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Torna a ruggire la chitarra di Adrian Vandenberg
Torna a ruggire la chitarra di Adrian Vandenberg
di [user #33493] - pubblicato il

Esce oggi Vandenberg's Moonking, lavoro solista di Adrian Vandenberg, storico chitarrista degli Whitesnake che torna in studio di registrazione dopo una pausa durata quasi sedici anni. Un disco di hard rock, vecchia scuola, tutto valvole e Les Paul con canzoni, prima ancora che prodezze di chitarra, in primo piano.
Esce oggi Vandenberg's Moonking, lavoro solista di Adrian Vandenberg, storico chitarrista degli Whitesnake che torna in studio di registrazione dopo una pausa durata quasi sedici anni. Un disco di Hard Rock, vecchia scuola, tutto valvole e Les Paul, con le canzoni, prima ancora che le prodezze di chitarra, in primo piano. 

I fans in tutto il mondo hanno fantasticato sulle ragioni che hanno tenuto per lungo tempo Adrian Vandenberg lontano dalle scene. Dissapori coi vecchi compagni di band, disgusto per il music business o addirittura sventure personali, è stato paventato un po’ di tutto e con un unico comune denominatore: il dispiacere di quanti apprezzano l’ex chitarrista dei Whitesnake per il silenzio nel quale si è improvvisamente ritirato. Sono passati ben sedici anni da quando, nel ’98, Vandenberg ha lasciato la musica per dedicarsi a tempo pieno alla sua famiglia e all’altra sua grande passione: la pittura. A parte qualche rara partecipazione in qualità di guest ai concerti dei Whitesnake in Olanda, Vandenberg ha di fatto abbandonato il mondo della musica alle soglie del nuovo millennio.

Torna a ruggire la chitarra di Adrian Vandenberg

Nel 2011, la svolta: il Football Club Twente di Enschede, squadra di calcio della città in cui risiede e che aveva vinto il campionato d’Olanda l’anno precedente, gli chiede di scrivere una canzone. Il risultato è “A Number One”, inno rock da stadio per realizzare il quale Vandenberg ingaggia il cantante Jan Hoving, leader di una band che anni prima aveva aperto i concerti dei Whitesnake in Olanda. Dovendo eseguire il brano alle celebrazioni della squadra di fronte a un pubblico di 60.000 persone, per completare la lineup e su consiglio di un amico, Vandenberg ha contattato il giovane batterista Mart ‘Martman’ Nijen-Es e il suo bassista Sem Christoffel (incredibilmente, anni addietro, entrambi i musicisti hanno vinto due talent show, venendo premiati proprio dal voto di Adrian Vandenberg, che ne aveva da allora perso le tracce). Sono nati così i Vandenberg’s Moonkings, principalmente per caso, perché il flying dutchman (l’olandese volante, come viene chiamato dai fans, n.d.r.) crede che la musica debba esser fatta solo quando ci si sente di farla e non perché la si deve fare.

Dopo una gestazione durata un paio di anni, i brani composti per il nuovo progetto sono stati registrati presso il Wisseloord Studio - leggendario studio di registrazione di Hilversum, vicino ad Amsterdam, presso il quale hanno inciso artisti del calibro di Elton John, Tina Turner, U2, Scorpions e Iron Maiden – a partire dalla fine di settembre dell’anno scorso. Curiosamente, è stato proprio in quello studio che Vandenberg ha registrato il suo primissimo disco quando era poco più che ventenne, con la band rock-blues Teaser. Il disco dei Moonkings, prodotto da Vandenberg e che esce oggi stesso Mascot Label, è stato registrato prevalentemente live, con strumentazione vintage - compressori tube, un microfono Neumann degli anni ’60, Hmmond, Les Paul d’epoca e quant’altro – avendo ben chiara in mente la direzione da seguire: “Volevo costruire un ponte tra il più grande rock degli anni ’70 e quello di oggi, e sento che la cosa ha funzionato”. Determinante sono stati la collaborazione del fonico australiano Steve Bartlett e il mixaggio curato da Ronald Prent, che ha lavorato con alcuni dei più grandi artisti del mondo, da Tina Turner ed Elton John ai Rammstein e i Def Leppard, e che ha capito subito cosa volesse Vandenberg, ovvero che la band suonasse onesta: musica nuda, senza riverbero, che si potesse ascoltare proprio come se ci si trovasse a un metro dal palco durante le prove.


