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Tutto ciò che avreste voluto chiedere sulle cuffie
Tutto ciò che avreste voluto chiedere sulle cuffie
di [user #13757] - pubblicato il

Ho letto negli anni parecchi articoli ricchi di consigli sulla scelta delle cuffie. La maggior parte si concentra sulla tipologia della cuffia (aperta, chiusa, sovraurale, circumaurale...), ma raramente si affronta la questione secondo me più delicata e critica per l’ascolto: l’interfacciamento in ingresso e in uscita.
Ho letto negli anni parecchi articoli ricchi di consigli sulla scelta delle cuffie. La maggior parte si concentra sulla tipologia della cuffia (aperta, chiusa, sovraurale, circumaurale...), ma raramente si affronta la questione secondo me più delicata e critica per l’ascolto: l’interfacciamento in ingresso e in uscita.

Una cuffia è utile in molte circostanze e ognuno ha trovato - nel tempo - usi specifici che vanno dai più ovvi (amatoriali o professionali che siano) ai più creativi (usarla per fare registrazioni binaurali, per esempio). Dal punto di vista del puro ascolto, apparentemente la cuffia elimina il contributo dell'ambiente al suono percepito. In realtà, utilizzando delle cuffie non facciamo che sostituire "la stanza" con un altro ambiente: il volume di aria tra il trasduttore e l'orecchio. A prima vista una questione di lana caprina, che invece come vedremo incide profondamente sulla qualità dell’ascolto.

Cos'è l'interfacciamento
In elettroacustica, l’interfacciamento descrive il modo in cui due dispositivi scambiano segnali di natura elettrica. In particolare, ci riferiamo a come e quanto le caratteristiche elettriche di ciascun dispositivo influenzano il funzionamento dell’altro.
Per capirci, chiamiamo sorgente il dispositivo a monte (che invia segnali) e carico il dispositivo a valle (che riceve i segnali). Chiaro che un carico può essere a sua volta sorgente per un altro carico, come accade a un finale di potenza che riceve tipicamente un segnale da un pre (agendo da carico) e lo invia (agendo da sorgente) tipicamente a una cassa (che è il carico finale).
Quando ci occupiamo di come un carico interagisce con la sua sorgente, parliamo di interfacciamento in ingresso, mentre l’interfacciamento in uscita, studia il comportamento di una sorgente in relazione al suo carico.

Vorrei sottolineare un aspetto che viene spesso trascurato quando si parla di come "suona" un dispositivo (che sia un amplificatore o una 4x12"). Una sorgente non ha un segnale di uscita tipico. Il segnale in uscita è sempre dipendente dal carico. Un amplificatore emette un segnale che dipende anche dalla cassa collegata, al punto da poter cambiare molto da una cassa all’altra. Quando cambiamo cassa e sentiamo il suono del nostro sistema cambiare quindi, non è solo perché ogni cassa ha una sua personalità sonora, ma anche perché ogni cassa fa sì che l’amplificatore modifichi il proprio regime di funzionamento.

Paradosso tipico: l’amico che ci invita a sentire il suono delle sue nuove casse, laddove non abbiamo mai sentito il suo vecchio impianto suonare nella sua stanza. Non è possibile capire, ascoltando una catena di riproduzione, quale sia il contributo apportato da ciascun elemento dell’impianto e dalla stanza, a meno di non avere una profonda esperienza su ciascun componente… e sulla stanza.

Tutto ciò che avreste voluto chiedere sulle cuffie

Un problema complicato?
No. Per risolvere e capire completamente tutte le possibili problematiche di interfacciamento tra due dispositivi audio ci serve considerare solo quattro parametri:
  • Per la sorgente: impedenza (resistenza) dell'uscita e livello di uscita (forza del segnale)
  • Per il carico: impedenza e sensibilità (quanto suona forte a parità di segnale in ingresso)
Tutto qui. Conoscendo questi quattro valori (spesso dichiarati dalla casa e reperibili on-line o sulle riviste di settore), possiamo capire tutto su come due dispositivi collegati stiano insieme e se suonino bene o male.

Applichiamo il tutto alle cuffie
Nel seguito, per facilitare la lettura qualunque sia il livello di conoscenza elettrotecnico di chi legge, darò per certe determinate affermazioni, senza dimostrarle. Se siete esperti saranno ovvie, se non lo siete credetemi sulla parola e prendete per buono il dato pratico, che poi è quello che vi guiderà nella scelta.

