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Rockett Pedals Archer il Clon senza la K
Rockett Pedals Archer il Clon senza la K
di [user #116] - pubblicato il

Sul mercato i cloni del Klon si sprecano. Quello in prova oggi ha un legame speciale con l’originale e non solo per l’estetica. Da quello più grosso e costoso, però, prende le distanze grazie a un più alto livello di guadagno e delle basse più presenti e potenti. Lo abbiamo provato con Michele Quaini e una Two Rock.
L’Archer arriva in una scatola talmente grande e pesante che una volta aperta ci si stupisce che al suo interno non ci sia un Boss DD20. Con l’estetica i tecnici della Rockett Pedals hanno fatto di tutto per far assomigliare il clone all’originale. Ecco quindi le manopole bordeaux belle appuntite (ma giustamente più piccole), lo chassis in metallo piegato che contribuisce da solo al 98% del peso. Il tutto però sembra garantire una solidità davvero micidiale. L’arciere serigrafato chiude il cerchio. 

Il circuito al suo interno, però, non è ricalca con precisione quello del Klon, ma si discosta per alcuni dettagli che emergeranno una volta acceso in catena. I controlli, però, sono gli stessi. Gain, volume e treble. Come sull’originale, quest’ultima interviene sugli alti, enfatizzandoli (sul Rockett, tra l’altro, sarà molto utile questo controllo, ma ne parliamo tra poco). 

Alimentato a 9volt, con connettore standard con negativo al centro, non ha altro in scheda tecnica da citare, se non che la solidità traspare non solo dallo scatolotto di adamantio, ma anche dai connettori, che danno l’impressione di non cedere nemmeno sotto i colpi di un martello, insomma è un pedale pronto a essere maltrattato ben più di altri che abbiamo avuto sotto i piedi. 

Rockett Pedals Archer il Clon senza la K

Premiamo il footswitch, silenziosissimo (anche meccanicamente) e cominciamo da un leggero boost, con volume oltre ore 12 e gain bassissimo. Questa è la modalità che più si avvicina alla croccantezza e al sound bright del Klon originale (che abbiamo testato poco tempo fa). Da subito, però, si nota una maggiore incidenza delle basse. Qui ci viene incontro la manopola bright che ci permette di recuperare un po’ di punta anche sulle medie, dandoci (ancora per poco) la sensazione di suonare il ben più costoso pedalone degli anni ’90. 

Abbassiamo il volume per poter aumentare il guadagno. Con poca escursione della manopola, già ci siamo lasciati alle spalle il boost e siamo passati a un crunch che stuzzica la nostra voglia di rock. Qui diventa davvero difficile tenere a bada le basse che, spinte dal P90 della Fano, emergono con potenza e diventano prepotenti. 

Nonostante il timbro del J Rockett si discosti ormai con chiarezza dall’overdrive di Bill Finnegan, ha qualcosa nel modo di distorcere il sound della chitarra che lo ricorda in pieno, soprattutto nella parte medio alta dello spettro, anche se il risultato è un bel po’ più scuretto. 

La prova che sotto i piedi abbiamo qualcosa di diverso ci arriva quando mandiamo a fondo corsa la manopola del gain. Qui non abbiamo più a che fare con un crunch spinto, ma quasi un vero distorsore. Il sound pieno e grosso centra ormai poco con quello che ci aspettavamo, ma non ci dispiace affatto e pur con un single coil al ponte, si riesce ad avere un lead sound di tutto rispetto. 



Un clone, che in realtà Klon non è. Pur rifacendosi all’originale non lo copia completamente, ma anzi crea qualcosa di ispirato, ma nuovo (se di nuovo nel mondo degli overdrive si può parlare). È un pedale con un costo non certo contenuto, si attesta sui 250 euro, è una chicca, un pedale boutique, un clone, chiamatelo come volete, ma se vi capita a tiro fateci un giro.
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