Passando in rassegna le tredici tracce del disco “più bello che abbia mai fatto”, come lo ha definito Vandenberg, si trova conferma di quanto detto pocanzi: un lavoro di hardrock-blues che affonda sensibilmente le radici nel classic rock, pascolo nel quale hanno trovato foraggio tutti e quattro i musicisti, nonostante appartengano a generazioni diverse. Il lavoro, lungi dall’essere la celebrazione chitarrocentrica del ritorno di un’icona dello strumento, è chiaramente il frutto di un lavoro di gruppo: non ci sono lunghi soli e prevale il gusto della canzone, con riff accattivanti e una forte componente melodica, con testi voluttuosi, cowbells, archi, mandolini, hammond e quant’altro.

La formula viene palesata fin dalla traccia d’apertura, “Lust and Lies” (clicca per ascoltare), pezzo hardrock che è un trionfo di pulsioni primordiali. Impossibile non pensare a Robert Plant ascoltando Jan Hoving in “Close to You”, gran pezzo dal sound zeppeliniano. Accattivante rock vecchia scuola in cui trionfa il riff, ma più americaneggiante, soprattutto in virtù della presenza dei cori, anche la successiva “Good Thing” (clicca per ascoltare). “Breathing” è una ballata impreziosita da chitarra acustica e archi ottimamente arrangiati (tra i quali il violino della nipote di Vandenberg).


“Steal Away” ci riporta sul sentiero del più tradizionale classic rock, mentre “Line of Fire”, brano dal grande impatto, contrassegna forse uno dei momenti più interessanti di questo lavoro. “Out of Reach”, ballata nostalgica con splendidi archi è uno dei brani più introspettivi dell’album. “Feel It” è l’ennesimo ottimo esempio di sound “in your face” senza rinunciare alla melodia, binomio che contraddistingue tutto il disco. “Leave This Town” è un altro brano forgiato nello stampo del classic rock in cui si avverte l’influsso dei Whitesnake e dei Led Zeppelin, come pure nella successiva “One Step Behind”, al cui sound anni ’70 contribuisce enormemente l’amato Hammond. “Leeches” alterna riff graffianti e strofe funkeggianti, e lascia il posto a “Nothing Touches”, un grezzissimo inno al rock’n’roll. Dulcis in fundo, “Sailing Ships” è il regalo più bello che Vandenberg potesse fare ai fans: scritta insieme a David Coverdale e originariamente inclusa nell’album Slip of the Tongue dei Whitesnake (1989), questa versione più lenta, riflessiva e commovente è ancora più bella di quella “intermedia” inclusa nel live Starkers in Tokyo del 1997. L’ospite, non serve dirlo, è David Coverdale stesso, la cui voce stanca (al momento delle registrazioni era reduce da un anno di live e si accingeva a sottoporsi a un intervento al ginocchio, danneggiato nel corso del tour) è forse ancora più bella e sofferta. Insomma, il contributo dell’ex compagno di band e buon amico, entusiasta di questo nuovo progetto, è la chiusura ideale di un lavoro all’insegna del rock più tradizionale.


Quello dei Moonkings è un disco energetico, dal sound compatto e dal grande calore vintage. L’interpretazione appassionata di Vandenberg è supportata alla perfezione dai suoi bandmate. La scelta di non formare un altro supergruppo per il suo disco di ritorno sulle scene probabilmente si è rivelata ottima.
Interessante come il guitar playing in questo disco non prevalga in alcun modo sul songwriting. Come si accennava, la canzone è ciò che più interessa a Vandenberg, che non concepisce il disco come il frutto del proprio ego chitarristico (“I soli sono solo storie dentro una più ampia storia. Se non riesci a raccontare quella storia in 20/25 secondi, vuol dire che non è degna di esser raccontata”).
Il fatto che nella sostanza questo lavoro non rappresenti un pomposo ritorno ma piuttosto un onesto nuovo capitolo della carriera di questo veterano del rock non lo penalizza affatto. Vandenberg fa quello che più gli piace, come lui stesso afferma, e non rinuncia alla sua naturale vocazione per la melodia. Ciò che rende pregevole l’album è la capacità di passare in rassegna tutti i più grandi influssi che lo hanno plasmato (e che hanno plasmato anche gli altri musicisti della band), portandoli in un nuovo, più moderno contesto. È un disco sincero, dal feel fortemente live, che sicuramente merita ben più di un ascolto perché se ne possano apprezzare i dettagli e la cura con cui è stato realizzato.


Adrian Vandenberg ha compiuto sessant’anni lo scorso 31 gennaio e non poteva festeggiare in modo migliore: il disco esce ufficialmente oggi, 24 febbraio,  il tour coi Moonkings, appena iniziato, lo porterà in giro per l’Europa fino a settembre.
vandenberg
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