di Denis Buratto [user #16167] - pubblicato il 13 febbraio 2013 ore 07:30
Quindici watt e due anime profondamente diverse si nascondono dentro le dimensioni compatte del Mini Mofo, amplificatore dall’estremo rapporto qualità prezzo realizzato da Hayden e che abbiamo messo alla prova con la Stratocaster di Michele Quaini.
Un look decisamente poco sobrio quello della Mini Mofo, testata da 15watt completamente valvolare realizzata da Hayden. Colate d’oro in ogni dove, a partire dalla griglia con il logo, fino alle coperture per le valvole, bilanciate da una forma spartana, quasi da unità rack più che da testata. Niente legno per lo chassis e maniglia a scomparsa sempre in solido acciaio. La trasportabilità è ai massimi livelli grazie alla comoda borsa in dotazione e al peso tutto sommato contenuto per essere un amplificatore completamente valvolare. Prima però di collegarlo alla chitarra, conviene indagare alcune delle features più succulente offerte dalla testatina britannica (almeno nel progetto).
Tre manopole sono dedicate all’equalizzazione, alti, medi e bassi, più il controllo della presence. Quest’ultimo permette di dare un’ulteriore vitalità alle frequenze alte e medio alte, aiutando il suono della chitarra a guadagnarsi spazio all’interno della band. Completano il pannello controlli gain, master - che non hanno bisogno di spiegazioni - e il misterioso Mofo.
Dietro il nome si nasconde il guadagno del booster interno attivabile solo tramite footswitch collegabile all’apposito ingresso posto sul retro. Ai più attenti non sarà sfuggito che sopra ai due input non troviamo le solite diciture HI e LOW, come spesso capita sui monocanale di questo genere, bensì delle indicazioni US e UK: Stati Uniti e Gran Bretagna. Le nazionalità non sono certo date a caso all'Hayden Mini Mofo, ma anzi celano due percorsi completamente diversi del segnale attraverso i quattro stadi di gain che permettono di passare da clean caldi e avvolgenti fino a devastanti distorsioni heavy metal, con tutto quello che sta in mezzo.
Resta giusto da dare un’occhiata al lato B, dove con grande sorpresa notiamo l’assenza del tasto di stand by, decisamente trascurabile, e troviamo le uscite speaker da 8 e 16 ohm. Singolare la scelta di utilizzare un jack stereo per il loop effetti, che costringe a cambiare, seppur non radicalmente, parte del nostro setup (bisogna utilizzare un cavo a Y).
Video interattivo, richiede supporto flash
Primi due colpi di plettro e subito si intuisce che il Mofo può davvero riservare grandi sorprese. Siamo collegati al canale US, con gain molto basso ed equalizzazione quasi flat, giusto una ripassatina alle basse per recuperare il suono decisamente squillante della Strat. Il sound di chiara ispirazione americana è caldo, corposo. Ricorda molto per dinamica e apertura quello di un Blues Junior. Si tiene sempre sull’orlo del crunch, vuoi per il piccolo wattaggio, vuoi per la foga di Michele che a stento abbiamo dovuto trattenere dall’alzare subito il gain.
Bisogna prima assaporare il canale UK, che se si dimostrerà all’altezza dell’US potrebbe trasformare il Mofo in un’arma letale. L’impressione è che, dei due, questo canale sia un po’ come Clark Kent per Superman, un po’ sfigato, con gli occhiali enormi, ma pur sempre con un cuore. Già, un cuore decisamente acido però. Una quantità di alte ci assale, davvero inaspettatamente, ma ascoltando attentamente sono le basse frequenze a essere state messe da parte. Questo però non vuol dire che il clean ottenuto sia brutto, anzi, è vibrante, anche se più scarno rispetto a quello US, ci lascia intuire che alzando il gain potremo puntare a ottimi risultati.
Gain a ore 12, crunch abbastanza spinto, ma siamo tornati al canale US. Il colore non cambia. Il sound resta grosso e corposo, questo Hyden ruggisce davvero. A differenza di certi amplificatori americani che sui distorti non eccellono, il Mofo sembra essere davvero a proprio agio e la riserva di volume e gain sembra infinita.
Rapido cambio jack e siamo pronti al canale british. Come prima il sound all’apparenza svuotato di basse ci sorprende, ma lo stupore è causato probabilmente dal confronto A/B involontario delle nostre orecchie. L’acidità con l’aumentare del gain non diminuisce, ma anzi appuntisce per bene il sound rendendolo davvero aggressivo e graffiante, anche se la botta del canale d’oltreoceano era sicuramente più forte.
Resta da mandare la manopola del gain a fondo corsa e vedere cosa succede. il sound più spostato verso gli alti rende super efficace il canale british. Il suono è decisamente in faccia, aggressivo come non ci si aspetterebbe. Il timbro si colloca a metà tra quello di un Marshall e di un Orange tirati per il collo. Un goccio di delay e passa la paura, un lead di tutto rispetto, che si può incattivire ulteriormente con il boost incorporato.
Il canale US come lead non è certo da buttar via, resta più grosso rispetto all’UK, senza però impastare troppo il sound anche se probabilmente nel mix avrà bisogno di una ritoccata alla presence per diventare davvero aggressivo come si deve.
Riassumendo, la Mini Mofo ci ha lasciato piacevolmente sorpresi se si pensa soprattutto al grandissimo rapporto qualità prezzo. Difficile trovare difetti a fronte dei circa 350 euro da sborsare per portarsela a casa, compresa di footswitch e borsa dedicati. Forse avremmo preferito collegamenti tradizionali per send-return ma in fondo questa non è una grossa pecca. Decisamente da provare, anche nella versione a 30 watt di cui pubblicheremo il test a breve, in attesa che dal Namm arrivino i primi esemplari della nuova serie, rinnovati non solo nel look.