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​Telecaster Hot-Rodizzate
​Telecaster Hot-Rodizzate
di [user #4093] - pubblicato il

Gli Hot Rod sono la quinta essenza del car tuning. Uniscono mezzi anni 50 a colori e accessori pazzeschi, sfacciati e volutamente tamarri. La Telecaster arriva dalla stessa decade e non è sfuggita negli anni alle più disparate customizzazioni. Diego Geraci ci racconta tre esemplari di Telecaster che con la Fender hanno ben poso a che fare.
Spesso su queste pagine ho apprezzato e lodato infinitamente le qualità della Telecaster. Uno strumento che, nella sua semplicità, resta unico ed inimitabile. Il fascino di due pezzi di legno, tenuti insieme da delle viti, senza troppi fronzoli o finiture stratosferiche, senza top curvati o legni introvabili, è veramente senza tempo. Spesso, alla domanda generica “cosa suoni?” rispondo, orgoglioso, “la Telecaster” e non “la chitarra”, quasi che fosse uno strumento a s e, in verità, lo è! 

Infatti i telecasteristi sono degli esecutori che hanno fatto del proprio strumento un’incredibile fucina di suoni, che ritrovi solo su questi due pezzi di legno tenuti insieme da delle viti. Dai telecasteristi storici un po’ tutti abbiamo rubacchiato trucchi e posizioni per tirare fuori la voce dello strumento. Trucchi che, il più delle volte, funzionano quasi ed esclusivamente su questi strumenti concepiti parecchie decadi fa, senza la minima pianificazione di quello che sarebbe accaduto nelle ere musicali successive. 

​Telecaster Hot-Rodizzate

Eppure, spulciando tra le foto dell’epoca (mi riferisco alle foto degli anni ’50), specie in quelle di musicisti sconosciuti, militanti in altrettante western swing o country band sconosciute della California (e degli altri stati del sud degli USA), ci si imbatte in tentativi rozzi, creativi, allucinanti, di customizzazioni che interessano proprio il primo grande progetto di casa Fender. Ho così trovato telly con ponti Bigsby costruiti su misura o dove la spalla superiore era stata brutalmente recisa, per aumentare la possibilità di arrivare ai tasti alti, anche dal lato delle corde basse. Telecaster alle quali era stato aggiunto un pick up Bigsby nella posizione del manico, oppure altre con un secondo pick up da ponte (quindi inclinato) nella posizione manico (soluzione, tra l’altro, presa in prestito dal Custom Shop, per una creazione molto originale e creativa). Una il cui body è stato radicalmente ridotto alle dimensioni del corpo di una lapsteel, forse per alleggerirla. Per culminare, infine, con uno strumento che ha segnato la storia, ossia quello di Mike Bloomfield, usato nel mitico concerto al Newport Folk Festival, insieme a Bob Dylan, il concerto che ha segnato la svolta elettrica del recente premio Nobel. Ecco, quella Telecaster doveva essere messa sotto protezione, per due motivi: il primo perché riferito all’evento sopracitato, il secondo, se possibile ancora più importante, perché era lo strumento di un musicista semplicemente divino, sensibile come pochi, dotato come pochissimi. Eppure quello strumento oggi, per andare incontro al suo penultimo proprietario, mancino con poca voglia di cercare uno strumento dedicato a lui, ha subito una cannibalizzazione a dir poco devastante. Oggi, ovviamente, tendiamo a rimanere senza fiato davanti a tali impacciate customizzazioni. Ma, all’epoca, chi l’avrebbe mai detto che uno strumento spartano come questo, sarebbe diventato oggetto quasi di culto? In ambito automobilistico è successo quasi lo stesso. L’esempio più lampante è la famosa Ford T, la prima macchina su grande scala del colosso americano dell’industria automobilistica. Oggi una Ford T, in condizioni originali, esercita un fascino meraviglioso su coloro che la guardano pensando al periodo (gli anni ’30) in cui usciva dalla linea di assemblaggio. Eppure, specie nella seconda metà degli anni ’50, gli squattrinati ragazzi americani, specie californiani (ecco che si ripropone la zona di riferimento), usavano comprarle per pochi spiccioli, o requisirle alle nonne, per accorciarne i telai, montare motori più performanti, abbassarne l’assetto, montare ruote più grosse, spogliarle delle inutili dotazioni e andare a fare gare di accelerazione su percorsi sterrati. Nascevano gli Hot Rod, e la hot-rodizzazione diventava una moda rintracciabile in qualsiasi sobborgo americano. 

​Telecaster Hot-Rodizzate

Cosa vuol dire hot-roddizzare? Per somme linee non è nient’altro che rendere più performante qualcosa di semplice e standard. Anche le nostre amate chitarre, quindi, non sono rimaste immuni dal processo. E quelle che vi presento in questo articolo sono tre variazioni sul tema Telecaster che mi hanno intrigato. 

Partiamo dalla più semplice, ossia una simil replica di uno strumento degli anni ’50 ad opera di Paolo Pellegrino, per Custom Relics Guitars; liutaio reggino, di base a Catanzaro, amante delle finiture relic. Ha mischiato in questo strumento caratteristiche delle chitarre anni ’50 con specifiche degli strumenti degli anni ’60. Corpo in frassino, non proprio leggerissimo, manico gigante in acero, ultra stabile e solido. Elettronica di chiara ispirazione anni ’60, quindi pick up molto brillanti (fatti da lui) con poli svasati e manopole più alte e grosse di quelle dei fifties, per avere un grip migliore. 

