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Amplificatori figli degli anni '80 da conoscere
Amplificatori figli degli anni '80 da conoscere
di [user #16055] - pubblicato il

Dai tweed degli anni '50 alla rivoluzione digitale del nuovo millennio, ogni epoca musicale è associata a un preciso stile di amplificazione. Brutto anatroccolo del mercato chitarristico, gli anni '80 hanno visto invece il declino di alcuni grossi marchi, ma anche il passaggio di vere perle di tecnologia.
Gli anni ottanta dello scorso secolo hanno visto sicuramente il massimo sviluppo - di idee e novità in campo elettronico e musicale - attraverso la nascita di nuovi produttori specializzati in amplificatori, effetti, chitarre, anche per una perdita di qualità di alcuni grossi nomi iniziata già negli anni settanta. Alcuni di questi marchi o prodotti hanno avuto vita breve, vuoi per una tiepida accoglienza del mercato che ha fatto rinunciare produttori o distributori ad altri investimenti, vuoi per la qualità timbrica e funzionale non adatta a certi generi musicali allora in voga. Non essendoci grossi problemi di concorrenza sleale e manodopera a basso costo, generalmente l’assemblaggio era su standard elevati, come pure i materiali e la componentistica usati: ritrovando uno di questi prodotti ora, potremmo avere anche piacevoli sorprese riguardo al suono emesso.

Tralasciando i marchi più conosciuti e ancora molto apprezzati ai nostri giorni, focalizziamo l’attenzione su certi prodotti e aziende che forse avrebbero meritato maggior fortuna, sulle novità di quel periodo e forniamo una panoramica della produzione italiana di quegli anni.

In questo periodo avviene la nascita del MIDI, con lo sviluppo dei pickup esafonici montati su alcuni modelli come le Casio della serie Masterguitar, che erano vendute a oltre un milione e mezzo delle vecchie lire. Oltre a essere utilizzate come normali chitarre, si potevano collegare a un expander per utilizzarne l’emulazioni dei suoni, completamente diversi da quelli di una chitarra tradizionale. Il poco successo ottenuto, colpa dell’alta latenza del sistema e quindi del ritardo della nota, era dovuto allo scarso sviluppo della tecnologia di gestione, non ancora adeguata all’idea. Anche altre famose case giapponesi avevano varie proposte in questo settore, con amplificatori dedicati che potrebbero essere interessanti da riscoprire.

Amplificatori figli degli anni '80 da conoscere

Una delle maggiori novità nell’amplificazione della chitarra elettrica arrivava da Seymour Duncan - conosciuta soprattutto per i suoi pickup - con un modello chiamato Convertible, un combo valvolare con speaker Celestion o Electro Voice da dodici pollici, preamplificatore a cinque moduli intercambiabili, sia a tubi sia a stato solido per prestazioni diverse, potenza d’uscita variabile tra cinque e cento watt, selettore per le valvole finali pentodo/triodo, due canali con equalizzazione separata e molte raffinatezze che lo ponevano al top in quegli anni quanto a prezzo e innovazione.
Alcune idee sono diventate quasi uno standard solo negli ultimi anni. Trovando uno di questi rari combo, è possibile acquistare un esemplare sicuramente proiettato a un futuro ancora lontano. Dato l’alto costo del nuovo, a suo tempo, si possono trovare sui vari mercatini a prezzi molto oscillanti, anche tra 4cento e mille euro, dovuti in parte anche al costo dei vari moduli del preamplificatore.

Durante questi anni, si cominciava anche ad avere la possibilità di memorie richiamabili da pedaliera o da pannello, come nei combo valvolari della serie DigitalAmps proposti da Engl e presi in prestito dai pre-rack digitali che anticipavano di molti anni l’avvento degli ampli a modelli fisici.

