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La diversificazione degli effetti a pedale negli anni ottanta
La diversificazione degli effetti a pedale negli anni ottanta
di [user #16055] - pubblicato il

Il desiderio di innovare e l'arrivo delle nuove tecnologie digitali ha stravolto il mercato degli effetti negli anni '80. Pedaliere modulari e stompbox con pulsanti e display al posto delle manopole sono oggi difficili da immaginare, ma hanno avuto un discreto momento di gloria.
Con il progresso della tecnica chitarristica e bassistica alla ricerca sempre di nuove sonorità, gli anni ottanta videro la nascita di molte aziende produttrici di effetti a pedale per chitarra e basso elettrico che cominciarono a diversificare maggiormente la produzione in un settore dominato soprattutto da aziende giapponesi e americane.
Una delle novità sono state le pedaliere multieffetto con tre o quattro pedali scelti dal costruttore e alimentazione tramite rete elettrica, prodotte da aziende famose come Ibanez o la meno conosciuta francese Adm con il marchio Europa.

La diversificazione degli effetti a pedale negli anni ottanta

Un’evoluzione di queste sono le pedaliere componibili con effetti dello stesso marchio scelti e abbinati dal musicista per permetterne la massima flessibilità. Generalmente lo spazio a disposizione andava dai quattro ai sei pedali, e su alcuni modelli era possibile la programmazione di varie combinazioni - in genere fino a otto - da richiamare con gli appositi interruttori della pedaliera. Uno di questi produttori era la giapponese Moridaira MI con la serie Next e il suo contenitore multieffetto proposto a circa mezzo milione di lire.
Rozz, anch'essa giapponese e da non confondersi con l'americana Ross, proponeva un sistema modulare per cinque pedali dotato di alimentazione comune, bypass generale e noise gate incorporato. Proposto al prezzo di 400mila lire, poteva ospitare pedali dello stesso marchio che andavano dalle oltre 100mila lire del Phaser alle 280mila lire del delay analogico.
Questa evoluzione portò, sul finire del decennio, a pedali di dimensioni standard, sostituendo le classiche manopole con dei tasti e un display, proposti dal colosso Ibanez. Nonostante la possibilità di programmazione come nei modelli rack, non ci fu un grosso seguito nell'immediato.

La diversificazione degli effetti a pedale negli anni ottanta

Sempre più spesso, possiamo trovare questi pedali dotati d’uscite stereofoniche. Per differenziarli maggiormente dagli altri e nei modelli più complessi si giunse a dotarli di contenitori più grandi del solito, che potevano ospitare un numero maggiore di controlli.
Un marchio probabilmente poco conosciuto era Amdek, con alcuni prodotti piuttosto economici, che andavano dalle 50mila lire del distorsore alle oltre 300mila lire del delay, con dimensioni doppie rispetto al primo e che in realtà venivano prodotti dalla giapponese Roland.
Un altro marchio con una linea di pedali molto nutrita e con ampie regolazioni fu Pearl. Azienda nipponica conosciuta soprattutto per le sue batterie acustiche, proponeva una linea di pedali con look moderno e di dimensioni simili ai modelli Boss, dalle buone prestazioni e prezzo adeguato.

La diversificazione degli effetti a pedale negli anni ottanta

Una proposta che non ha avuto molto seguito è stata quella JMX con il loop selector ELS-408, in pratica una centralina da applicare alla chitarra per comandare manualmente fino a quattro pedali, probabilmente troppo scomoda e ingombrante sullo strumento, nonché condizionata dal pur lungo cavo di connessione.

