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Il basso in prima linea: intervista con Alex Carreri
Il basso in prima linea: intervista con Alex Carreri
di [user #116] - pubblicato il

Orchestrazioni studiate ad hoc ed ecco che i temi principali dei pezzi saltano fuori inaspettati dal basso: Alex Carreri capovolge gli equilibri della band e diventa il solista. Lo abbiamo intervistato per conoscere il suo singolare progetto e studiare il suo sound.
Orchestrazioni studiate ad hoc ed ecco che i temi principali dei pezzi saltano fuori inaspettati dal basso: Alex Carreri capovolge gli equilibri della band e diventa il solista. Lo abbiamo intervistato per conoscere il suo singolare progetto e studiare il suo sound.

Fin troppo a lungo relegato nel ruolo di strumento d'accompagnamento, il basso si prende la sua rivincita grazie ad alcuni musicisti in grado di riconoscerne e sfruttarne a pieno le potenzialità. Alex Carreri è uno di questi, e con il suo album Don't You Worry 'Bout A Thing esplora nuove frontiere melodiche e armoniche del suo quattro-corde. Il basso diventa protagonista, va in primo piano suonando le melodie e i temi, anche di brani storici della tradizione rock riarrangiati per l'occasione in un chiave jazzistica.
Cambiare così radicalmente il compito di uno strumento vuol dire anche doverlo ricollocare nel mix con un'orchestrazione adatta e colleghi affiatati del calibro di Alessio Menconi e Maxx Furian, oltre a dover scolpire un suono ad-hoc. Alex, artista Master Music, lo ha fatto affidandosi a un basso MTD (Michael Tobias Design) e una testata Gallien Krueger, insieme a una serie di effetti a pedale per rendere più variegato e versatile il suo sound.
Incuriositi dal suo progetto, ne abbiamo parlato direttamente con lui.

Come è nata l’idea del disco Don't you worry 'bout a thing? Perché quando uno scorre la track list e vede un album di cover, arrangiate in chiave jazz, con "Smoke On The Water", "Manic Depression", "House Of The Rising Sun" la prima cosa che si chiede è: "Ma ce n’era davvero bisogno?"… e invece? ;-)
L’idea del disco Don't you worry 'bout a thing non è nata per caso. Durante alcuni concerti, mi è capitato di suonare alcune cover e di eseguire anche la melodia principale del brano stesso. La cosa è molto piaciuta e questa piacevole esperienza mi ha fatto riflettere, ho pensato che avrei potuto sviluppare nuove soluzioni armoniche e melodiche con il mio strumento, per cui ho deciso di realizzare un nuovo disco concentrandomi sull'arrangiamento per basso solista e sull'interpretazione personale di brani celebri.
In questo modo credo di aver offerto un contributo alla musica in generale: un progetto originale caratterizzato dalla ricerca di nuovi elementi sonori.

Come sei arrivato a coinvolgere Furian e Menconi? Suonavi già con loro o sono stati reclutati proprio per questo progetto?
Con Maxx e Alessio ci eravamo incontrati in alcune jam e fiere di strumenti musicali, ma non avevamo mai suonato insieme. Ascoltandoli mi era piaciuto molto il loro approccio musicale, versatile e moderno e con un'ottima conoscenza della tradizione, così decisi di coinvolgerli e li contattai personalmente.
Durante il lavoro di realizzazione del disco ho ricevuto da loro diversi suggerimenti importanti, che non riguardavano soltanto un singolo dettaglio dell'arrangiamento ma anche la visione globale del brano e l'atmosfera che si sarebbe potuta creare.

Hai lavorato da solo all'arrangiamento dei brani o avete fatto un lavoro di squadra?
Gli arrangiamenti li ho scritti da solo, pensando a come avrebbero potuto suonare in un quartetto in cui il basso elettrico esegue i temi principali. È stato un lavoro impegnativo perché generalmente il basso ha un ruolo d’accompagnamento, ma allo stesso tempo divertente e stimolante per la mia crescita musicale. Poi in fase di performance durante le prove e la registrazione in studio abbiamo lavorato insieme interagendo sulle varie proposte ottenendo un risultato omogeneo e completo.

