di LaPudva [user #33493] - pubblicato il 22 gennaio 2014 ore 10:30
È cosa nota, ci sono artisti la cui opera arricchisce in modo determinante l'humus del quale si nutriranno figure destinate alla ribalta, ma il cui nome rimane impresso soltanto nella memoria di pochi.
È cosa nota, ci sono artisti la cui opera arricchisce in modo determinante l’humus del quale si nutriranno figure destinate alla ribalta, ma il cui nome rimane impresso soltanto nella memoria di pochi.
È sempre successo e sempre accadrà, ma l’onestà e la gratitudine di chi è riuscito a sfondare talvolta permettono di riconoscere il giusto merito a chi li ha ispirati e di perpetuarne il lascito. È questo il caso di artisti come Paul Simon, Nick Drake, Bert Jansch, Sandy Danny, Roy Harper, Al Stewart e molti altri, che hanno riconosciuto nel cantante e chitarrista folk americano Jackson C. Frank un grande artista e un ispiratore. Negli anni diversi artisti gli hanno reso omaggio, ma rimane ampiamente sconosciuto al grande pubblico.
In questi giorni il suo disco di debutto del 1965 (e unico vero e proprio lavoro pubblicato in vita), l’omonimo Jackson C. Frank, determinante per lo sviluppo del folk britannico, verrà ristampato in vinile e per l'occasione vogliamo raccontarvi la vicenda di questo artista che è stato appropriatamente definito "il più famoso cantante folk degli anni '60 di cui nessuno ha mai sentito parlare".
Iniziata il 2 marzo del 1943 a Buffalo (New York), quella di Jackson Carey Frank si profila da subito come una storia maledetta, che lo porta a sperimentare la sofferenza – anche fisica – già in giovane età. Quando ha soltanto undici anni, l’incendio generato da un’esplosione presso la sua scuola, la Cleveland Hill Elementary School di Cheektowaga (New York), durante una lezione di musica uccide ben quindici dei suoi compagni di classe e causa a Frank terribili ustioni nel 50% del corpo. Durante il penosissimo ricovero in ospedale durato sette mesi, l’insegnante Charlie Castelli, per alleviare le sofferenze del bambino e aiutarlo a impiegare il tempo, gli porta una chitarra e così ha inizio un amore che lo accompagnerà per tutta la vita. Poco dopo si compra una Montgomery Ward acustica e poi una Gretsch Streamliner, con la quale impara a suonare il rock’n’roll (era un grande amante di Elvis). La madre lo accompagna a visitare Graceland, nella speranza di sollevare l’animo del ragazzino, ora tredicenne. Con grande sorpresa di tutti, Elvis non solo esce per salutarlo, ma lo fa entrare in casa per fargli conoscere la sua famiglia.
L’evento infonde grandi entusiasmo e voglia di fare nel giovanissimo Jackson, il cui esordio live un paio di anni più tardi è proprio in un duo rock’n’roll con un batterista, nei club di Buffalo. È proprio in uno di questi locali che conosce John Kay, futuro cantante degli Steppenwolf, di cui diventa subito amico.
Si iscrive al college per studiare giornalismo, ma compiuti 21 anni riceve 100.000 dollari dall’assicurazione per il brutto incidente subito. Il risarcimento è determinante anche perché gli permette di lasciare gli Stati Uniti alla volta dell’Europa. Nel '65 si trasferisce, così, nel Regno Unito per comprarsi un’auto (aveva letto in una rivista specializzata che là si facevano affari) e porta con sé la sua chitarra. È proprio a bordo della Queen Elizabeth, durante il viaggio, che comincia a scrivere seriamente canzoni. Uno dei primi frutti è "Blues Run the Game", brano autobiografico che parla di un giovane uomo ossessionato dal suo passato, che affoga nel denaro e nell’alcol, uno dei pezzi più amati dagli aficionados.
Arrivato nella Swinging London, rimane affascinato dall’incredibile fermento e si inserisce assai rapidamente nel circuito folk, esibendosi in numerosi club (primo fra tutti Les Cousins Club di Greek Street, vero e proprio ricettacolo di artisti di ogni provenienza) e aiutando altri musicisti folk (soprattutto statunitensi) a trovare ingaggi. Viene presentato a Paul Simon e Art Garfunkel, ai quali sottopone il proprio materiale, che piacque talmente tanto a Simon da spingerlo a produrgli un disco. Jackson C. Frank (da molto tempo fuori stampa e quasi impossibile da trovare) viene realizzato in tre ore presso gli studi della CBS/Columbia di New Bond Street a Londra. Frank registra nascosto dietro una paratia per non essere guardato, a causa del grande nervosismo. Anche Al Stewart suona la chitarra in uno dei brani. Tutto sembra andare per il verso giusto e il successo in Inghilterra e in Scozia è immediato, il leggendario John Peel lo passa sovente nella sua trasmissione radiofonica alla BBC radio e Jackson viene invitato a suonare in radio e TV. Negli USA, invece, il disco si rivelerà un vero fiasco e in breve tempo Frank verrà scaricato dal suo management.