INTERFACCIAMENTO IN INGRESSO
Con questo termine mi riferisco all’interazione tra amplificatore e cuffia. A parte le elettrostatiche, dotate di un proprio adattatore di impedenza e che si collegano direttamente all’uscita casse di un finale, le cuffie (intese come carico) devono fare i conti con "l'uscita cuffia", cioè con l’impedenza dell'uscita e con la forza del segnale che l’amplificatore può produrre.
Ci sono due grandi famiglie di amplificatori in grado di pilotare una cuffia:
  • Amplificatori di potenza (come nei classici "integrati" hi-fi, ad esempio) dotati di uscita cuffia
  • Preamplificatori dotati di uscita cuffia. In questa seconda categoria (estremamente ampia), faccio confluire tutti i device che non hanno al loro interno un amplificatore finale: registratori analogici e digitali, multieffetto, pedaliere per chitarra, pre da cintura (Korg Pandora, per dirne uno), preamplificatori veri e propri (sia analogici che digitali, tra cui rientrano i vari POD, Axe-Fx, Kemper), radio da tavolo, radioline da taschino, tablet, CD player, telefonini ecc. Qualunque cosa non possa pilotare una cassa passiva, insomma.
Esaminiamo le due famiglie distintamente.

Tutto ciò che avreste voluto chiedere sulle cuffie

Interfacciamento con amplificatori di potenza
Un amplificatore di potenza può generare all’uscita cuffia un segnale di decine di volt (per esempio 20 V per un ampli da 50 W).
Normalmente "l’uscita cuffia" è una semplice resistenza (tra 100 ohm e 700 ohm, tipicamente 200-400 ohm) messa in serie all’uscita altoparlanti per ridurre il livello del segnale di potenza e renderlo adatto ai piccoli trasduttori delle cuffie.
Per come è fatto, questo circuito determina due conseguenze:
  • Il massimo volume di riproduzione (o - in altre parole - la massima tensione disponibile sull’uscita) dipende non solo dalla sensibilità della cuffia. ma anche dalla sua impedenza. Prese due cuffie, che suonano una forte e una piano, utilizzando un amplificatore diverso si potrebbe invertire la situazione
  • Se l’impedenza della cuffia varia molto al variare della frequenza, la risposta in frequenza complessiva risentirà sia delle non-linearità della risposta in frequenza dell’uscita che di quelle della cuffia (il che, evidentemente, non va bene)
Al problema descritto al secondo punto, c’è una soluzione: utilizzare un amplificatore con un’impedenza di uscita più bassa, o abbassarla con un semplice attenuatore esterno (una resistenza in parallelo alla cuffia) opportunamente calcolato. Diciamo che se l’impedenza della cuffia è 10 volte superiore all’impedenza d’uscita dell’amplificatore, il problema è risolto e la risposta in frequenza finisce per coincidere con quella dell’uscita cuffia (che speriamo suoni bene!).

Interfacciamento con preamplificatori
I membri di questa grande famiglia di dispositivi, come l’abbiamo definita, producono un segnale all’uscita cuffia molto inferiore a quello di un finale di potenza. Siamo in questo caso nell’ordine dei 500-1000 mV (cioè un volt, o meno) per le apparecchiature non troppo performanti, fino ai 5 V di un buon pre per cuffia o un lettore CD di qualità. Per ascoltare a buoni volumi, o conservare intatta la dinamica di un brano molto "mosso", serve una cuffia dalla buona sensibilità, tanto più quanto più basso è il livello di uscita.

L’altro parametro di interfacciamento, l’impedenza di uscita, può ricadere in due grandi gruppi:
  • Essere di qualche centinaio di ohm. In questo caso vale quanto detto per gli amplificatori finali, solo che l’idea dell’attenuatore esterno non funzionerà (gli serve un segnale di potenza). Dunque per linearizzare la risposta in frequenza (lato interfaccia in ingresso) sarà opportuno scegliere una cuffia dall’impedenza elevata. 
  • Essere di qualche decina di ohm (come negli amplificatori per cuffia dedicati). Questa è la situazione migliore, cadono i problemi di interfacciamento con la maggioranza delle cuffie (salvo cuffie dall’impedenza estremamente bassa).
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INTERFACCIAMENTO IN USCITA
Questo è l’aspetto secondo me più importante per la qualità di suono della cuffia e riguarda l’interfacciamento cuffia/orecchio. Si tratta anche del fattore più trascurato, forse perché tendiamo a non pensare alla forma della nostra testa come... variabile elettroacustica.

Pensiamo allora, come abbiamo accennato, allo spazio compreso tra cuffia e orecchio come al nostro "ambiente": così lo chiamerò da qui in avanti, occhio a non confonderci!

