Se ancora oggi si parla di rockabilly, il merito di Brian Setzer è innegabile. Se la Gretsch G6120 è entrata nella lista dei desideri di chitarristi di mezzo mondo, il suo zampino di gattaccio swing è evidente.
Brian Setzer - frontman degli Stray Cats, responsabile del revival rock n roll a partire dagli anni ’80 e beniamino natalizio di mezza America con la sua orchestra - è uno tra gli artisti più attivi e prolifici nella rosa delle chitarre Gretsch.
Titolare di una collezione invidiabile di modelli d’epoca e , Brian ha il pallino delle chitarre simbolo della musica western elettrificata fin dalla più tenera età.
Da ragazzo esta folgorato quando vede una foto di Eddie Cochran con al collo una Gretsch G6120 e ne vuole subito una uguale. All’età di 17 anni riesce a trovare una G6120 usata per 100 dollari: la finitura è la stessa di quella imbracciata dal suo beniamino, l’acquisto è d’obbligo.
Il fortunato acquisto è un esemplare del 1959 e sarà la chitarra principale di Brian da allora in avanti. Inciderà note leggendarie con gli Stray Cats per gli anni a venire e rilancerà il movimento e il sound del rockabilly quando il mondo impazziva per il punk, il rock duro e i rullanti riverberati ben oltre il necessario. Gli anni ’80 sono un periodo d’oro per Brian e i suoi, che conquistano letteralmente il pubblico britannico, attirando poi i favori delle platee internazionali di lì a poco.
La chitara da lui scelta è una G6120 per lo più lasciata originale, salvo qualche piccola modifica. Ha due dadi del Monopoli installati al posto delle manopole: Brian spiega di averli forati con un trapano e incollati semplicemente perché non aveva le manopole originali da montare al loro posto. In giro per cassa e paletta, tre adesivi stile anni ’50 ritraenti un gatto nero, un jolly roger e una pin up.
L’unica vera modifica funzionale consiste nella sostituzione delle meccaniche di fabbrica con un set di Sperzel bloccanti: “quando ho cominciato a fare sul serio” spiega Setzer “mi sono reso conto che avrei dovuto suonare con una chitarra accordata”.
È il momento di maggior splendore per il trio. La chitarra sente presto il peso degli anni e dei palchi e la necessità di un rimpiazzo si avvicinerà: nel 1984, Steve Miller fa recapitare a casa di Brian per regalo una 6120. La chitarra diventerà lo strumento principale del virtuoso e tra i principali riferimenti per la sua attuale signature. Usata su diversi album e sui palchi di tutto il mondo, si è “ritirata a vita privata” quando Setzer, lanciandola in aria alla fine di un concerto come era solito fare, manca disgraziatamente la presa. Il manico si stacca di netto, ma l’artista riesce a farglielo riattaccare. T
Tuttavia, non la userà mai più in concerto.
I vecchi amori, però, non si dimenticano così: nel 2006 il masterbuilder Stephen Stern si mette al lavoro su una replica della G6120 del 1959, divenuta nel 2007 la Brian Setzer Tribute 1959 G6120, una serie limitata a 59 esemplari tutt’oggi particolarmente ricercata dagli appassionati. Il 17 ottobre 2014, Brian dona la sua personale copia al museo Smithsonian. Simbolo di un’epoca di transizione, tradizione contro sfrontata innovazione stilistica, troverà posto nel catalogo del museo insieme a una chitarra appartenuta a Chet Atkins e una offerta da Eddie Van Halen.
Attualmente, Brian Setzer vanta la più vasta collezione di signature presente nel catalogo Gretsch. All’appello rispondono la serie Nashville, la Hot Rod e la Black Phoenix.
Tutte sfoggiano una cassa interamente in acero laminato e una costruzione hollow body con trestle bracing in stile 1959. Tale struttura consistente in due assi longitudinali sotto la tavola armonica, paralleli al manico, che mettono in comunicazione top e fondo attraverso due listelli trasversali allo scopo di aumentare il sustain e ridurre il feedback allo stesso tempo.
Per tutte, il manico è in acero ed è sormontato da una tastiera in ebano con 22 tasti per 9,5 pollici di radius.
Il diapason corto di casa Gretsch, della lunghezza di 24,6 pollici, è applicato alla Nashville e alla Hot Rod. Maggiore aria nelle sezioni più acute e un timbro più brillante sono invece promessi dalla Black Phoenix con i suoi 25,5 pollici.
Su tutte, Brian Setzer ha voluto i suoi pickup TV Jones Signature, scelti dal chitarrista in un blind test organizzato dal costruttore. Immancabile è il Bigsby abbinato a un ponte Adjusto-Matic avvitato al top attraverso una base in palissandro.
Delle tre, la serie Nashville rappresenta il progetto più classico e fedele alla sua G6120. Il volume master è sulla spalla inferiore, mentre in basso trova posto un volume per ogni pickup. Le meccaniche sono ancora bloccanti, stavolta offerte da Schaller.
Nel video che segue, Brian racconta la sua esperienza con le Gretsch mentre strimpella una Hot Rod con top fiammato.
A proposito di Hot Rod, la gamma rappresenta una versione semplificata e ancora più aggressiva della sua signature. Vera sintesi dello stile di Setzer e degli Stray Cats, le chitarre garantiscono un timbro più incisivo e un output superiore grazie a un’elettronica semplificata, consistente nel solo potenziometro del volume master sulla spalla inferiore abbinato a un selettore per i pickup su quella superiore.
Per il modello, Brian ha voluto reinterpretare un classico della finitura bicolore di casa Gretsch. In questa versione, fasce e retro del manico spiccano su top e fondo mediante un tono di gran lunga più chiaro.
Ultima della collezione, la Black Phoenix rappresenta la risposta dell’irriverente guitar hero alla classica White Falcon.
Priva di controlli di tono come le Hot Rod e con gli stessi pickup signature, adotta una scala lunga e un set di meccaniche Grover Imperial.
Brian Setzer, da brava rockstar capace di superare indenne qualunque epoca e corrente stilistica, non ha mai dimostrato particolare fedeltà, almeno per ciò che riguarda le chitarre. Tra le sue mani si sono succeduti innumerevoli esemplari elettrici, sia archtop sia solid body, tutti rigorosamente con un preciso DNA. Tra 6120, 6119, White Falcon, modelli leopardati e varianti arricchite da finiture , un assaggio della sua sterminata collezione è |