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Calibro 35: Made in Italy e ispirazioni illustri
Calibro 35: Made in Italy e ispirazioni illustri
di [user #15036] - pubblicato il

Da Morricone a Cipriani, i brani stampati indelebilmente nella memoria di qualunque appassionato di pellicole italiane anni '60 e '70 prendono nuova vita grazie ai Calibro 35, con un approccio unico e una strumentazione tutta da scoprire. Ce ne parla Massimo Martellotta, chitarrista della band.
Da Morricone a Cipriani, i brani stampati indelebilmente nella memoria di qualunque appassionato di pellicole italiane anni '60 e '70 prendono nuova vita grazie ai Calibro 35, con un approccio unico e una strumentazione tutta da scoprire. Ce ne parla Massimo Martellotta, chitarrista della band.

Da diversi anni seguo le gesta dei Calibro 35, quartetto milanese con un amore sviscerato per le colonne sonore dei film italiani d’annata.
Musicisti eccellenti, abili arrangiatori e con un’energia e un suono live micidiale, rappresentano una delle band più interessanti dello Stivale.
L’occasione di aprire un loro concerto con la mia band a Trevi, in una fresca serata di giugno, diventa una bella opportunità per avvicinare Massimo Martellotta, chitarrista del gruppo, che con moltissima disponibilità e simpatia (doti non sempre scontate nei professionisti) mi concede una chiacchierata sulla sua strumentazione live e sui progetti del gruppo.

Buona lettura!

Da chi è composto e come nasce il progetto "Calibro 35"?
I Calibro 35 nascono per omaggiare il periodo d'oro della colonna sonora italiana, in particolare quello compreso tra la fine degli anni '50 e la fine degli anni '60. 
Rifacciamo brani dei grandi maestri come Morricone, Bacalov o Cipriani ridotti per organico di quartetto rock e brani originali di nostra composizione.
Il progetto è così costituito: ci siamo io alla chitarra e all'organo Gem, Enrico Gabrielli alle tastiere e ai fiati, Luca Cavina al basso, Fabio Rondanini alla batteria e Tommaso Colliva, che non suona ma produce i dischi e sforna idee.

Calibro 35: Made in Italy e ispirazioni illustri

Morricone, Micalizzi, Bacalov, Trovajoli, Cipriani, Ortolani, sono tutti compositori che hanno fatto ampio uso di orchestre e arrangiamenti complessi.
Eppure, sentendovi suonare i loro brani in una formazione a quattro, siete riusciti a ricrearne l'alchimia e le atmosfere…

Bisogna partire da un presupposto dovuto: un brano ben scritto suonerà comunque interessante in qualsiasi delle forme in cui lo rirpoponi.
Il nostro lavoro è stato principalmente di scelta del repertorio quindi. Abbiamo scelto dei brani che avendo una forte componente tematica sarebbero potuti risultare riconoscibili comunque.
Poi abbiamo arrangiato il materiale con gli strumenti che avevamo a disposizione, per esempio assegnando i temi di brass di Micalizzi alla chitarra fuzz con l'octaver, oppure le sezioni di archi agli organi.
Il resto del sound è attenzione e grande rispetto all'intenzione generale del compositore, che riproponiamo con la parte più "rumoristica" del nostro organico.

L'ultimo album (Traditori di tutti) è costituito da tutti brani originali, ispirati alle composizioni dei grandi di cui sopra, chi si è occupato dell'arrangiamento e della stesura dei pezzi?
L'ultimo disco è un Concept: sonorizzare un film immaginario mai girato tratto dal romanzo di G. Scerbanenco "Traditori di tutti".
La stesura dei brani è stata a volte collettiva, a volte personale.
Dal canto mio, spesso arrivo con dei pezzi già scritti dalla A alla Z, batterie, organi e sezione fiati compresa ("Giulia Mon Amour", "Vendetta" per esempio) di cui realizzo dei provini e che spesso ci aiutano a rompere il ghiaccio nei momenti critici di stallo.
Poi ognuno porta il suo, e spesso capita che scriviamo e arrangiamo nel momento stesso in cui registriamo.