Il basso in prima linea: intervista con Alex Carreri

Descrivi la produzione e registrazione del disco. È stato suonato live?
La produzione del disco è stata realizzata in diverse fasi. Dopo aver selezionato i brani, ho cominciato a suonarli con il basso cercando di trovare e sviluppare delle idee sia sul modo di esporre i temi con lo strumento sia sul sound e l’arrangiamento da adottare. Trattandosi di un progetto solistico che affrontavo per la prima volta, ho cercato di orientarmi ascoltando anche alcuni dischi di bassisti come Tal Wilkenfeld, Jeff Berlin e Victor Wooten per avere un riferimento sul modo di elaborare i brani.
Nella seconda fase, raccolte le idee, ho cominciato a scrivere gli arrangiamenti con l’ausilio del pianoforte e successivamente registrando dei provini home made.
Spedite le parti e le tracce audio ai musicisti, a distanza di circa un mese ci siamo incontrati per provare e stabilire le parti strumentali nei singoli dettagli.
Dopo un paio di giorni di prove è partita la terza fase: la registrazione in studio.
Volendo registrare tutto in presa diretta, ho scelto uno studio con una sala ripresa grande e suddivisa in tre ambienti isolati acusticamente. Questo ci ha consentito di poter comunicare visivamente durante la registrazione, mantenendo allo stesso tempo le singole tracce indipendenti e quindi poterle gestire meglio durante la fase del missaggio.
Abbiamo inciso circa due o tre take per ogni brano e poi scelto quella che ci piaceva di più basandoci sulla sensazione di freschezza e interplay che si percepiva.

Un disco come il tuo, oggi nel 2013, è particolarmente coraggioso. A detta di molti, la fusion e più in generale, un approccio così patinato al jazz rock sembrano morti e sepolti da metà degli anni novanta…
Credo che il coraggio debba essere una delle virtù principali di un artista, non solo per il genere che sceglie di fare ma per l’intero progetto che realizza.
Nel mio caso, non penso di dovermi preoccupare di collocare stilisticamente il mio disco in un genere specifico, cosa che lascio fare ai giornalisti o ai critici musicali, preferisco seguire l’idea di esprimere il mio sentire attraverso la musica e il mio strumento. In questo album sono presenti diversi stili, il jazz, il funk , il latin, con i quali mi sono spesso cimentato in qualità di session man e credo che la loro miscela, filtrata dalla mia personalità, possano produrre un risultato attuale e convincente.

Raccontaci la tua strumentazione. Sia quella utilizzata per le registrazioni, sia quella live.
Generalmente utilizzo la stessa strumentazione sia dal vivo sia in studio.
Uso un basso Michael Tobias Design Kingston Heir quattro-corde, mentre come ampli ho scelto Gallien Krueger, un sistema che apprezzo molto perché versatile e affidabile, composto da una testata MB Fusion e da un cabinet Neo 210. Ciò mi consente di poter affrontare diverse situazioni di lavoro come l’abbinamento tra basso elettrico e contrabbasso, e di passare agevolmente da un suono potente e grintoso ad uno più dinamico e definito. Inoltre a volte mi piace usare qualche effetto a pedale come: un overdrive MXR, un Boss OC2 e l'EBS Bass IQ.

Il basso in prima linea: intervista con Alex Carreri

In che direzione sta andando il basso elettrico? Proprio negli anni della fusion ha vissuto momenti di grande fioritura tecnica ed espressiva. E ora?
Penso che il basso elettrico sia uno strumento fantastico e ancora oggi abbia delle potenzialità da esprimere. Non credo che l’evoluzione dello strumento debba essere necessariamente collegata a un solo genere, sarebbe riduttivo. Per me la strada ideale sta nell’equilibrio tra lo sviluppo della tecnica strumentale e la funzione della musica stessa, cioè l’espressività, la composizione e la ricerca di nuovi linguaggi.
Ci sono diversi bassisti contemporanei che stimo molto e procedono verso questa direzione come: Janek Gwizdala, Richard Bona, Esperanza Spalding.

Una domanda da feticisti degli strumenti. I tre bassi elettrici più belli della storia: io penso per esempio al Fender massacrato di Pastorius, all'Ibanez fretless di Sting coi Police o al Yamaha rosa fuxia di Sheehan con David Lee Roth e Steve Vai. Per te?
Fender Jazz Bass, strumento versatilissimo utilizzato in numerose incisioni storiche. Lo associo a tre bassisti che sono stati i miei primi punti forti di riferimento: Jaco, Marcus Miller e John Paul Jones.
Music Man Sting Ray, strumento innovativo con un sound potente e riconoscibile, da Louis Johnson a Tony Levin.
Fender Precision Bass, suono classico e inconfondibile, dalle linee di basso vintage di James Jamerson a quelle con il plettro di Paul Simonon dei Clash. Per avvicinarmi al sound di questi strumenti storici ho scelto Michael Tobias Design, un basso che avesse delle caratteristiche analoghe come la configurazione dei pickup: un double coil al ponte (tipo Music Man) e un single coil al manico (tipo Jazz Bass), e i legni: corpo in frassino e tastiera in palissandro. Allo stesso tempo però un basso con un design accattivante, finiture eleganti e confortevole da suonare.

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Alex Carreri
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Gallien Krueger in Italia
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