Un’azienda giapponese, Newport, proponeva invece dei cloni dagli occhi a mandorla, cioè combo simili alla serie Mark di casa Mesa Boogie, già affermata, proponendoli a meno di un milione e mezzo di lire. Tali amplificatori, ben costruiti, molto somiglianti a livello estetico e nei controlli, oltre a possedere un equalizzatore grafico con le stesse bande di frequenza, avevano anche dimensioni e peso quasi simili. Il modello chiamato NGA 10 TBE, era dotato di 100 watt erogati da quattro valvole, un cono da dodici pollici prodotto per questo modello, oppure un Electro Voice come nei Mesa Boogie. La versione più piccola NGA 6 TBE, solo sessanta watt e due valvole finali. Con un suono pulito e potente, ma volendo anche aggressivo sebbene meno pieno di un Mesa, adatto soprattutto al rock, era offerto per un prezzo ritenuto buono se paragonato al suo riferimento, e nella versione con cono Electro Voice rimaneva ben al di sotto dei due milioni di lire. Un Mesa Mark II era invece venduto circa al doppio di questo prezzo. Trovandone un esemplare in buone condizioni, si potrebbe godere dei suoni valvolari, non proprio simili a un Mesa Boogie, ma sicuramente interessanti, a una cifra molto conveniente. Ancora oggi, altri occhi a mandorla propongono cloni di amplificatori della stessa serie della casa americana.

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Anche il marchio Acoustic, conosciuto soprattutto per i suoi amplificatori per basso, proponeva anche un paio di modelli di media e bassa potenza a transistor, con costi inferiori al milione di lire, e un valvolare di potenza più elevata che faceva anch’esso un po' il verso alla serie Mark, con equalizzatore grafico, cono Electro Voice e potenza simile a un prezzo non lontano dai 3milioni di lire.

L’americana Ross, conosciuta per la sua gamma di effetti, mixer e casse, presentò anche amplificatori per chitarra da quaranta e ottanta watt che, con un prezzo di 850mila lire per il modello maggiore, lo ponevano tra uno dei più costosi solid-state. Di dimensioni contenute, sviluppato in altezza e dal peso abbondante, aveva costretto a dotarlo di pochi controlli, un solo canale e riverbero. Poco adatto sui puliti perché molto scarso di bassi, era però molto valido in distorsione, non facendo rimpiangere un valvolare e particolarmente adatto a timbriche per heavy-metal. La versione per basso, da cento watt, di peso e dimensioni maggiori, lo poneva sopra al milione di lire ma lo corredava anche di un buon equalizzatore grafico a sette bande adatto a qualsiasi genere musicale e in modo particolare agli amanti del funky.

Anche i prodotti artigianali in questi anni ormai lontani hanno detto la loro. Da citare, per esempio, un marchio che ha fatto delle cose interessanti: l’inglese Session con il suo modello Sessionette 75, dal suono estremamente convincente. Se si trovasse, è possibile acquistarlo anche a cifre molto appetitose, e da molti è considerato uno dei migliori amplificatori a stato solido mai prodotti.

Amplificatori figli degli anni '80 da conoscere

Si possono citare anche gli amplificatori della Lab Series, nati dalla collaborazione tra Gibson e Moog, appartenenti però alla seconda parte degli anni settanta. Molto validi, specie per gli amanti del fusion e del blues, con potenze da sessanta a duecento watt e coni da dieci a quindici pollici erano presenti in molti studi di registrazione. Tra i vari effetti di cui erano dotati, oltre al riverbero è da segnalare anche un buon compressore. Una prova approfondita, nel caso se ne trovasse uno, varrebbe sicuramente la pena.

In Italia, nello stesso periodo, esistevano diverse aziende anche con un glorioso passato che proponevano amplificatori non specifici per alcuni generi, come capitava spesso con prodotti stranieri, quindi dal suono impersonale perché con una risposta troppo lineare, ma capaci comunque di svolgere il loro lavoro onestamente.
Una di queste proposte furono gli amplificatori M3 Emthree con i combo Oscar, monocanale da ottanta watt, il Jazz Amp, monocanale da venticinque watt, il Gunner, valutabile oggi fra 150-200 euro, con controlli sul retro e la gamma Solo Bass con controlli slider.