Nei vostri live usate quasi esclusivamente strumenti degli anni Sessanta/Settanta, con una propensione per marchi italiani (Binson, Eko, GEM). 
Quanto è importante per il vostro sound l'originale rispetto alla reissue?
Purtroppo di alcune cose le reissue non esistono. Sugli organi soprattutto, quando siamo all'estero ci capita di usare dei sostituti digitali, che usiamo lo stesso e che cerchiamo di sfruttare al meglio, ma purtroppo la differenza è tantissima rispetto all'originale. Soprattutto perché non usiamo degli organi "standard" come può essere un Hammond o un Vox Continental, ma piuttosto famiglie di suoni più affini ai Farfisa Compact o al Philips Philicorda. Sono suoni che solo da qualche tempo cominciano a essere "digitalizzati" e trovi nei preset in un generico "Vintage cheap organ" dove ancora siamo lontanissimi dall'originale, intendo nell'uso live.
In studio invece possono essere delle risorse a volte. Per quanto riguarda gli ampli Binson invece, la scelta è stata fatta soprattutto perché sono ampli facilmente reperibili in Italia, a un prezzo molto buono rispetto alla qualità e tutto sommato ci sembrava bello suonare con strumenti italiani dell'epoca la musica italiana dell'epoca.

Parlando delle tue chitarre, di recente, oltre alla fedele Telecaster del '66, stai usando una chitarra dalla forma bizzarra, puoi parlarci delle tue sei corde?
Possiedo varie chitarre, tra cui una Gibson 225 del '55, una Gretsch Duo Jet del '53, varie Teisco.
La chitarra che sto usando dal vivo ultimamente con la “forma bizzarra” - ma ti assicuro che ci sono modelli molto più bizzarri della mia - di cui parli è una Wandré Roby.
È una chitarra italiana della metà degli anni '60 prodotta da Wandré Pioli, ingegnere artigiano appassionato d'arte. Wandré ha prodotto una varietà di chitarre dalle forme più svariate, le concepiva quasi come delle opere d'arte e dei pezzi unici.
All'epoca molti dei cantanti più in voga ne avevano una, Celentano in testa.
C'è un modello ispirato alle forme di Barbara Bouchet, la BB appunto.
Mi piace perché è leggera, facile da suonare, ha un suono quasi "acustico" ed è molto armonica.
L'organo che uso invece è un Gem Rodeo, che passo nella stessa pedaliera della chitarra.

Calibro 35: Made in Italy e ispirazioni illustri

A proposito dell'amplificatore e degli effetti?
Dal vivo sto usando un Binson Hifi 40 watt del '67. Ha un bel riverbero e un cono da 15 che trovo bellissimo.
Ho un po' il problema che - come tutti gli ampli d'epoca - non avendo il master spesso lo devo usare un po' sottodimensionato per non spaccare i timpani a Fabio e alla prima fila, ma mi trovo benissimo.
Per i pedali: ho un wah wah Crybaby (dopo aver rotto almeno tre wah Dearmond in giro per concerti, ho deciso di prendermelo standard, così posso comprarmene ovunque uno uguale in caso di guasto, e quando sei in giro soprattutto all'estero succede di tutto!).
Poi un Z-Vex Box of Rock, un fuzz Prescription Electronics e un delay Ibanez DL 10.

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In particolare, quello che mi ha colpito maggiormente è il suono del tuo fuzz, sporco, acido, ma anche "rotondo" e preciso.
Si tratta di un Prescription Electronics The Experience, puoi parlarcene nel dettaglio?
È basicamente un fuzz, ma ha anche la modalità che "aggiunge" un'ottava e quella "swell", che in teoria dovrebbe riprodurre il suono di un nastro mandato al contrario, ed in pratica è una versione estrema del fuzz-octave in cui gli armonici sono completamente estremizzati.
Diventa molto sensibile al volume della chitarra, in maniera creativa, ed è una funzione usabile più in studio che dal vivo, puoi sentirla nella parte finale del brano "Preludio" sul primo disco.
Questo fuzz in modalità octave è il suono che fa tutte le parti tematiche dei brani che originariamente erano per brass, per esempio nella nostra versione di "Italia a mano armata".
Poi spesso lo uso pensando alla stessa funzione, per esempio se pensi all'inizio di "Eurocrime".
Il fatto che sia acido o tondo dipende molto dall'uso combinato col wah. Spesso lo uso con il wah wah chiuso e diventa "tondo" come dici tu e più definito, oppure con il volume più basso per esaltare le armoniche da ottava "random" che lo caratterizzano.

Da qualche anno avete varcato i confini del Belpaese, come viene recepito all'estero un repertorio Made in Italy?
Direi bene, pochi conoscono in realtà i brani, ma dal Brasile alla Turchia, dal Kosovo agli Stati Uniti fruiscono il concerto esattamente come ovunque: se suoniamo bene si divertono un casino.
Se suoniamo male meno, ma mediamente il fatto di non avere un cantante ci pone nella condizione migliore per parlare un linguaggio più facimlmente condivisibile.

Progetti per il futuro?
Molti, per il momento siamo focalizzati con il tour, abbiamo un bel po' di Italia da girare, siamo appena stati in Lussemburgo e saremo in Spagna a breve.

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