di Maurizio Piccoli [user #26523] - pubblicato il 13 dicembre 2012 ore 08:30
Parto dal presupposto che chi voglia mettersi a scrivere una canzone sappia minimamente suonare uno strumento, al limite anche la sola voce. Mi viene in mente una carissima amica, molto in età, la quale per tutta la vita ha scritto canzoni inventandosi melodie su testi suoi, scritti con l’accortezza di dar loro un andamento ritmico.
Parto dal presupposto che chi voglia mettersi a scrivere una canzone sappia minimamente suonare uno strumento, al limite anche la sola voce. Mi viene in mente una carissima amica, molto in età, la quale per tutta la vita ha scritto canzoni inventandosi melodie su testi suoi, scritti con l’accortezza di dar loro un andamento ritmico. Composta la melodia affidava il tutto a un musicista di professione o per solo hobby il quale prima di mettersi ad arrangiare il pezzo calava la melodia in una sequenza di accordi, decideva uno dei possibili ritmi e iniziava ad arrangiare con seria attenzione a ciò che di atmosfera musicale poteva suggerirgli il testo. Si tratta di un esempio limite, certo, ma ha comunque generato prodotti di una apprezzabile qualità. Torniamo a noi. Supposto che uno strumento polifonico lo sappiate suonare (piano, tastiera, chitarra), anche a livelli non stratosferici, come uno dei primi passi verso la composizione di canzoni vi consiglio la trasposizione in una tonalità a voi amica (buttiamo lì la tonalità di Sol o di Do) di una decina di successi nazionali e internazionali. Al di là dell’importanza dell’esercizio di trasposizione, il ricondurre in un unico “binario armonico” le varie hit vi consentirà l’analisi delle sequenze di accordi utilizzate, la loro funzionalità rispetto al testo (non dimenticate mai che in una canzone la musica dovrebbe essere al servizio del testo), un certo loro uso strategico dal punto di vista emozionale, l’apprendimento delle deviazioni e dei rientri sulla strada principale. In fondo, vi permetterà di prender coscienza che le “strutture” sulle quali poggiano le melodie di successo non sono molte e che una struttura sbagliata (faremo qualche esercizio di imbruttimento di brani bellissimi) può non dico rovinare ma “offendere” a morte una melodia di grande bellezza. Quest’ultima asserzione spero vi faccia riflettere sulla grande importanza della tessitura armonica dentro la quale si pone la melodia; e come può accadere a volte che in fase compositiva esigenze armoniche riescano a “piegare”, a far convergere a sé, cambiandola, qualche nota della melodia data. Mi scuso se ho già accennato alla fase “dattilografica” della composizione, quella cioè del vestimento cosciente di un blocco testo-melodia. Ritenevo importante farlo per annunciarvi come preseguirà il cammino. In questi primi incontri dovremo invece diventare cacciatori delle nostre emozioni, dei nostri momenti di vita.
Sono certo che il momento dell’ispirazione, della propensione a proiettare noi stessi all’esterno, si faccia sentire e pretenda che noi lo ascoltiamo e lo riempiamo. Anche se si mette mano tutti i giorni sullo strumento non è che tutti i giorni sentiamo la voglia di comporre qualcosa. L’ispirazione a volte scatta per insondabili motivi, altre volte ci viene presentata da un qualcosa di musicalmente arruffato che stiamo suonando, anche un semplice bicordo con uno strano basso. Oppure è un pensiero, un ricordo, una bella frase che sa di slogan originale o super semplice ma efficace. Ciò che dobbiamo fare è non perdere il momento ma alimentarlo perché potrebbe essere molto breve. Che fare? Se si tratta di un arpeggio insolito o di quel bicordo-basso strano, continuate a suonarlo, a ripeterlo considerandolo la molla iniziale che potrebbe far scattare qualcosa di buono dando poi vita e corpo a qualcosa di più articolato. Se è una semplice frase che vi svolazza in testa, scrivetela subito e poi pensate a quale argomento o momento di vita potrebbe essere abbinata con una qualche efficacia e originalità.
Lo so che a parlare di queste cose si finisce col parlare di niente, di essere inutili ma io non voglio esserlo e il modo migliore per servire a qualcosa è fare degli esempi concreti. Un giorno le mie dita configurate per eseguire un classico accordo di Do maggiore in prima posizione si sono poggiate sulla tastiera un tasto più avanti. Ne è uscito un accordo strampalato con un buon effetto di sospensione. Tornare in Do mi regalava un senso di riposo, di certezza, anche di calma. L’accordo strampalato lo avvertivo inquietante, come quando il buio ti disorienta. E mi erano venuti subito in mente le ansie, i turbamenti, le oscurità, le incertezze dell’età giovanile e certe magnifiche “schiarite” regalate da un bel sentimento d’amore. Cose che succedevano al buio delle classiche “festine” anni Sessanta. Ne era uscito un pezzo direi battistiano, anche nell’apertura non solo del ritornello ma pure della strofa. Se volete, lo potete ascoltare su YouTube digitando Sì, dimmi di sì Piccoli. È una canzone pubblicata nel 1973 ma scritta qualche anno prima, con la quale ho partecipato al Disco per l’estate.
Un piccolo esempio e un primo consiglio: non buttate via nulla di quello che di strano e meno strano incontrate con la mente e con le dita sullo strumento. Anche “una coscia di pollo disossata” o una bestiale disarmonia possono trovare posto in una canzone. Stai a voi servirle nella maniera giusta facendole diventare possibilmente uno dei vostri marchi compositivi. Alla prossima.