La diversificazione degli effetti a pedale negli anni ottanta

Uno dei marchi più interessanti è stato Scholz Resarch, che inventò l’equivalente del Walkman Sony per chitarristi e bassisti chiamandolo Rockman, per suonare in casa con la cuffia senza disturbare nessuno. In un unico e compatto contenitore erano stati inseriti un chorus, un echo e un distorsore, oppure un compressore ed equalizzatore, già regolati in fabbrica per un utilizzo standard. Alimentato con otto batterie, poteva avere innumerevoli utilizzi come suonare e ascoltare in due, collegarlo a un altro Rockman, a una tastiera o a una base registrata.
Da questo modello nacquero tutti i fratelli maggiori, in formato mezzo rack, che diventarono uno standard del mercato riuscendo a raccogliere molti consensi. Il Rockman suscitò notevole interesse, visto che vi furono anche tentativi d’imitazione come quelli della giapponese Nanyo, che a circa 350mila lire proponeva una propria versione per chitarra.

L’elettronica ha spinto la ricerca e l’innovazione verso l’utilizzo sempre più massiccio del MIDI, dei sistemi rack e del digitale, che offrono maggiore qualità e professionalità nei prodotti potendo inserire in un unico apparecchio svariati effetti con decine e decine di memorie per poter richiamare all’istante un suono precedentemente programmato dal musicista o settato già dal costruttore.
Data l’amplia gamma di regolazioni presenti e la risposta in frequenza molto estesa, queste unità possono essere utilizzate non solo con chitarre e basso, come avviene con i comuni pedali, ma anche con acustiche, tastiere, voce e tutti quegli strumenti che possiedono un trasduttore microfonico o hanno un’uscita elettronica del segnale.
Questi sistemi rack hanno coinvolto anche preamplificatori e finali di potenza, suddividendoli in due unità distinte, per maggiore flessibilità di composizione e utilizzo. Anche nei preamplificatori possiamo disporre di decine e decine di canali programmabili, richiamabili da pedaliera.
L’alto costo di queste apparecchiature negli anni ottanta, spesso intorno ai due milioni di lire, era giustificato sia dalla ricerca sia dalla novità, ed era direttamente proporzionale alla quantità di memoria immessa - che costava ancora molto cara ma con cui si poteva ottenere tempi di ritardo più lunghi - e alla presenza o meno di un semplice display a LED o un più sofisticato a cristalli liquidi.
Il passaggio da controlli di tipo rotativo a una serie di tasti multifunzione ha anche permesso di svincolarsi dalla monofunzione di un potenziometro o di un interruttore per avvicinarci a quella poliedricità tipica di tanti apparecchi moderni. In questo caso, l’utilizzo della tecnologia nei display a matrice di pixel è stata fondamentale al raggiungimento dello scopo.

La diversificazione degli effetti a pedale negli anni ottanta

Uno degli effetti sviluppato dopo tanti altri a causa di difficoltà per la sua realizzazione è stato il riverbero, già utilizzato negli amplificatori per chitarra con l’uso di una linea di ritardo a molle. Un modello Fostex chiamato 3180 e dotato di pochi controlli con uscite stereo, per esempio, usava proprio questa tecnologia. Risolto il problema tecnico con l’utilizzo del digitale, si riuscì a ottenere una durata totale dell’effetto anche di cento secondi e un ritardo massimo di quattro secondi per un delay di tipo commerciale, ma alcune realizzazioni di notevoli dimensioni per uso professionale potevano gestire anche loop, delay e riverberi fino a cinque minuti.

Da alcuni cataloghi di metà anni ottanta, troviamo questi marchi di effetti a pedale, rigorosamente in ordine alfabetico e suddivisi per nazionalità, distribuiti regolarmente in Italia:
Danimarca: TC Electronic
Francia: Europa-Adm
Giappone: Amdek-Roland, Aria, Arion, Boss-Roland, Coron, Ibanez, Korg-Keio, Next-Moridaira, Pearl, Sanox-SS Sound, Solec-Nanyo, Tokai, Vesta Fire
Gran Bretagna: Carlsbro
Italia: Eko
Usa: Morley, Mxr, Rockman-Scholz, Ross-Imc, Washburn.
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