Da qualche giorno si discute accesamente dell’episodio di Cittadella, in cui un gruppo di agenti di Polizia ha reso esecutiva una sentenza del Tribunale dei Minori con modalità a dir poco insolite. Credo non sia necessario addentrarsi nei particolari di cronaca, sia perché i fatti sotto gli occhi di tutti grazie a un video finito in rete e al prevedibile tamtam dei media, sia perché al momento l’episodio è oggetto di indagine. È indubbio però che ci troviamo davanti a un episodio penoso, in cui quel che avrebbe dovuto essere il cauto e amorevole accompagnamento - con tanto di team di psicologi di supporto - di un bimbo di dieci anni verso una destinazione ritenuta più consona per lui, si è trasformato in una vera e propria azione di polizia per la quale non saprei trovare altro termine che “arresto”. Una situazione che sarebbe perfino comica se non fosse dolorosamente tragica, per la quale però non sono così sicuro che tutte le ragioni e i torti stiano effettivamente là dove il buonsenso li collocherebbe.
È fuori di dubbio che un minore - già abbondantemente traumatizzato da tutto ciò che precede, accompagna e segue una separazione - non possa e non debba essere trascinato via a braccia dalla scuola nella quale come ogni giorno è andato ignaro di tutto. Ed è ancor più fuori di dubbio che il piccino pagherà con un ulteriore disagio emotivo il pasticciaccio in cui è finito, risultandone segnato forse per la vita. E invece anche un perfetto imbecille dovrebbe aver chiaro che nella separazione di una coppia con figli la priorità strategica non dovrebbe essere “vincere” sull’ex-coniuge, quanto preoccuparsi di assicurare ai figli il massimo benessere possibile, materiale e psichico, smettendo per un attimo di odiarsi e di cercare la vendetta a tutti i costi. È proprio in quest’ottica virtuosa che l’altra mattina chiunque amasse il piccolo - veramente, e non solo a colpi di intervista - avrebbe avuto il dovere di prodigarsi nel rendere il meno traumatica possibile l'esecuzione di un provvedimento che le Forze dell'Ordine erano comunque tenute a eseguire, a prescindere dalla volontà del bambino e dei genitori. Insomma, era il caso di tentare di mitigare il dramma, e non di esasperarlo e spettacolarizzarlo con urla isteriche e riprese amatoriali, in una maniera che è sospetta di essere funzionale a quella litigiosità giudiziaria adusa a fare del figlio conteso il campo di battaglia su cui si scontrano gli interessi degli adulti. E non a caso sono già uscite al piano orde di avvocati e consulenti tecnici pronti ad azzannarsi e certificare tutto e il contrario di tutto. Beninteso andando ogni sera in RAI o in Mediaset a farsi un po’ di pubblicità gratuita. C’è poi un altro aspetto che merita di essere sottolineato, visto che l’emotività pelosa del Terzo Millennio rischia di farlo passare in secondo piano. Uno dei presupposti fondamentali di uno Stato di Diritto è che le sentenze della Magistratura debbano essere accettate ed eseguite, e che a esse ci si possa appellare solo nelle sedi opportune. Non certo a furor di popolo.
E questo vale anche nei casi - non rarissimi - in cui un Magistrato, pur nella buona fede più cristallina, prenda una decisione ingiusta nella sostanza o nella forma, o più semplicemente non coincidente col sentire comune.
Guai se passasse l'idea che se una persona o un gruppo di persone o anche mezza nazione percepisce come ingiusta una sentenza, sia lecito fare resistenza a essa.
Si finirebbe così per dar ragione anche alle madri della camorra (non meno urlanti e belluine) che a scadenze regolari assaltano le volanti della Polizia che portano via i loro figli.
Un caso ben diverso, mi si dirà. Eppure, riflettendoci bene, pensate che l'amore di una madre verso un figlio possa considerarsi meno sacro o più "sporco" solo perché tale figlio anziché avere dieci anni e andare a scuola, ne ha trenta ed è un camorrista? È proprio per questo che leggi e sentenze si rispettano sempre, senza distinguo.
Che poi gli agenti delle Forze dell’Ordine nell'esercizio delle loro funzioni possano a volte finire per assumere - anch’essi probabilmente in buona fede - comportamenti del tutto opinabili quando non apertamente arroganti ("... io sono un Ispettore di Polizia e Lei non è nessuno...") e che nulla hanno a che fare col concetto che sono le Forze dell'Ordine a essere al servizio dei Cittadini e non viceversa, o che essi risultino palesemente impreparati a fronteggiare situazioni particolarissime come quelle dell’altra mattina, è un discorso diverso e non meno importante, su cui l'indagine interna del Viminale dovrà far chiarezza, individuando e perseguendo - subito - eventuali omissioni e abusi.
Detto questo, a noi resta l’onere e il disagio di riflettere. E se di deve riflettere, lo farei non tanto e non solo sulla brutalità di quelle scene, quanto sul fatto che forse qualche aspetto dell’attuale Diritto Matrimoniale andrebbe ripensato, per evitare che termini asettici e vagamente tranquillizzanti come “affido congiunto” e “separazione consensuale” trasformino sbrigativamente in una routine fattibile e indolore quelli che sono invece momenti tragici e segnanti della vita di tanti, troppi ragazzi. Poter rescindere un rapporto matrimoniale ormai irrecuperabile è indubbiamente un momento di civiltà. Ma infliggere dolore a un bambino nell’ambito di una strategia ritorsiva verso un coniuge che ormai si odia è - lo si voglia ammettere o no - un comportamento delittuoso verso un minore. Si sa che non sempre si devono scomodare pedofili e serial killer per trovare i carnefici dei bambini, visto che a volte essi sono nel loro stesso stato di famiglia. Ma se in passato i mostri erano padri violenti e alcolisti o madri isteriche e dispotiche, nel dinamico e cinico Terzo Millennio sempre più spesso può trattarsi di persone assolutamente normali e perfino amabili, che però hanno deciso di farsi una guerra implacabile. E pazienza se tra le casualties ci sono i bimbi di casa. |