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Giudicare una chitarra acustica
Giudicare una chitarra acustica
di [user #17170] - pubblicato il

Nel riconoscere la bontà di uno strumento, ci si affida spesso alla scheda tecnica, valutando legni e misure. Ma come si può capire davvero se uno strumento è fatto a dovere, e soprattutto se è adatto all'acquirente?
Nel suo memorabile articolo "I legni suonanti", Maurizio Piccoli così riassumeva i parametri per la valutazione di una buona chitarra acustica:
volume – personalità – proiezione – armoniche - risonanze e code sonore - risposta dinamica - equilibrio e naturalezza.
È bene precisare che non si tratta di una graduatoria. Nello stesso articolo si precisava come il volume, solitamente desiderabile, non sia di per sé indice di uno strumento di pregio, così come l’eccessiva personalità va a discapito della versatilità. Semplificando, potremmo allora dire che una buona chitarra dovrebbe possedere un buon mix di tutti questi parametri a cui il musicista attribuirà maggiore o minore importanza a seconda della propria sensibilità e degli ambiti di utilizzo dello strumento (tecniche esecutive, genere musicale preferito, utilizzo in gruppo o da solista, ecc.).
Da qui può iniziare poi una valutazione ponderata sull’apporto di legni, forme e misure dello strumento nella ricerca del nostro suono ideale.

Come si vede è una visione relativistica in cui la soggettività la fa da padrona e rende piuttosto insensate certe discussioni incentrate su valori assoluti, ma è anche un ottimo pretesto per la “grande malattia”, la famigerata GAS che ci spinge ad ampliare in modo sconsiderato il nostro parco chitarre (anche se poi suoniamo sempre le stesse cose, alla stessa ora, sullo stesso divano).
Eppure il mio liutaio sostiene che esistono parametri oggettivi per la valutazione di una buona chitarra. Non sono ancora riuscito a farmeli spiegare bene, ma credo non si discostino poi molto da quelli tracciati da Piccoli, opportunamente integrati da valutazioni di tipo progettuale non sempre alla portata del semplice appassionato. Ma proprio da buon appassionato mi sono fatto una mia idea sull’importanza di un altro parametro spesso sottovalutato, o quantomeno relegato ad aspetto secondario: la suonabilità.

Diamone una definizione tanto per capirci. Per suonabilità si intende generalmente la facilità con cui una chitarra si lascia suonare, senza creare ostacoli al nostro stile esecutivo e ai movimenti delle nostre mani. Ci sono chitarre che troviamo subito comode da imbracciare come da tastare, altre che si oppongono al nostro modo di suonare, alla conformazione delle nostre dita o addirittura al nostro corpo (c’è anche chi si è votato alle dreadnought ma soffre di inspiegabili fastidi alla spalla destra).

Spesso si confonde suonabilità con action, così di fronte a una splendida chitarra di rango un po’ “duretta”, ci si illude che basterà un quarto di giro al truss rod o un ritocchino alla sella per raggiungere il Nirvana, salvo poi rendersi conto che nonostante un bravo liutaio ci abbia abbassato le corde il più possibile, la nostra nuova meravigliosa chitarra continua a risultarci scomoda e, nonostante il suono celestiale, la qualità dei legni e la raffinatezza delle finiture, ci troviamo a imbracciare più spesso un altro strumento, magari più modesto. Fino a quando cominceremo a valutare l’eventualità di disfarci di quello strumento che pure ci aveva tanto entusiasmato.

Pur considerata una caratteristica importante, di solito la suonabilità non viene messa in relazione col suono. Credo invece che rivesta un ruolo notevole in quanto condiziona il nostro tocco e determina in buona parte il suono che riusciamo a trarre dallo strumento. Ci sono chitarre dal suono non eccelso che tuttavia ci permettono di tirar fuori tutto il loro potenziale timbrico, regalandoci l’impressione e la gioia di suonare meglio, mentre altre ci incantano con una voce soave, ma poi si negano rendendo inaspettatamente faticose anche certe diteggiature abituali.

Sulla suonabilità girano parecchi luoghi comuni. Spesso sento dire frasi come “le Martin sono dure da suonare” oppure “il capotasto da 1-3/4 va bene per mani grandi” o ancora “la scala corta è più morbida perché ha corde meno tese e tasti più ravvicinati”. Eppure mi sono imbattuto in Martin comodissime, ho due chitarre con nut da 1-3/4 anche se ho mani piccole e la mia chitarra con scala lunga mi risulta più morbida di quella a scala corta. Come il suono ideale, anche la suonabilità è data da un mix di parametri piuttosto soggettivi. Data per scontata la corretta geometria dello strumento (ma a volte possono capitare brutte sorprese anche con strumenti di pregio), la combinazione di parametri come lunghezza della scala, spaziatura delle corde al capotasto e al ponte, radius della tastiera e spessore dei tasti può dar luogo a livelli di suonabilità molto differenti e molto soggettivi. Devo ammettere che i chitarristi elettrici sembrano più attenti a questi aspetti, o almeno ne parlano più spesso rispetto ai riflessivi esteti della chitarra acustica, sempre persi dietro alle cascate di armonici. Forse perché molti elettrici interpretano la tastiera come una pista da velocità più che una via di comunicazione (ma a volte sbagliando ci si prende!).

Un elemento chiave è sicuramente la forma del manico. Chi tiene una impostazione classica col pollice contrapposto alle altre dita può trovarsi bene su un manico piatto, ma rischierà i crampi su uno spesso manico a V, che invece risulterà comodo a chi abbraccia il manico col palmo della mano facendo spuntare il pollice sulla tastiera. Chi usa il plettro può trovarsi in difficoltà su corde con spaziatura tipica da fingerpicking, ma c’è chi plettra da Dio su delle OM con spaziature abbondanti come c’è chi arpeggia comodamente su una tastiera stretta. Non ci sono regole fisse, molto dipende dalla nostra conformazione fisica e l’apporto di alcuni parametri favorevoli può riequilibrare i difetti di altri. Ormai molti costruttori hanno sintetizzato combinazioni di parametri in grado di garantire una buona suonabilità a chiunque, a patto di avere un minimo di idee chiare sul proprio modo di tenere in mano una chitarra. Questo è certamente un buon motivo a favore di chi sostiene che in realtà la vera golden age della chitarra acustica la stiamo vivendo oggi.

Giudicare una chitarra acustica

Come ho già detto, a volte di fronte alla fama e al fascino di certi modelli di rango siamo portati a sottovalutare la loro suonabilità che non è universale, ma sono convinto che in molte situazioni sia invece proprio la suonabilità a far scattare il cosiddetto colpo di fulmine e orientarci nella scelta di una chitarra al di là delle sue effettive qualità timbriche. Certo, ciò che percepiamo con le orecchie è fondamentale e nessuno si porterebbe a casa un chitarra che suona male, ma il piacere di suonare è dato in gran parte dal rapporto fisico che riusciamo a instaurare con lo strumento e credo che a molti sia capitato di farsi conquistare da chitarre con suonabilità migliori del loro suono. Dunque, nella ricerca della nostra chitarra ideale, accanto ai sacrosanti parametri timbrici indicati da Maurizio Piccoli aggiungerei a pieno titolo la suonabilità. Spesso è quella in grado di fare la differenza e di regalarci le migliori soddisfazioni.
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