di redazione [user #116] - pubblicato il 30 luglio 2017 ore 08:30
Kenny Wayne Shepherd resta tra i più efficace interpreti attuali della chitarra blues. Perché se Bonamassa è capace di contaminare e proiettare questo linguaggio con impennate tecniche e stilistiche più variegate e moderne, Shepherd sembra, invece, unicamente motivato a celebrare quel suono e quella tradizione che devono tutto a Stevie Ray Vaughan.
Qualche riflessione sulla recente data italiana.
Grande concerto quello di Kenny Wayne Shepherd, in splendida forma al Carroponte di Milano.
Galvanizzato dalla presenza di una sezione ritmica di lusso, trainata dalla batteria di Christopher Layton (già con Stevie Ray Vaughan) Shepherd porta sul palco uno show che è una festa, un tripudio della chitarra blues e si concede, senza riserve, infiammando il manico delle sue Stratocaster bianca e nera. Shepherd suona con energia e vigore ed è irruento e potente senza mai essere sbracato o sopra le righe. KWS resta una dei più grandi interpreti della nuova chitarra blues, perchè se Bonamassa è capace di contaminare e proiettare il linguaggio blues con impennate tecniche e stilistiche più variegate e moderne, Shepherd sembra unicamente motivato a celebrare quel suono e quella tradizione che devono tutto a Stevie Ray Vaughan.
E in questa schiettezza e autenticità d’intenti, il concerto scorre godibile e perfettamente gestito nella cura dei suoni. Su tutto, la band colpisce per la capacità di gestire le dinamiche dimostrando, davvero, un grande affiatamento. Inoltre, la presenza di un bravo cantante come Noah Hunt scongiura l’effetto da concerto di un chitarrista per soli chitarristi e, nonostante la chitarra solista debordi, si ha sempre la sensazione di star seguendo uno show costruito prima sulle canzoni che sulle acrobazie alla sei corde. Venendo ai pezzi, ci sono piaciuti parecchio quelli del nuovo disco in uscita, Lay It On Down: “Baby Got Gone” è una vera botta rock ed è cantata, per altro, dallo stesso Kenny; “Nothing But The Night” diverte per l'accattivante arrangiamento costruito sul delay che movimenta ritmicamente il riff principale. Su “The Heat Of The Sun”, grazie forse al tappeto acustico su cui si appoggia, Kenny suona tra i migliori assolo delle serata. Il tributo a Hendrix è da brividi e la cover di “Voodoo Child” è un orgasmo chitarristico di quasi dodici minuti. Infine, una considerazione sul suono: quello che esce dalle mani e dagli ampli di Shepherd è un babà: potente, caldo, rotondo senza mai indulgere in distorsioni eccessive. Peccato solo per la voce delle sue chitarre signature che a tratti, forse, c’è parsa un po’ piccola e bidimensionale.