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Simple Minds in concerto
Simple Minds in concerto
di [user #17404] - pubblicato il

Un concerto eroico con una band che sfida e sconfigge il tempo. Quello meteorologico perché una pioggia torrenziale non ferma Jim Kerr e soci dall’offrire al pubblico che ha stipato l’Arena di Lignano il loro show, fino all’ultima nota. E anche quello cronologico, giacché i classici della band, a distanza di più di trent’anni, non hanno perso una virgola del loro fascino.
Un concerto eroico con una band leggendaria che sfida e sconfigge il tempo. Quello meteorologico in primis, perché una pioggia torrenziale non ferma Jim Kerr e soci dall’offrire tutto il loro show, fino all’ultima nota, ai 2800 paganti che hanno stipato l’Arena di Lignano. E anche quello cronologico, giacché i classici della band a distanza di più di trent’anni suonati non hanno perso una virgola del loro fascino.

Prova che se un’estetica musicale, certi strumenti e una maniera di suonare possono invecchiare, un songwriting efficace, una grande canzone, no. I Simple Minds sono stati delle icone della new wave tracciando in maniera decisa alcune caratteristiche di quel periodo variegato e raffinato: portamenti ritmici petulanti, scanditi dal basso in ottavi; parti di chitarra frammentate tra riff che rotolano su delay analogici e pennellate grintose di accordi sgranati; tappeti ossessivi e arpeggi ostinati di synth . Una trama sonora che oggi ripresentano con intatta fedeltà e coerenza, ricreando un’atmosfera deliziosamente e disperatamente anni ’80.

Simple Minds in concerto

Atmosfera in cui, con le orecchie digitali e quantizzate di oggi, godiamo nel sentire il continuo braccio di ferro tra il respiro del portamento ritmico della batteria di Mel Gaynor e le sequenze elettroniche dei synth. Un’instabilità elegante e affascinante su cui s’innescano sicuri i chitarristi di Charlie Burchill vero alter ego di Jim Kerr. Burchill è un puro guitar hero degli anni ’80, che come pochi rivendica un posto a fianco a giganti come The Edge e Andy Summers. Musicisti che in quegli anni hanno costruito un chitarrismo che in tutte le maniere si è allontanato dal rock tradizionale, dal solismo imperante del rock blues e del progressive. Oggi come allora, la chitarra di Burchill singhiozza accordi affogati del delay, accenna arpeggi nervosi e pizzica armonici distorti. Non suona mai la stessa parte per più di quattro misure, creando una tavolozza sonora coloratissima e frammentata che s’incastra in maniera perfetta e fantasiosa tra un basso gigantesco e onnipresente e muri di synth.
Colpisce la sua distorsione, particolarissima e soffocata, che fa arrivare come uno schiaffo l’attacco degli accordi ma quando aspetti anche la botta dei bassi, già è sparita, lasciando morbide code di delay e chorus ad accarezzare dove prima ha colpito. Un vero, originalissimo, marchio di fabbrica del suo playing.
“Waterfront” “Mandela Day” sono tra i pezzi più riusciti della serata. Ma i brividi, quelli veri, arrivano con “Someone somewhere in summertime” onirica e lancinante.
Jim Kerr è impeccabile e affascinante; elegante e sicuro, intrattiene gli spettatori con un italiano pressoché perfetto e anche nei momenti in cui la pioggia si fa torrenziale, tranquillizza il pubblico circa la continuazione dello show: “Siamo scozzesi, per noi è acqua fresca, va ancora tutto bene”.
Unica nota stonata. Arrivano, attesissimi, alla fine della scaletta i tre capolavori della band “Don’t you Forget about me” “Alive and kicking” e “Sanctify yourself”. Gioielli che i Simple Minds hanno consegnato alla storia e che, a loro volta, hanno consacrato i Simple Minds nella storia del pop. E allora perché non cantarne i ritornelli? Può starci bene che il primo inciso della canzone la band lo affidi interamente alla voce del pubblico ma nei restanti si pretende che sia il gruppo e l’artista a cantare. Altrimenti è una festa a metà. Altrimenti è un orgasmo mancato.

Simple Minds in concerto

Se è un vezzo, è detestabile. E se invece è un accorgimento per risparmiare ai fan che la voce non è più quella di una volta, forse è una soluzione ancora peggiore. Meglio sentire il proprio eroe arrancare ma crederci ancora; meglio ascoltare il brano arrangiato un semitono sotto; o, forse, addirittura meglio non sentirlo proprio. Piuttosto che ascoltare un classico del pop mutilato; una canzone magica, che ci ha fatto sognare, suonata dalla band che l’ha scritta ma cantata a squarciagola dal nostro vicino di posto sguaiato, sudato e che sbaglia le parole.

Foto di SIMONE DI LUCA
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