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Scheletri nell'armadio: Vox Mark VI 1966
Scheletri nell'armadio: Vox Mark VI 1966
di [user #32554] - pubblicato il

L'epoca beat è stata terreno fertile per le sperimentazioni in ambito della liuteria elettrica. Chitarre dalle forme più astruse e dalle soluzioni non sempre convenzionali affollano tutt'ora sogni e incubi dei chitarristi. Di queste, forse la Vox Mark VI è tra le più ricorrenti.
L'epoca beat è stata terreno fertile per le sperimentazioni in ambito della liuteria elettrica. Chitarre dalle forme più astruse e dalle soluzioni non sempre convenzionali affollano tutt'ora sogni e incubi dei chitarristi. Di queste, forse la Vox Mark VI è tra le più ricorrenti.

La Mark VI che mi sono ritrovato per le mani ha quasi cinquant'anni. Dalle ricerche risalgo fino al 1964/66, nel pieno dell'epoca beat ma anche di vere sperimentazioni sonore. I suoni di questa Vox evocano in pieno i mitici anni sessanta.

La chitarra in questione è stata letteralmente chiusa nell’armadio per cinquant'anni, praticamente è stata suonata per circa un anno e poi abbandonata con custodia morbida… e ovviamente ovoidale così come fabbrica l’ha fatta.
Le meccaniche del tutto bloccate mi hanno obbligato a un primo approccio con la chitarra accordata un tono sotto. Poi, vai di Svitol e tanta pazienza, un pezzetto per volta si sono ammorbidite fino a poter essere tirate in intonazione standard.
Non da meno è la peripezia del ponte che non ne voleva sapere di smollarsi e abbassarsi. Ora il problema è in parte risolto, mi obbliga tutt'ora a un'action da bisonti infuriati, intorno ai sette millimetri al dodicesimo tasto!
Le misure dello strumento non aiutano certo nelle esecuzioni, e action alta e manico grosso come una proboscide si traducono in un'agilità da camicia di forza.

Scheletri nell'armadio: Vox Mark VI 1966

Tirare fuori dall'armadio una chitarra del genere mette davanti ad alcune difficoltà, che non sempre emergono al primo utilizzo. Il test della Vox in questione è stato effettuato per due volte: al primo tentativo, uno dei canali registrati arrivava dall'uscita DI dell'ampli, quindi sarebbe stato impossibile captare suoni ambientali come invece può accadere quando si usa il classico microfono davanti al cono. Ebbene, durante i montaggi video mi sono accorto che il suono della mia voce passava con molta naturalezza attraverso i pickup della chitarra.
In seguito ho poi verificato che, parlando a circa cinque centimetri da uno dei tre pickup incassati sull'originale corpo a goccia color ciliegia, il suono esce dall’ampli quasi come con un microfono vocale, con l’unica differenza di avere un taglio in frequenza che ricorda il megafono dell’arrotino.

Presumibilmente dei single coil, i pickup sono montati su dei pickup ring dello stesso colore di un battipenna in plastica e bachelite a tre strati, tante quante sono le posizioni dello switch che permette di selezionare un pickup per volta, facendoci scordare le tanto amate posizione due e quattro della Stratocaster arrivate quasi dieci anni più tardi.
Il controllo del volume è l'ultimo dei tre, a portata di mano infatti si trovano i primi due controlli di tono che permettono di filtrare le frequenze alte o quelle basse.
A impreziosire il tutto ci pensa il ponte, imitazione Bigsby da un certo stile country surf che ben si sposa con il resto della chitarra.


Imbracciata senza tracolla, la chitarra è drasticamente insopportabile, infatti scivola come una salamandra bagnata sgusciando letteralmente dalla consona posizione, obbligando ad acrobazie per strimpellare anche solo quattro accordi.
Con la tracolla tutto migliora, anche se il peso notevole si fa sentire e la posizione che prende appoggiandosi al corpo non è delle più comode. Curiosamente, il retro del body ha una copertura che pare un piccolo cuscino, forse proprio per dare un po' più di confort e aderenza.

Scheletri nell'armadio: Vox Mark VI 1966

22 tasti piccoli sono abbinati a un manico grosso e il tutto è sommato a corde cambiate personalmente con delle .012/.052 Galli lisce, come quelle che ho trovato montate quando mi è stata data assicurandomi che fossero ancora le originali, quindi mai cambiate dal 1966. Praticamente corde vintage tanto quanto la chitarra.

Suonare con agilità non se ne parla, è fisicamente molto dura e impegnativa. Questo mi induce a rallentare suonando ad accordi qualche arpeggio e accompagnamento in strumming.
I suoni sono cristallini e profondi, credibili pensando a uno strumento dell'epoca, magari con poca versatilità pensando a una chitarra moderna, ma sicuramente con quel qualcosa in più se si vogliono ricalcare le sonorità di allora.

Tutto sommato definirei sufficiente l'insieme. La Vox Mark VI in prova, così com'è arrivata al 2014, si è rivelata uno strumento difficile e faticoso ma ricco di fascino e sicuramente pregno di storia. Trovata nel classico armadio e chiusa chissà da quanti anni, a modo suo suona ancora alla grande.

Scheletri nell'armadio: Vox Mark VI 1966
chitarre elettriche mark vi vox
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