La piastrina dei controlli, come probabilmente avrete notato, è invertita rispetto alle tradizionali. È un artificio che io adoro, mutuato dal king of dieselbilly che risponde al nome di Bill Kirchen. Fu lui che, negli anni 70, fece per primo questa modifica alla sua tele del ’59, per avere il volume e il tono più a portata di mano durante gli swell. Ho notato che adesso anche Fender su alcuni strumenti adotta la stessa tecnica, senza però, sigh, aver mai detto grazie al settantenne chitarrista americano (intervistato da me per Accordo qui). 

​Telecaster Hot-Rodizzate

E adesso è giusto che mi soffermi sul particolare più controverso della chitarra, ossia il sistema di ancoraggio manico-corpo. Prima è giusto che faccia una premessa. Ogni anni prendo circa una 50ina di voli, compagnie low cost al 99%. Compagnie che, per pura scelta commerciale, pare proprio che ce l’abbiano a morte con noi chitarristi, chiedendoci cifre assurde per portare lo strumento in cabina. La soluzione è una sola: smontare il manico dal corpo, votandosi a tutti i santi nella speranza che le viti, una volta rimontata la chitarra, facciano presa e la filettatura non sia andata a farsi benedire. Paolo ha pensato bene di rivestire le sedi dei buchi con delle bussole in acciaio, incollate al legno, con delle ottime viti passanti. Così che io possa montare e smontare la chitarra tutte le volte che voglio, senza paura di rimetterci la filettatura. Quindi metterla per intero in un trolley, semplicemente smontando le corde, smontando il manico e infilandolo dentro una calza di lana, per non farlo graffiare. E risparmiare un bel po’ di soldi e salute. Anche qui potremmo aprire una serie infinita di discussioni se il suono si propaga in maniera corretta e bla bla bla….ma tanto sono certo che nessuno si accorgerebbe della differenza tra uno strumento dove le viti poggiano dentro il legno o in un cilindretto di acciaio filettato. 

​Telecaster Hot-Rodizzate

La seconda chitarra viene da Savona, direttamente dal laboratorio di Dino’s Guitars. La chitarra è stata chiamata dal suo creatore Brontocaster, ed effettivamente mai nome fu più azzeccato: il suono che ne viene fuori è gigantesco, come l’animale dal quale ha preso il nome di battesimo. Costruttivamente è molto ben fatta, con un body in abete (scelta stranissima, e sicuramente non economica, ma il risultato giustifica la scelta) e un manico in acero fiammato, con un profilo molto particolare, asimmetrico: dal lato del pollice è più cicciotto, mentre dall’altro lato si snellisce lievemente, risultato? Comodissima per accordi e frasi veloci sui cantini! Una scelta geniale la definirei. A questo aggiungete una tastiera in palissandro di estrema qualità, abbondante e generosa. La caratteristica che balza subito all’occhio è la scelta dei pick up. Sono due Lollar (artigiano che adoro per la cura e il rispetto dei suoni originali), e precisamente un P90 al manico (nella bellissima scatoletta color crema) e un Chicago al ponte, dalla forma un poco strana, perché è un pick up che Jason Lollar ha costruito per le lapsteel di inizio anni ’40, abbondante e squillante (erano concepiti per strumenti che dovevano emergere in un contesto orchestrale). Perché questa scelta? Semplice! E’ l’unico pick up che ben si accoppia al p90 al manico, che, come ogni p90 che si rispetti, ha un’uscita devastante e un suono molto preponderante. Mettere un classico pick da tele, per quanto performante, sarebbe stato un suicidio nella posizione centrale e non avrebbe avuto quell’effetto dirompente di quando si passa da uno al manico a quello al ponte. La chitarra, così equipaggiata, è incredibilmente versatile. Il p90 al manico è swing, jazz, blues caloroso e datato, al ponte è twang e scoppiettante, insieme è equilibrata e morbidissima. Ponte fisso a sei sellette, bellissima verniciatura rossa alla nitro ed elettronica con i controlli ispirati alla Stratocaster, finiscono il progetto genialoide di Dino’s Guitars. 



La terza, ed ultima, telecaster di ispirazione Hot-Rod, è quella più controversa. La Ibanita di proprietà del nostro Denis. Con un body in frassino, un manico in acero sottile di una Ibanez, due pick up presi in prestito da una Gretsch Electromatic, un Bigsby economico, una verniciatura shock, cangiante dal blu al viola, con pagliuzze di madreperla. La chitarra si fa indubbiamente guardare, fa storcere il naso a chi idolatra lo strumento Fender, per via di quella paletta aggressiva con sopra scritto Ibanez. Eppure, in un attimo, mi ha riportato alla mia adolescenza, quando (sarà stato il 1990? Chi si ricorda….) andai fuori di testa per il disco di Richie Kotzen, dove, in copertina (ho il vinile!!!) sfoggiava una Telecaster marchiata Ibanez. Il disco lo adoravo, il suo playing pure, non c’erano tonnellate di distorsione, ma non mancavano dosi abbondanti di shred. Ecco che di colpo mi innamoro di questa Ibanita, e le permetto di aver quasi offeso il progetto di Leo Fender. Il suono poi è una bomba. È una delle chitarre più rockabilly oriented che abbia mai suonato. Sembra una vecchia Gretsch Duo-Jet. Ma tiene l’accordatura e, addosso, mi ricorda lo strumento che, di base, adoro di più. Alla fine della giornata penso che un vero telecasterista, insieme allo strumento perfettamente coerente col progetto originale, debba, per forza, possedere una variazione sul tema. Fatta in casa o commissionata ad un bravo liutaio, poco importa. Quello che deve emergere è il carattere di customizzazione in linea con un percorso musicale parallelo a cui siamo abituati. Bene, buona ricerca di corpi, manici, pick up, elettroniche, latte di vernice. Tanto lo so che ci state già pensando…
chitarre elettriche telecaster
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