Sostanzialmente ci sono due aspetti meccanici che determinano la qualità del suono di una cuffia: le risonanze dell’ambiente (proprio come avviene in una stanza vera) e l’isolamento acustico.
Le risonanze sono quelle che creano il famoso "rumore del mare" quando avviciniamo una conchiglia (o un bicchiere) all’orecchio: nient’altro che le onde stazionarie che si formano nell’ambiente. Per ridurle si possono seguire due vie: introdurre nel bicchiere materiale assorbente (lana di vetro, per esempio) o ridurre la profondità dell’ambiente (come se usassimo un bicchiere della stessa forma ma più basso).
A questo punto possiamo pensare alle cuffie come a un "bicchiere molto basso". Le cuffie intraurali (walkman e di più iPad) sono quelle che riducono al massimo le dimensioni dell’ambiente.

Per quanto piccolo sia il nostro "bicchiere", mettendolo e togliendolo dall’orecchio si sente comunque una differenza. Questo è invece il fattore dell’isolamento dall’esterno.

Linearità della risposta alle basse frequenze
È facile capire che se la cuffia non "tiene" bene sul padiglione auricolare, l’aria mossa del trasduttore "sfogherà" attraverso lo sfiato. In questo caso perdiamo pressione sonora, soprattutto nella risposta sulle basse frequenze. Per verificare questo comportamento, provate (con una cuffia qualsiasi) a premere leggermente i trasduttori contro le orecchie: avvertirete chiaramente un potenziamento delle basse frequenze.

Uno dei vantaggi di una cuffia, per come è fatto il timpano e per l’interfacciamento con la testa, è la capacità di riprodurre perfettamente frequenze praticamente fino allo zero, ma questo accadrà solo se la tenuta è perfetta.

Nota: quando si parla di linearità di riproduzione di un dispositivo audio ci si riferisce alla sua capacità di riproporre il più possibile fedelmente il segnale in ingresso. Un dispositivo che crea bassi "da discoteca" o incremento di qualsiasi altra fascia di frequenze rispetto al resto della gamma audio (così come uno che sia carente in certe aree dello spettro sonoro) non è lineare, cioè non è "fedele" (e spesso costa meno, ma non è una regola).

Tutto ciò che avreste voluto chiedere sulle cuffie

Linearità della risposta alle alte frequenze
Quando un suono viene prodotto in un ambiente più o meno chiuso, alcune frequenze risultano rinforzate, altre indebolite. Si tratta, come sappiamo, di un fenomeno indesiderato che è piuttosto critico nell’ascolto hi-fi. In particolare, avremo un rinforzo quando l'onda di rimbalzo si somma alle altre onde della stessa frequenza che incontra, e un'attenuazione quando le onde che si incontrano sono in fase opposta. Un ambiente più piccolo riduce il complessivo spettro delle risonanze perché minori le dimensioni, minore è il numero delle frequenze che possono rispondere alle proporzioni richieste e quindi eccitare le risonanze.
L’ambiente cuffia/orecchio, caratterizzato da misure diverse nelle varie direzioni dello spazio, ha certo una forma molto più irregolare di una comune stanza, che è già abbastanza complessa dal punto di vista del calcolo delle risonanze. Comunque, considerando le grandezze in gioco, tutte nell’ordine dei millimetri/centimetri, questi fenomeni hanno luogo esclusivamente per frequenze alte (cioè lunghezze d'onda molto piccole).

Linearità sulle medie frequenze

In questa fascia di frequenze l’ambiente è ininfluente, e il comportamento acustico dipende esclusivamente dalla risposta in frequenza elettrica.

CUFFIE

Tipi di cuffia
Esistono sul mercato parecchie tecnologie di cuffie. Per quanto riguarda l’interfacciamento in uscita, le principali differenze sono tra cuffie elettrostatiche, sovraurali, circumaurali, a pressione, minicuffie, intraurali (o microcuffie). Queste ultime possono essere destinate a essere ospitate dal padiglione auricolare (e sono tipicamente di forma a pasticca, come nel classico walkman) o nel canale uditivo (e allora hanno la parte emissiva più o meno "a siluro", come quelle dell’iPad, per affondare nell’orecchio). Ci sono poi cuffie aperte, semiaperte e chiuse, che presentano una progressiva riduzione dello scambio di suoni tra l’ambiente e l’esterno. È importante sottolineare che il fatto di essere aperta o chiusa non influenza di per sé la linearità della risposta in frequenza di una cuffia (che dipende dal progetto e dall’interfacciamento), ma solo l’isolamento (bidirezionale) con l’esterno.