Nel '67 la piccola fortuna accumulata col risarcimento si riduce drasticamente, così come la sua ispirazione e Frank fa ritorno negli USA, dove diventa direttore del Woodstock Week e sposa l’ex modella Elaine Sedgwick. Nel '68, dopo alcuni nuovi live nel Regno Unito, prova a scrivere brani per un secondo album, ma il pubblico sembrava meno interessato al suo folk introspettivo e più propenso all’ascolto del rock in ascesa. Senza lavoro, fa ritorno a Woodstock, e ha così inizio la tristissima fase discendente della sua parabola: nel giro di poco tempo si separa dalla moglie, il loro bimbo muore di fibrosi cistica e lui cade in una profonda depressione che richiede più volte il ricovero. Eppure fa fatica a lasciare la musica, come testimoniano delle registrazioni del 1975 poi pubblicate come bonus nella riedizione in CD del suo disco pubblicata nel '96 col titolo Blues Run the Game (Mooncrest).
Se possibile, dagli anni '70 agli anni '90, la storia di Frank si fa ancora più triste. Cerca disperatamente di contattare Paul Simon per chiedergli aiuto ma senza esito. Indigente, finisce a vivere per strada (la sua famiglia a Buffalo, non avendo più notizie, lo crede morto) e periodicamente viene internato in vari ospedali psichiatrici (gli viene diagnosticata una schizofrenia paranoide). La sua salute si aggrava, non ha tregua. Poi, a sorpresa, un colpo di fortuna: nei primi anni '90, in un negozio di dischi usati, un appassionato di musica di nome Jim Abbott si imbatte in un LP di Al Stewart sul quale legge una dedica di Stewart a Frank. Scopre la sua musica e attraverso una conoscenza comune lo cerca, lo trova e se ne prende cura, trovandogli una sistemazione, aiutandolo a ottenere un sussidio (aveva entrambe le gambe paralizzate e aveva perso la vista da un occhio, dopo che alcuni piccoli delinquenti, sparando a caso tra la folla nel Queens, lo colpirono) e aiutandolo a recuperare delle royalties dei suoi pezzi. Ma soprattutto gli procurò una chitarra con la quale poter suonare di nuovo. Nel '94 torna addirittura in studio, registra qualcosa a casa e torna a incontrare la gente in qualche caffè.
Frank è morto di arresto cardiaco il 3 marzo del 1999. Aveva 56 anni.
Il protagonista di questa vita incredibile quanto ignota ai più è una figura capitale per il folk britannico e il suo status mitico poggia su un unico disco pubblicato nel lontano ’65. Dice Bert Jansch: Era un genio assoluto. Un sacco della musica uscita in quel periodo fu molto probabilmente dovuta a lui. "Blues Run the Game" ha influenzato praticamente chiunque l’abbia sentita. Si potrebbe dire che abbia cambiato il volto al mondo del songwriting contemporaneo. È stato fondamentale.
Con questo disco c’è poco da ascoltare e davvero tanto da sentire: la voce di Frank, accompagnata solo dalla sua chitarra, canta senza orpelli ma con un’incredibile presenza dei testi poetici davvero preziosi. La vicenda personale di questo sfortunato artista non deve trarre in inganno: la vena malinconica, benché presente e dominante (basta un ascolto di "I Want to Be Alone" per comprendere quanto l’autore fosse pratico di laceranti stati d’animo, ma raramente se ne ascoltano simili sublimazioni), non esaurisce il mood del disco, che anzi sorprende anche quando si discosta dalle zone d’ombra.
Jackson C. Frank si è portato addosso per tutta la vita le ferite di quel trauma precoce, e quelle non visibili agli occhi, le più dolorose, lo hanno torturato fino all’ultimo dei suoi giorni. Il tormento della depressione probabilmente è la principale ragione per cui in vita ha potuto concretizzare soltanto un disco, che rimane la splendida testimonianza di un universo artistico collassato troppo presto.
L’ascolto di Jackson C. Frank è altamente consigliato.
*** Un ringraziamento particolare a Stroszek (Claudio Alcara), brillante artista dalla cultura musicale sconfinata, che è tra coloro i quali riconoscono in Frank un maestro e che mi ha edotto con informazioni e aneddoti, oltre ad avermi fornito materiali preziosi per la mia ricerca. ***