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Eko invece proponeva un combo molto bello in legno chiaro, con un grande pannello comandi e sviluppato in altezza, un grande cono e due tweeter per amplificare sia elettriche sia acustiche, chiamato SC800, da ottanta watt.
Un’altra serie molto apprezzata fu la SK, per basso e chitarra. Con potenze da quindici a ottanta watt, risultava molto valida a un uso professionale, con dimensioni ridotte e peso importante, buone le capacità timbriche e prezzo contenuto a circa 650 mila lire per la versione più potente. Molto attraenti i colori usati, con griglie e angolari gialli su una struttura nera.

Davoli, affermato costruttore d’amplificatori già dagli anni sessanta, tentava in qualche modo di ritornare ai fasti di un tempo con la sua serie Virus per basso e chitarra, con potenze da 25 a 75 watt. Piuttosto conosciuti, si presentavano con altoparlanti in vista, protetti da una rete e con i controlli sul retro. Il modello maggiore, dedicato alla chitarra, costava meno di 500mila lire, con due coni da otto pollici, peso e dimensioni molto contenute che ne pregiudicavano la timbrica, destinato quindi a chi voleva spendere poco, per un uso amatoriale.

La linea d'amplificatori per chitarra e basso Montarbo, con potenze comprese fra quaranta e cento watt, avevano una sezione di potenza a MosFet, ancora poco utilizzata. In particolare il modello Solo, di dimensioni e peso contenuti, aveva una timbrica calda e piena, anche in distorsione, che ricordava molto i vecchi Marshall e un prezzo contenuto.

FBT, un altro marchio sempre molto attivo e con una produzione molto ampia, aveva modelli per chitarra e basso caratterizzata da notevole potenza di 125 o 200 watt, con dimensioni considerevoli, parecchi controlli, equalizzatore grafico e preamplificatore valvolare per chitarra. Nella gamma a stato solido invece si andava dal piccolo otto watt fino al grande da cento watt.

Anche Tekson produceva ampli per basso e chitarra con potenze comprese fra cento e duecento watt più equalizzatore grafico. I modelli più conosciuti erano però quelli della serie Mosquito, con potenze di trenta e cinquanta watt e dimensioni e peso contenuti. Il modello Mosquito Guitar con un prezzo di circa 4cento mila lire si poneva in diretta concorrenza con i nuovi ed economici prodotti giapponesi.

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Il marchio che però aveva destato più interesse era la toscana DBS, che si era fatta conoscere per alcune realizzazioni per chitarra e basso molto interessanti. Caratterizzati da un’estrema pulizia del design, molto moderno, con tolex di colore marrone e pannello nero, questi amplificatori a stato solido avevano una buona potenza, due canali, filtri attivi ed equalizzatore parametrico per le medie, riverbero e un peso importante che denunciava la costruzione molto accurata, a un prezzo inferiore alle 800mila lire e una potenza di ottanta watt. È tra le migliori proposte a prezzo contenuto sul nostro mercato, anche nel modello maggiore, per basso, con potenza di 150 watt.

Da alcuni cataloghi di metà anni ottanta troviamo questi marchi d’amplificatori, rigorosamente in ordine alfabetico e suddivisi per nazionalità, distribuiti regolarmente in Italia.
Germania: AA Craaft System, Acoustic-AA Craaft, Dynacord, Engl, Zeck
Giappone: Aria, Doobie, Ibanez, Roland, Yamaha
Gran Bretagna: Carlsbro, H.H. Electronic, Laney, Marshall, Mc Coy, Session-Musicmex, Trace Elliot, Vox
Italia: Cibes, Dbs, Eko, Fbt, Lombardi, Montarbo, Shonner, Sisme, Steelphon, Tekson, Trep
USA: Fender, Gallien Krueger, Mesa Boogie, Peavey, Polytone.
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