In generale, tutte le tipologie di costruzione possono funzionare bene e avere un gran suono… o un suono pessimo. In ultima analisi la qualità della prestazione dipende dalla bontà della singola realizzazione, dall’interfacciamento appropriato della nostra testa/orecchio/canale uditivo con la cuffia e dall’amplificatore utilizzato.

Dati dichiarati dal produttore
Visto che ognuno di noi ha una testa diversa, per la misura delle prestazioni delle cuffie è stato definito uno strumento di misura standard, l’orecchio artificiale (immagine sotto). Si tratta di un oggetto con caratteristiche geometriche precise e con un microfono di misura all’interno, su cui vengono poggiate le cuffie, alle quali poi vengono inviati i segnali di test.
Naturalmente, quando poi siamo noi a indossare la cuffia la sua risposta cambia e può cambiare anche di molto a seconda di quanto uno specifico modello calzi bene la nostra testa. Ogni testa e padiglione auricolare hanno una forma diversa e cambiano di conseguenza la dimensione dell’ambiente, l’isolamento, la risposta alle basse e alle alte.
Questo è vero però sia nel bene che nel male. Un picco di risonanza indesiderato nella risposta in frequenza misurata sull’orecchio artificiale non necessariamente si riprodurrà sulla nostra testa.
A complemento delle misure su orecchio artificiale si possono effettuare dei test "in campo aperto" (cioè col padiglione della cuffia non premuto contro una superficie), che naturalmente escluderanno ogni risposta legata all’interfacciamento in uscita e servono proprio a verificare se la cuffia presenta eventuali alterazioni della risposta di natura puramente elettrica.

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Per suonare forte
Se cercate alti volumi di ascolto o una dinamica elevata (dove quando arriva un fortissimo il segnale non si "siede" e la cuffia rende tutta la "botta") il parametro più importante è il livello d’uscita. Un finale di potenza (o un ampli per cuffie) garantiscono sempre un segnale adeguatamente robusto, al contrario di un "preamplificatore".
È chiaro però che una volta che un certo segnale arriva alla cuffia, un valore di sensibilità più alto garantisce di sfruttare bene tutti i Volt a disposizione. La sensibilità viene misurata in dB/V: 90 dB/V è un valore basso, 120 è un valore estremamente elevato. Significa che quando l’ampli emette un segnale di un volt, la cuffia produce una pressione sonora di 120 dB.

Ma anche l’impedenza della cuffia è importante. A parità di sensibilità, un costruttore può adoperare per gli avvolgimenti della bobina mobile degli altoparlanti, molte spire di filo sottile (determinando un’impedenza più elevata) o poche spire di filo più spesso (determinando un’impedenza più bassa).
Per impedenze di uscita basse (decine di ohm), più è bassa l’impedenza del carico, più forte suonerà la cuffia. Per impedenze di uscita alte (centinaia di ohm) suona più forte una cuffia ad alta impedenza, perché il regime di funzionamento elettrico dell’uscita è diverso.

Il problema dell’impedenza per la linearità della risposta in frequenza
Per definizione, l’impedenza di un dispositivo audio (la resistenza che il circuito oppone al transito di un segnale musicale) varia con la frequenza.
Dato un certo dispositivo, non c’è un modo semplice per capire a priori come sia questa variazione. Occorre testare tutte le frequenze. Una cuffia può avere un’impedenza di 50 ohm a 2000 Hz e di 100 ohm a 70 Hz. Ma allora quando si dice che una cuffia ha un’impedenza di 80 ohm che significa?

Per convenzione, quella è l’impedenza misurata a 1000 Hz. Si parla di impedenza nominale, e dev’essere chiaro che questo dato non dice nulla sull’impedenza complessiva del dispositivo. Per usare un paragone automobilistico, è come dire che una certa auto a 1400 giri ha una coppia di tot Nm. Dà un’idea di massima (per esempio si capisce se parliamo di una 500 del ’72 o di un Ferrari T40), ma non ci dice veramente come varia la coppia quando i giri cambiano. Ma torniamo alle cuffie.

