Reloaded. Alla fine di agosto, sono rientrato in contatto con un vecchio compagno di scuola, il grande tenore Salvatore Licitra, che mi aveva dato disponibilità per cantare su un brano. Il destino ha voluto che Salvatore morisse la settimana dopo. Un brano sarà per lui, su GfR.
4) Daniele: i tuoi mostri sacri!
Eric Clapton, Johnny Cash, Keith Richards e Billy Gibbons. Li accomuna la sperimentazione, la vita vissuta fino in fondo a costo di farsi male e il suono unico. Su Clapton non voglio dire nulla, si commenta da solo. Johnny Cash è un amore fortissimo per le canzoni, per la voce, tanto è vero che porterò in giro live il mio personale tributo a lui. Sul disco suonerò Folsom Prison Blues, è il minimo che possa fare per un mito come lui. Keith Richards è un altro genio-dinosauro. Gran sound e gran canzoni. La sua biografia Life mi ha aiutato molto nei momenti difficili. Sembra strano ma mi ha fatto capire meglio come affrontare quella che era una vera e propria dipendenza non da droghe ma da una persona, la mia personalissima Brown sugar. Oltre a farmi scoprire aspetti musicali della sua ricerca che ho apprezzato molto. Non ultimo, l’anello che porto e la mia Fender sono ispirate certamente a lui e a Billy. Billy Gibbons? Eccezionale e ancora troppo sottovalutato. Un suono eccezionale e un’immagine unica. Certo, poi dovremmo parlare anche di immagine qualche volta…
5) Riuscendo a a fare una mini chart al volo, vorresti darmi 5 titoli dei tuoi album “irrinunciabili”?
From the Cradle, di Eric Clapton, Live at Folsom di Johnny Cash, Live at Leeds degli Who. Non potendo citarli tutti direi almeno Rancho texicano, antologia degli ZZ Top. Aggiungiamo Shine a light, la colonna sonora del film di Scorsese sui Rolling Stones, anche qui scegliere diventa difficoltoso. Ci sarebbero poi i Black Sabbath, i Deep Purple con Jon Lord (ho suonato per lungo tempo l’organo hammond) il James Taylor quartet, i Motorhead (li adoro!)… la lista è molto lunga in verità. Ma i cinque sono quelli che ho davvero arroventato nel mio lettore.
6) Parliamo un po’ della tua gear!
Partiamo dalle chitarre. Due fondamentali, che possiedo da un paio d’anni e che hanno permesso alla mia mano di uscire completamente. La Godin 5th avenue Kingpin, una archtop con un p90 al manico senza spalla mancante, più improntata verso il blues e il rocknroll che verso il jazz che si è dimostrata di una versatilità unica. Basta giocare un po’ con volume e tono che diventa un’acustica, una jazz box piuttosto che adattissima per il blues. Volendo anche distorta suona da pazzi. Gran parte dell’album ha questa forte presenza. Qui, corde 012 con eventualmente la terza scoperta per farci del blues. La seconda, gran roccia, è una Fender Esquire messicana. Non ci crede nessuno ma almeno questa suona da pazzi. Un solo pickup al ponte, un manico tosto ed ecco un’altra “no frills guitar”. Versatilissima anche questa con il suo classico switching davvero interessante. Una posizione ti dà solo l’uso del volume bypassando i toni e quindi puoi avere il tele sound lancinante. Un’altra ti lascia usare i toni e io per esempio chiudendoli un po’ ottengo un finto humbucker che uso per la gran parte del tempo. L’ultima, chiude tutti i toni ma con un condensatore te ne ridà un po’ togliendo però un po’ di volume e nonostante perda presenza è ottima addirittura in un impianto voci o per suonarci jazz. Un finto pickup al manico. Niente male davvero. Corde 010. L’ultima arrivata è una LaPatrie Motif, una classica con cassa parlor che ha un suono leggermente compresso dovuto proprio alla forma della cassa. La mia ricerca si basa su chitarre particolari, diverse da quelle che scelgono tutti ma che mi permettono di esprimermi al meglio. Aggiungiamo una ventenne Gibson sg reissue 62 che però non deve uscire di casa, troppo affetto e troppa paura dopo che si è presa un diluvio. Come acustica ho una Babicz Tribeca che mi piace molto e presto arriverà una parlor Simon & Patrick. Le corde sono tutte D’Addario. Amplificazione, molto semplice. Marshall Jtm 45 reissue con cassa piccola 2x12 e un AER compact 60 per i live acustici. In più, un paio di pre per acustica, un Fishman pro eq II e un KK pure sound. Effetti. Non