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Stupende chitarre, meravigliose rovine: l'approccio migliore al restauro
Stupende chitarre, meravigliose rovine: l'approccio migliore al restauro
di [user #36147] - pubblicato il

Esistono diverse scuole di pensiero sul restauro degli strumenti musicali d'epoca. C'è chi teme di minarne l'originalità e opta per interventi mirati, chi pretende di aggiornare vecchie chitarre a standard moderni e chi persino ne apprezza il naturale decadimento finché non saranno più utilizzabili. Tu da che parte stai?
Quando ho cominciato ad appassionarmi agli strumenti d’epoca ho dovuto, come tutti, fare i conti con quello che rappresenta il decadimento naturale delle parti che li compongono, che si può rivelare in componenti metalliche ossidate, cablaggi interrotti, problemi di ronzii, funzionamento degli ingranaggi e chi ne più ne ha più ne metta.
Senza risolvere ognuno di questi molteplici issue che negli anni si possono manifestare, la nostra chitarra (o basso che sia) non potrà mai rendere al 100% del proprio potenziale, con il risultato di deludere, a volte in maniera clamorosa, le nostre aspettative.

Stupende chitarre, meravigliose rovine: l'approccio migliore al restauro

Devo dire che i miei studi di Architettura mi hanno dato, senza poterlo prevedere, un aiuto enorme per approcciarmi senza timori al restauro di questi strumenti, infatti le correnti di pensiero che stanno dietro al restauro degli edifici e dei monumenti sono vere e proprie scuole concettuali che spaziano da estremi opposti, permettendo a chi le studia di scegliere criticamente quale strada percorrere in ogni contesto.

Esiste una scuola storica di restauratori che riteneva gli edifici "meravigliose rovine" e, come tali, considerava delittuoso un qualunque tipo di intervento che ne minasse l’originalità, considerando il loro naturale decadimento come se fosse una dimostrazione di estrema e sublime bellezza. Questa scuola rispetta il tempo e il rovinarsi degli oggetti, tanto da ritenere che la migliore cosa per restaurarli sia il non far nulla per poterli recuperare o utilizzare ancora, quando questi arrivino alla loro fine vita, se non ammirarli per quello che sono e che raccontano.

Un’altra scuola opposta riteneva invece che gli edifici, nati per soddisfare esigenze della comunità, dovessero essere mantenuti e aggiornati nel tempo per poterle soddisfare sempre, anche a dispetto del mantenimento delle condizioni passate, con restauri decisamente futuristici, e spesso discutibili.

Un’altra scuola ancora, nata dallo studioso francese Viollet-le-duc, riteneva invece lecito ricostruire ex novo architetture ed edifici passati (anche mai esistiti in un certo luogo), basandosi sulle conoscenze di un certo stile o manufatto. In altre parole, questa scuola riteneva lecito il "falso storico" o la modifica "che ai tempi avrebbero potuto fare", a patto che queste opere venissero eseguite in totale rispetto di tecniche e tipologie del periodo storico preso in esame.

La scuola italiana invece prevedeva (e tuttora prevede) il mantenimento dei caratteri originali dell’edificio da restaurare, e, nel caso di un inevitabile intervento di restauro, che questo venga effettuato in maniera tale da consentire all’esperto di identificarlo in futuro.

Stupende chitarre, meravigliose rovine: l'approccio migliore al restauro

Bene, chi di voi non ha trovato analogie con quello che è accaduto nel mercato della chitarra elettrica negli ultimi vent'anni ?
Le "meravigliose rovine" potrebbero essere quelle chitarre ormai demolite dall’uso, consunte, che però adoriamo tutt’oggi. Ne cito tre a caso: Blackie, Number One e la Stratocaster di Rory Gallagher.

Le chitarre restaurate "alla foggia moderna" degli anni '80 le vediamo ancora oggi. Stratocaster o Les Paul con Floyd Rose, humbucker, esperimenti vari di customizzazione al grido "via questa robaccia, il cablaggio te lo sistemo io con fili buoni".

I "falsi storici", cloni dichiarati o meno che imperversano ormai nel mondo del vintage e del "vintage correct", ma anche quello delle produzioni factory. Il relic non ci dice niente?
Oggi si è creato il paradosso di possessori di chitarre nuove ma già "rovinate" di fabbrica che costano di più dato il lavoro certosino necessario per ingannare i sensi (soprattutto la vista), che le conservano gelosamente per "non rovinare la rovinatura di fabbrica", e di possessori di chitarre vecchie che fanno di tutto per mantenere l’integrità dei loro vecchi strumenti. A pensarci bene sia una categoria sia l’altra tende a conservare bene il proprio strumento, e questa è una cosa buona, ma sembra quasi che sulla tua chitarra relic di fabbrica i tuoi segni (chi non ha pianto o invocato qualche divinità per la prima botta, il primo graffio, dati alla propria chitarra?) non trovino spazio, proprio in ottica di preservare il lavoro di John Cruz o Murphy.

Stupende chitarre, meravigliose rovine: l'approccio migliore al restauro

L’approccio al restauro e le tecniche che i restauratori hanno sviluppato per poter intervenire sui manufatti storici hanno di fatto generato dei nuovi filoni commerciali, come detto poco sopra. Come condensare quindi, in pillole, un positivo approccio al restauro allo strumento vintage?

Spesso ho visto strumenti eccezionali essere settati talmente male da suonare male, visto che mediamente il tempo dedicato a un setup dagli addetti ai lavori è quello che rimane tra il togliere le corde vecchie e accordare quelle nuove.
Una curiosità, che magari è capitata a moltissimi senza saperlo e che può rendere l’idea di quanto lo strumento vecchio richieda anche tempi di intervento (e pazienza) differenti da quelli nuovi: i selettori Fender anni '50, anche a causa della loro stessa costruzione, sono estremamente proni a ossidarsi nei contatti che devono portare il segnale dei pickup al nostro orecchio, e spesso succede di avvertire un calo di segnale in uno o tutti i pickup della vecchia e amata Fender, o addirittura una totale assenza di segnale. Roba da non dormirci la notte, che ci fa controllare come dei pazzi a catena potenziometri, cablaggi, saldature, magneti e filo per poi scoprire che è tutto ok, è il selettore che va pulito e disossidato et voilà, la chitarra torna a suonare.

Stupende chitarre, meravigliose rovine: l'approccio migliore al restauro

Il consiglio fondamentale che mi sento di dare è di non dare mai nulla per scontato quando incontriamo un vecchio strumento che lamenta un problema apparentemente insolvibile: spesso infatti si può risolvere con apparente semplicità. La cosa fondamentale è diagnosticare in maniera chiara quale possa essere il problema e quindi la relativa causa scatenante (o l’insieme di fattori). Non è davvero diverso da una diagnosi medica.
Sconsiglio invece fortemente l’approccio a tentoni, del tipo "smonto il pot, smonto il cap, smonto il pickup". Spesso si perde solo tempo e si fanno i danni veri.

In conclusione, penso che il miglior approccio possibile al restauro degli strumenti d’epoca sia "less is more", per citare Mies van der Rohe, "meno è più", che potremmo riassumere in tre fondamentali step:
- riscontrare il problema
- ragionare su tutte le possibili cause, affidandosi al proprio liutaio di fiducia per consulenza tecnica esperta
- intervenire nella maniera meno invasiva possibile e solo quando è stato definito chiaramente come procedere.
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