di SuperAdrian76 [user #23951] - pubblicato il 05 giugno 2014 ore 15:00
In un mare di tecnologie digitali che cercano di concorrere con i sempreverdi valvolari al titolo di "amplificatore definitivo", il buon vecchio transistor non resta a guardare. Orange offre potenza e versatilità, ma senza farsi distrarre da feature superflue, con il Crush CR120H.
In un mare di tecnologie digitali che cercano di concorrere con i sempreverdi valvolari al titolo di "amplificatore definitivo", il buon vecchio transistor non resta a guardare. Orange offre potenza e versatilità, ma senza farsi distrarre da feature superflue, con il Crush CR120H.
Il desiderio di scrivere quest’articolo è scaturito dallo stupore personalmente provato nel sentire all’opera l'Orange CR120H: quando ho collegato la mia SG all’ampli e ho cominciato a strimpellare le prime note sono rimasto letteralmente sconvolto dalla dinamica, dal suono e dalla qualità generale di questa testata interamente solid-state.
Sì, avete capito bene: nessuna valvola. La Orange CR120H (così come tutta la serie Crush Pro, composta anche dai combo CR 60 e CR 120) ha rappresentato una vera e propria sfida per l’azienda d’oltremanica, da sempre famosa per i propri fantastici prodotti all-tube dall’aspetto vintage e dal suono infallibilmente british.
Come ricordato anche sul proprio sito ufficiale, l’azienda Inglese ha impiegato lunghi anni in ricerca e sviluppo prima di proporre sul mercato la serie Crush Pro, ponendosi come obiettivo dichiarato quello di offrire al musicista un’alternativa economica, ma affidabile e soddisfacente nel sound, rispetto agli ampli a valvole. Il risultato è una classe di amplificatori completamente analogica la cui circuitazione è ispirata alla serie Rockerverb, con la sostanziale differenza dell’utilizzo di componenti a stato solido (amplificatori operazionali) in luogo delle valvole.
In un periodo storico in cui il valvolare è sempre sul gradino più alto del podio, con i sistemi digitali che tuttavia avanzano inesorabilmente, il transistor, dopo il boom degli anni ‘80/’90, sembra ormai essere una tecnologia quasi del tutto messa da parte nell'amplificazione per chitarra. In quest’ottica, la scelta di Orange può davvero essere considerata controcorrente.
Chi scrive non è un fanatico delle valvole: era da tempo anzi che cercavo un sistema di amplificazione più accessibile. Da un po’, infatti, cresceva in me il senso di frustrazione derivante dal fatto di possedere un sistema testata/cassa all-tube da 1200 euro che ritenevo inadatto all’utilizzo a cui era destinato: gli impegni con la band per vari motivi si stavano diradando e mi ripetevo che, non essendo un professionista ma un amatore, dovevo assolutamente trovare un ampli più economico, gagliardo esteticamente ma che suonasse in modo accettabile. Quando nel 2013 è uscita sul mercato la serie Crush Pro, ascoltando i primi demo su YouTube e leggendo le prime entusiastiche recensioni di chi ne era entrato in possesso, ho cominciato a sognarmi questi ampli pure la notte. Premesso questo, dopo un anno di indecisione mi sono liberato del mio vecchio ampli, ho ordinato online la CR 120H e qualche giorno fa ne sono entrato finalmente in possesso.
Qualche breve riflessione personale a mo' di parentesi. Diverse aziende continuano da anni a proporre amplificatori a stato solido di discreto livello ma il cui sound, secondo la mia opinione, non è assolutamente consono alle aspettative di chi ha sperimentato la qualità timbrica di un buon ampli a valvole. Nell’esperienza di quasi ogni chitarrista elettrico sono presenti degli ampli a transistor: sappiamo che generalmente in questi amplificatori il pulito è spesso assolutamente discreto, tuttavia quando si tratta di passare a un eventuale canale distorto restiamo con l’amaro in bocca, poiché la dinamica e la rotondità del suono valvolare si rivelano essere, salvo rarissime eccezioni, solamente un lontano ricordo. Nel caso della testata Orange, le cose vanno diversamente. Ma andiamo con ordine ed elenchiamo le caratteristiche dell’ampli.
La CR 120H è una testata a doppio canale da 120 watt RMS. Non è un ampli valvolare e non pretende di esserlo: suona certamente in maniera diversa da un dispositivo all-tube. Il fatto è che suona dannatamente bene.
La testata si presenta massiccia e dal peso importante (intorno ai 14 kg circa), avvolta nell’ottimo e appariscente tolex arancione (è tuttavia disponibile anche il tolex nero), con i pannelli frontale e posteriore classicamente bianchi. Davanti a noi troneggiano il mitico crest e la scritta Orange unitamente ai simpatici geroglifici posti in corrispondenza dei vari controlli. La fattura appare di indubbio livello e, inutile negarlo, già alla sola vista questo ampli dal fascino vintage suscita una certa emozione.
