Si narra che il NNS sia iniziato ad essere usatissimo nei primi anni ’50 nella capitale del Tennessee grazie all’uso smodato che un gruppo vocale, molto in voga a quel tempo, ne fece. Il gruppo erano i famosi “The Jordanaires”, un quartetto vocale impegnatissimo in decine di sessioni di registrazioni settimanali in quel di Nashville. Per farla breve loro erano le voci di background di Elvis, di Patsy Cline, di Jimmy Reeves, Ricky Nelson e molti altri. La loro grande abilità stava proprio nell’immediatezza con la quale interpretavano il brano, armonizzandolo, arricchendolo, facendo le veci di una sezione fiati o di un quartetto d’archi, con in più le “lyrics” del pezzo snocciolate sotto le raffinate armonie vocali. Questi quattro personaggi però entravano e uscivano dagli studi di una prolifera Nashville con una frequenza incredibile, per questo motivo il binomio tempo-denaro per loro era importantissimo e anche quei dieci minuti persi per ri-trascrivere un brano, solo perché il band leader aveva cambiato la tonalità, erano fondamentali. Iniziarono a sostituire i nomi degli accordi con i gradi all’interno della scala, accostando al numero (di solito scritto nella notazione dei numeri romani) del grado il colore o la natura dell’accordo. Detta così sembra veramente la scoperta dell’acqua calda, ma vi assicuro che la scelta fu veramente azzeccata, anche perché il sistema si è evoluto, a volte con scelte strettamente personali, ed è diventato un presupposto di conoscenza fondamentale qualora si volesse anche semplicemente salire su di un palco negli states per una informale jam session.
Mi è capitato più volte di essere invitato e di suonare un brano che non conoscessi ma, con un band leader abile, capace e anche scaltro, sono sempre caduto in piedi. Quello che sentivo dire erano frasi del genere “it’s a mid honky tonk, starts on four, A section on one, B section goes on five, in the key of Fonzie”. Tradotto: è uno shuffle country, velocità moderata, inizia sul Re, la strofa parte dal La, il ritornello parte dal Mi, la tonalità è La (the key of Fonzie? “A”, pronunciata in inglese). Nell’arco di un paio di secondi tutto sommato riesci a capire cosa andremo a suonare. Durante il brano, poi, il band leader, usando le dita della mano, anticipa i cambi degli accordi permettendoti di improvvisare o di accompagnare in maniera disinvolta. A volte il band leader da i numeri in maniera plateale, altre volte nasconde la mano dietro di se, o la avvicina alla tasca dei pantaloni, ma comunque ti farà arrivare il messaggio. Nel video qua sotto una esperienza capitata direttamente a me, in quel di Austin, sul palco insieme a Dale Watson. Sono stato invitato sul palco a suonare con la sua band, lui mi ha ceduto la chitarra e ha iniziato un brano che ancora dopo tre anni non so quale sia. Lui mi ha letteralmente condotto per tutto il pezzo usando la sua mano destra e alla fine del brano ho tirato un sospiro di sollievo: ok sono sopravvissuto!
Avendo suonato con lui altre volte dopo quella esperienza ho imparato tutta una serie di segnali diventati ormai di uso comune durante gli show negli States. Per esempio, prima dell’inizio del brano, la tonalità non viene detta esplicitamente ma esplicata con le dita. Un dito in su vuol dire “un’alterazione in chiave diesis”, quindi tonalità di Sol, due dita in su “due alterazioni in chiave diesis”, quindi tonalità di Re, etcetera. Un dito in giù è “un’alterazione in chiave in bemolle”, quindi tonalità di Fa, due dita in giù e saremo in Si bemolle e così via. Il diminuito che di solito segue il quarto grado un semitono avanti? Semplice, sopracciglio alzato, tenendo il numero quattro con la mano. Accordo minore? Niente di più scontato, faccia triste.
Ma cosa succede quando il band leader è impegnato a suonare la chitarra per esempio? Bill Kirchen, col quale sono stato in concerto qualche volta quest’anno, ha un modo tutto suo: muove il manico della chitarra come fosse la leva del cambio. Più difficile a dirlo che a seguirlo. Ma vi assicuro che noi italiani in questo siamo dei privilegiati (non tutti gli americani conoscono il cambio manuale) e ci rendiamo subito conto se il movimento del manico sta simulando l’entrata della quarta o della seconda.
Tornando agli aneddoti mi piace ricordare quello che un mio amico italiano, ma trasferitosi negli USA diversi anni fa, mi ha raccontato. Lui è un pianista molto bravo ma, appena arrivato ad Austin si è ritrovato sul palco sentendo indicazioni tipo “fast swing sixteen-fourtyfive, going to thirtysix-twentyfive”. “In quel momento è il panico”, mi ha raccontato, ma quasi subito ha capito che si trattata di un banale “giro di Do” che si evolveva in un Rhythm Changes. “Sixteen-fourtyfive” è uno-sei-quattro-cinque (se fossimo in Do sarebbe Do-La-Fa-Sol) e “thirtysix-twentyfive” è un tre-sei-due-cinque (quindi Mi-La-Re-Sol).
Ve l’avevo detto che era semplice, no?

La cosa che però mi stupisce di più è come tutti, ma proprio tutti, conoscano questo glossario. E per tutti intendo anche i cantanti, che hanno sempre un’infarinatura di base sull’armonia e sono quindi in grado di dirigere una band dando segnali chiari ai musicisti. E anche i batteristi che hanno un approccio diverso da tantissimi batteristi che ho conosciuto. Insomma il batterista non dice mai “che me ne frega a me? Io gli accordi non li faccio”, perché il batterista, in base alla struttura armonica personalizza il suo playing e il suo feel, d’altronde anche per lui un sospirato “stay on one” vorrà dire che la strofa si starà allungando e quindi il suo fill di chiusura dovrà aspettare un poco.
Ah, dimenticavo, ovviamente a tutto questo aggiungeteci tutta una serie di indicazioni che presuppongono un grande ascolto e una buona conoscenza della musica. Nel mio ambito musicale è diventato fondamentale sapere cosa vuol dire “ritmo a la George Jones” o “finale alla Louis Prima” e altro ancora, ma ci si arriva abbastanza velocemente. |