Perché l’andamento dell’impedenza della cuffia è significativo? Perché la forza del segnale che una cuffia produce cambia a seconda dell’impedenza che la cuffia ha alla frequenza del segnale. Quindi, se la cuffia ha un andamento dell’impedenza tormentato, la risposta in frequenza sarà tormentata anche lei. A meno che…
… a meno che l’impedenza di uscita dell’amplificatore non sia, come abbiamo visto, molte volte più bassa di quella della cuffia. Una bassa impedenza di uscita (rispetto all’impedenza della cuffia) fa sì che il livello del segnale non sia più sensibile alle variazioni di impedenza del carico.
Per fare un esempio quantitativo, se una sorgente con un’impedenza di 1 Kohm pilota una cuffia con un’impedenza di 60 0ohm costante su tutta la gamma audio, ma con un picco di 800 ohm a 200 Hz, viene prodotto un picco di 1,4 dB a 200 Hz. Moltiplicate questo per tutti i possibili picchi (e valli) dell’impedenza della cuffia e aggiungeteci le non linearità della sorgente…

La sorgente migliore, quindi, mostra contemporaneamente bassa impedenza e alto livello d'uscita. Le due condizioni non si verificano spesso, perché solitamente un amplificatore di potenza (che genera l’uscita più robusta) ha un’impedenza di uscita cuffia piuttosto elevata (diverse centinaia di ohm). Non resta che rivolgersi a cuffie dall’impedenza elevata, e/o utilizzare un attenuatore come suggerito a inizio articolo.
O ancora, utilizzare un preamplificatore dall’uscita comunque robusta (per esempio 5 V) e dalla bassa impedenza. Ecco perché i pre per cuffia fanno di solito suonare le cuffie molto bene.

In ogni caso, una cuffia caratterizzata da un andamento dell’impedenza molto lineare avrà meno problemi di linearità quando pilotata da un amplificatore dall’impedenza elevata.

C’è da dire però, che l’andamento dell’impedenza di una cuffia è estremamente regolare rispetto all’impedenza di una cassa. Questo rende l’interfacciamento di una cuffia con un amplificatore più facile di quello di una cassa.

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Come scegliere la cuffia
Una cuffia ad alta impedenza (un tipico valore di impedenza per una cuffia "professionale" è 600 ohm) è molto adatta a lavorare con una sorgente ad alta impedenza e alto livello, come tipicamente un finale. Una cuffia a bassa impedenza (nell’ordine dei 50-100 ohm), sarà più capace di sfruttare i pochi volt disponibili all’uscita di un preamplificatore.
Nel complesso, una cuffia ad alta impedenza è la più versatile per ogni applicazione, perché suonerà bene anche con impedenze d’uscita elevate e non genererà variazioni nella risposta in frequenza in corrispondenza di variazioni di impedenza. Certo, se la sorgente ha un’uscita molto bassa dimenticatevi le alte dinamiche o le alte pressioni sonore, a meno che la sensibilità della cuffia non sia anch’essa molto elevata.

Se già sapete che state acquistando una cuffia per un particolare dispositivo, conoscere i due dati di interfacciamento (impedenza e livello di uscita) del dispositivo su cui la proviamo aiuta a fare una scelta ragionata. Immagino già la faccia stranita di un commesso di Ricordi o Messaggerie Musicali quando l’acquirente gli chiede candidamente i parametri di interfacciamento dell’uscita cuffia dell’amplificatore che sta utilizzando per l’ascolto in negozio… Fantascienza certo, ma meglio provare la cuffia con un dispositivo dalle caratteristiche di interfacciamento simili a quello che useremo a casa. Se già sapete che l’acquisto è destinato a un lettore di CD, inutile ascoltare le candidate all’acquisto collegandole ad un finale e viceversa.

Per quanto riguarda l’interfacciamento in uscita, valutate:
  • Se il posizionamento sulle orecchie rimane stabile nel tempo anche se vi agitate parecchio (l’archetto scivola in avanti o all’indietro, la regolazione della lunghezza “salta” ecc.)
  • Se alla lunga provate fatica (l’archetto stringe, le orecchie sudano e si surriscaldano ecc.)
  • Se il cavo di collegamento “suona”. Strusciandolo contro il corpo o contro il tavolo non dovete sentire alcun suono negli auricolari
  • Se l’apertura o la chiusura del disegno del padiglione corrisponde alle vostre necessità (maggiore o minore isolamento)
  • L’effetto di amplificazione dei bassi quando premete leggermente i padiglioni contro le orecchie. La cuffia che meglio si adatta a voi meccanicamente è quella in cui i bassi si amplificano meno (perché vuol dire che la tenuta era già ottima). Naturalmente questo test non è affatto scientifico. Ci sarà sempre una variazione piuttosto notevole, ma se siete indecisi tra due modelli provate a vedere se reagiscono in modo diverso sotto questo aspetto.
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