Mulier taceat in ecclesia
Con queste parole la morale cristiana ed un becero maschilismo decretavano la perentoria proibizione imposta alle donne di cantare in chiesa, tarpando la loro naturale vocazione interpretativa e privando la fervida sfera musicale di voci magnificamente educate alle più sottili variazioni tonali, accompagnate da una gestualità gentile e raffinata.Era loro negato cantare in chiesa ma anche esibirsi in palcoscenico come soliste, ed in un mondo di uomini, dove tutto doveva essere asservito al loro piacere, venivano relegate alla commemorazione dei defunti, obbligandole, in cambio di denaro, a piangere e disperarsi contravvenendo la loro natura vezzosa ed incline al sorriso.
Nella logica medioevale dovevano essere soltanto spettatrici appassionate e plaudenti durante le esibizioni del “ maschio” che, per predisposizione naturale, amava mostrarsi in mille attitudini per attirare l’attenzione della “femmina” ed acquisirne, in seguito, la proprietà come marito.
I fasti sfrenati delle corti barocche, lussuose e libertine, le vedevano come cortigiane compiacenti, piacevoli trastulli di una vita inutile, ma fu proprio quello il periodo in cui prosperava il genio musicale femminile, non tanto come facoltà compositiva, maggiormente attribuibile al sesso maschile, ma come meravigliose esecutrici, virtuose cembaliste e splendide soprano, sempre osteggiate e nascoste da padri opprimenti e mariti gelosi che sembrava volessero riservare solo a se stessi la gioia dell’ascolto.
Ed in questo ambiente si muoveva
Barbara Strozzi, figlia d’arte, inserita nella raffinata società veneziana grazie alle sue incredibili doti di soprano, donna avvenente e per questo marchiata come cortigiana nei secoli a venire, forse perché ebbe tre figli ma mai si sposò.
E poi le “donne gentili de l’amor cortese”,
Beatrice di Dia, Tibors de Sarenon, vissute poco dopo l’anno mille, che nonostante l’alto rango di cui godevano pareva che rubassero i plausi per la la loro nobile arte, voci gentili, modulazioni accattivanti, gesti aggraziati, incredibili giochi con le frange e gli orpelli delle loro vesti durante una esibizione tenuta sempre al chiuso, con uomini vigili ed attenti che badavano a che non si verificassero intrusioni.
Il mondo ella musica, visto al femminile, ebbe anche geni assoluti come
Fanny Mendelsshon che si esibì spesso, durante la sua breve vita, insieme con il più celebre fratello che la incitava ad emergere, a valorizzare la sua capacità sia compositiva che esecutiva, e sicuramente lo avrebbe fatto se ancora un uomo non l’avesse impedito: proprio suo padre, che accomunava le attitudini musicali di sua figlia a quelle del ricamo definendo la sua cultura musicale una inutile qualità.
Non fu diverso per la virtuosa
sorella maggiore del grande Mozart, già “enfante prodige” presso le corti d’Europa ma destinata da suo padre al matrimonio, nulla importava il suo parere, le sue ambizioni, la raffinatezza dei suo pensiero che non poteva esternare al fine di non creare scandalo e di non essere posta all’attenzione ed allo sguardo di tutti.
Ed a proposito di mariti gelosi, padri opprimenti e fratelli scomodi, voglio citare la grande Germaine Tailleferre, alla quale mi pregio di aver stretto la mano alla fine di un concerto.Parliamo di una donna vissuta in epoca contemporanea, non nel rinascimento, eppure dovette subire vessazioni identiche, veti assurdi ed arbitrari forse perché vistosamente eclettica e musicalmente geniale che ha saputo rivelare, nella pressione dei tasti, tutto il suo desiderio di indipendenza, la gioia di esprimersi seguendo la propria conoscenza, tutte valenze negate da una società ermetica, distratta ed affatto partecipativa.
Frequentava i salotti di Picasso, Modigliani, Valery durante l’eclatante primo novecento francese, fu alunna di Ravel e compose musica da cinema per il grande Charlie Chaplin e può senz’altro rappresentare la figura musicale femminile più fulgida di questo novecento appena trascorso, secolo di guerre, di stragi, di grandi innovazioni ma, sopratutto, di pensiero.