molti ma tosti anche questi. Il principale è un Great Wide Open della BMF di Los Angeles. Scott il proprietario mi sta dando l’opportunità di essere uno dei suoi artisti e ne sono molto fiero. Il pedale è un distorsore che ha tutto fisso tranne il volume e ti fa lavorare col volume della chitarra per variare le sonorità. È pazzesco, suona da Dio ed è davvero essenziale. Se abbassi quasi completamente il volume sulla chitarra il suono torna ad essere come se il pedale non ci fosse. Paura! Ci puoi sporcare il tuo ampli, saturarlo col suo volume e ancora avere le tue mani in primo piano. Se dovessi fare una serata con solo un pedale porterei questo e la Esquire. Aggiungo un favoloso RMC2 wah di Geoff Teese, un wah wah che puoi settare come meglio credi grazie ai suoi switch e che uso in svariate situazioni. Del genio Robert Keeley uso il suo Fuzz Head e il Katana Boost. Il boost specialmente mi aiuta col Bmf o sui puliti. Sempre però giocando col volume della chitarra. Delay, l’Aqua Puss della Way Huge e il Replica della T rex a seconda delle situazioni, che serva il tap delay o meno o semplicemente un appoggio. Ho altre cose come il box of rock e il super duper 2 in 1 della Z.Vex, dipende da cosa mi viene chiesto. Cavi tutti Klotz che adoro (il La Grange è ottimo) più un paio di Spectraflex. Plettri piuttosto grossi, tutti della Wegen belga. Quello che uso sempre e mai mi cade di mano è il Trimus 250, due millimetri e mezzo di plettro triangolare che ti dà un attacco fantastico. Ultimo, come microfono per la voce uso uno Shure SH55. Dimenticavo, lo Stompin Bass della Shadow!
7) Riguardo alla tua didattica, quali sono i princìpi fondamentali su cui si basa e quali sono i consigli che senti di dare a chi intraprende un percorso da Axe man?
Sicuramente la cosa fondamentale è “cucire”la lezione addosso all’allievo. Sono un appassionato di blues ma certo se uno mi chiede di imparare tecniche metal devo essere in grado di indirizzarlo in quella direzione. Quindi sweep, tap, leva e quant’altro. Ho diversi metodi, tutti americani che però filtro attraverso la mia esperienza e propongo allo studente in una forma che poi andiamo a integrare con le mie spiegazioni ed esempi. Una specie di sarto musicale e guida per addentrarsi o approfondire. Per lavorare al proprio percorso certamente è importante dedicare tempo alla teoria, all’armonia e alla tecnica sullo strumento ma non dimenticarsi di seguire una buona rivista che ci faccia leggere interviste e prove di strumenti fatte come dio comanda. Lavorare al proprio suono sperimentando e provando strumenti anche solo per rendersi conto del fatto che il proprio è migliore. Il confronto e il dialogo con amici, con l’insegnante sono fondamentali. Come seguire concerti e curiosare l’altrui strumentazione. È importantissimo anche non chiudersi in casa a studiare e fare scale 24 ore al giorno ma uscire a vivere. Ciò che suoniamo, che scriviamo, deriva certo dal nostro background ma anche un buon libro, un film possono avere spunti che prima o poi entreranno nel nostro suono. Suonare generi diversi dal nostro, con la mente aperta ci farà crescere. Non ultimo, non tirarsi mai indietro quando la vita ci propone qualcosa ma viverla fino in fondo. Io faccio così e i miei allievi sentono questa cosa, poiché ogni volta nelle lezioni non si parla solo di musica.
8) Dove possiamo sentirti, trovare il tuo disco e a quando e dove il tuo Showcase?
Il DanieleBonadeiTrio è in fase di prove e molto presto potrete assistere ai miei live, con brani del disco e cover rivedute e corrette da me, come la mia versione di Smoke on the water che trovate sul mio myspace (www.myspace.com/fatboyguitar). Con me alla batteria ci sarà l’amico Andrea Cassano, ottimo batterista e Alessandro Porro al contrabbasso, un altro musicista di gran gusto. Io oltre che suonare la chitarra, canterò. Il mio singolo è scaricabile da iTunes, Amazon, Ovi Store e molti altri portali di download digitale che potete reperire visitando il mio sito www.danielebonadei.com mentre per lo showcase mi troverete alla Libreria Birdland di Milano (www.birdlandjazz.it) mercoledì 12 ottobre alle ore 19 circa. Grazie mille Stefania!
Grazie a te!
Stefania Altomare