Sul pannello frontale abbiamo, da sinistra a destra, due switch (uno per l’accensione e l’altro per il cambio canale da pulito a distorto), la spia che segnala l’accensione dell’ampli, il volume master e il controllo di livello del riverbero, unico dispositivo digitale di tutto l’amplificatore. A fianco a esso un miniswitch a tre posizioni per selezionare il tipo di effetto: Spring, Hall o Plate. Il pannello del canale distorto possiede controlli di volume, alti, medi, bassi e guadagno, mentre quello del canale pulito è completato da controlli di alti, bassi e volume. In ultimo abbiamo l’ingresso input. Sul pannello posteriore sono presenti la presa per lo spinotto di alimentazione, due uscite speaker da 16 ohm (niente paura: il carico minimo utilizzabile è di 8 ohm) e due ingressi footswitch riservati al riverbero e al cambio di canale. Per concludere vi sono le prese del loop effetti: return e send.
La dotazione dell’ampli è quindi relativamente semplice: non abbiamo decine di inutili effetti on board ma solamente due canali, un riverbero e un loop effetti. La filosofia costruttiva quasi minimale pare suggerire che ci si sia concentrati esclusivamente sul sound.
Il suono, appunto. Il canale pulito è caratterizzato da un circuito con due stadi di guadagno, quindi il controllo volume, oltre una certa soglia, comincia a dare un certo break up sul limite dell’overdrive: un comportamento molto simile a quello di una testata valvolare. La dinamica è sorprendente per un solid-state: pennando forte possiamo ottenere una leggera saturazione, pennando piano il suono si ripulisce considerevolmente. L’equalizzazione alti/bassi è molto efficace e l’assenza del controllo dei medi non è un gran problema: lo scorrere dei potenziometri conferisce in ogni caso dei suoni convincenti. Gli alti sono soffici e mai fastidiosi come potrebbero in un amplificatore di stampo Fender, mentre i bassi sono rotondi ed equilibrati a patto di essere tenuti un po' a bada quando magari si utilizzano chitarre in mogano munite di humbucker, come nel mio caso. L’interazione tra i controlli volume-clean e volume-master è strepitosa: possiamo mandare al massimo il volume del pulito e mantenere basso il master volume ottenendo un suono adatto alla cameretta ma in ogni caso molto musicale e dinamico. Il riverbero digitale è di ottima qualità e si sposa molto bene con i suoni puliti: fra i tre voicing il mio preferito è lo Spring, che risulta probabilmente il più versatile e meno invasivo, ma anche il Plate e lo Hall hanno un loro perché e possono essere interessanti, se usati con parsimonia e nel giusto contesto.
Dal canto suo, il canale distorto sfrutta ben quattro stadi di guadagno e ci permette di suonare tutto quello che ci pare, dal blues al rock più duro. Già verso metà del controllo di gain abbiamo un bellissimo crunch in stile AC/DC, mentre intorno alle tacche 7/8 siamo di fatto in pieno territorio metal. La pasta sonora è veramente buona: l’attacco e la separazione delle note sono convincenti e pur non essendo ai livelli di un valvolare ci si accorge che comunque si ha per le mani qualcosa di diverso dal solito ampli solid state dal distorto spernacchiante. Boostando il segnale con un overdrive nell’input (io uso un Maxon OD808) si ottiene un suono solista gonfio e carico, utile con le giuste regolazioni anche per le ritmiche più cattive e serrate. L’EQ del canale è davvero versatile: in particolare il controllo dei medi è efficacissimo e permette di svariare dai suoni più scavati a quelli più grossi senza alcuna difficoltà. Il loop effetti è funzionale e sufficientemente trasparente: utilizzando, col metodo dei quattro cavi, delay o effetti d’ambiente vari provenienti da una macchina multieffetti di media qualità come la Zoom G5, si ottengono in ogni caso dei suoni molto belli e sfruttabili, sia sul clean sia sul drive.
Nei video ho dedicato più spazio al canale Dirty perché, dei due, è il canale a mio avviso più interessante e in grado di offrire maggiori sfumature timbriche. La chitarra è una Gibson SG Standard con pickup Tony Iommi, mentre la cassa utilizzata è una Laney CUB 2x12 a cui ho sostituito gli speaker con degli Eminence Governor. La distorsione proviene interamente dalla testata: con un canale drive di questa portata a mio avviso non ha alcun senso preoccuparsi di piazzare dei distorsori nell’input del canale clean. A parte il riverbero della testata (utilizzato solo sul pulito), come unici effetti esterni ho utilizzato un Maxon OD 808 settato a booster nelle parti più cattive o nei lead, e occasionalmente delay e chorus della Zoom G5 piazzata nel loop effetti. Il tutto è stato registrato con uno Zoom Q2 HD.
In conclusione non saprei davvero dire cosa non va in questo amplificatore. È un dispositivo assolutamente professionale e credibile, adatto sia per esercitarsi a casa a volumi contenuti (in questo senso è certamente più utile di una testata valvolare della medesima potenza) sia a regalare la giusta pressione sonora per le prove o i live. Se proprio vogliamo essere puntigliosi, nella dotazione di base sarebbero magari risultati graditi il footswitch incluso o una uscita line out, ma si tratta proprio di cercare il pelo nell’uovo. Sul suono invece non ho nulla da dire, se non che è veramente soddisfacente, a maggior ragione considerando che si tratta di un ampli a transistor. La realtà comunque è che quando si può comprare un oggetto simile per 360 euro non immagino proprio cos’altro si possa chiedere di più: semplicemente ci si domanda per quale motivo spendere il doppio o il triplo quando, senza dissanguarsi, si può invece ottenere un aggeggio che suona in questo modo. Questione di scelte e di gusti, certo. Ma io sono felice. Con buona pace di chi magari sentenzierà: "Transistor? No, grazie".