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Compulsione, nuove dipendenze e GAS
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di jebstuart [user #19455] - pubblicato il 24 gennaio 2013 ore 07:30
Quando su queste pagine parliamo di GAS (Gear Acquisition Syndrome), lo facciamo spesso con un mezzo sorriso e dandoci virtualmente di gomito. Sì, perché la GAS è per i chitarristi un po’ quel che il russamento notturno del partner è per mogli e compagne.
Quando su queste pagine parliamo di GAS (Gear Acquisition Syndrome), lo facciamo spesso con un mezzo sorriso e dandoci virtualmente di gomito. Sì, perché la GAS è per i chitarristi un po’ quel che il russamento notturno del partner è per mogli e compagne: una cosa fastidiosa e spesso imbarazzante, ma che comunque è fonte di ilarità più che di preoccupazione. A volte, però, tanto buonumore è fuori posto, perché così come il russamento può nascondere malattie anche serie, in alcuni casi la GAS può non essere solo un vezzo, ma configurarsi come un vero e proprio disturbo psicologico, con implicazioni anche rilevanti sul piano affettivo ed economico. Ora, che la GAS possa a volte nascondere un disagio, molti chitarristi l’hanno sicuramente ben presente, ma leggiucchiando in rete non ho potuto fare a meno di notare una certa confusione terminologica. È per questo che, molto sommessamente, ritengo utile cercare di fare un po’ di chiarezza.
Uno dei principali malintesi, in tema di GAS, è la confusione che talvolta si fa tra questa e il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC). Il DOC è un disordine psichiatrico caratterizzato dall’anancasmo, e cioè un comportamento per il quale il soggetto non può sottrarsi all’impulso di compiere una determinata azione o formulare un determinato pensiero, anche se essi sono per lui fonte di sofferenza o se, nella loro ripetitività, interferiscono col normale svolgimento delle attività quotidiane. Esistono numerose forme di DOC, distinte sulla base dell’ambito comportamentale in cui si verifica l’anancasmo. Esistono pazienti che manifestano angoscia per una possibile contaminazione batterica, temendo continuamente di potersi “sporcare” o peggio di contrarre una malattia infettiva. Sono i cosiddetti washer, che lavano le mani decine o centinaia di volte al giorno - fino a ridursele a due piaghe - o che disinfettano ossessivamente gli oggetti che pensano possano essere venuti a contatto con una fonte di contagio.
Altri pazienti sono angosciati dal timore di aver omesso un comportamento di controllo (sprangare la porta, chiudere il gas, e così via). Sono i cosiddetti controller, perennemente impegnati a verificare se hanno dato le mandate o se la chiavetta del gas è nella giusta posizione di chiusura. Altra variante particolarmente diffusa - anche se spesso in forma frustra e appena accennata - è la compulsione all’ordine e alla simmetria. Chi ne soffre prova un disagio profondo nel vedere oggetti non disposti perfettamente, e quando dico “perfettamente” intendo ordinati ossessivamente per altezza, profondità, colore e quant’altro. Sono gli orderer, che trascorrono gran parte della loro giornata ad ordinare e riordinare penne, pentole, libri e ogni altra cosa gli stia intorno, tornando più volte sui propri passi per dare ritocchi o per utilizzare un altro criterio di ordinamento.
Ulteriore categoria è quella dei neutralizer, forse i più noti tra i pazienti con DOC. I neutralizers sono convinti che l’attuare certe azioni o il pronunciare certe parole o addirittura il formulare certi pensieri possa generare sciagure, malesorti, disastri. Terrorizzati da questa possibilità, escogitano continuamente rituali scaramantici (gli “esorcismi”), che consistono nel declamare sequenze di parole (repeater), o nel ripetere un gesto un determinato numero di volte (counter), nella convinzione che ciò possa neutralizzare la malasorte, scongiurando il verificarsi dell’evento temuto. E infine, la categoria degli accumulator, che tendono appunto ad accumulare quantità smisurate di una o più tipologie oggetti, il più spesso privi di utilità (lattine, tappi, ritagli di spago o di giornale, e così via). È proprio l’osservazione di questi ultimi pazienti che probabilmente ha generato la confusione tra DOC e GAS, visto che a una valutazione grossolana il chitarrista affetto da GAS può apparire un accumulator.
La GAS è invece più correttamente assimilabile a una dipendenza. Ed è una distinzione non da poco, visto che compulsione e dipendenza, pur avendo in comune l’adozione di comportamenti in qualche modo incontrollabili ed ineluttabili, presentano alcune importanti differenze. Intanto, l’impulso che sostiene la dipendenza e ne dirige i comportamenti appartiene all’Io. Il dipendente ricerca l’esperienza propria della sua dipendenza perché essa lo realizza e lo gratifica, anche se solo momentaneamente. Si tratta, quindi, di un impulso egosintonico, cioè in armonia con l’Io. L’impulso che sostiene la compulsione, invece, è completamente estraneo all’Io. Esso non viene percepito come una propria elaborazione né viene motivato in alcun modo, ma piuttosto appare al soggetto come un ordine impartito dall’esterno e a cui bisogna obbedire per vincere il disagio generato dall’ossessione stessa. Si tratta, quindi, di un impulso egodistonico. Infine, se è vero che sia nella dipendenza che nella compulsione esiste una significativa perdita di autocontrollo, è anche vero che nel soggetto dipendente permane una precisa capacità decisionale (la possibilità di opporsi, per intendersi, sia pure a costo di una elaborazione più o meno dolorosa), che invece nella ossessione-compulsione è irrimediabilmente persa.
Le dipendenze assumono forme diverse. Alcune di esse sono note da secoli, altre sono invece di recente osservazione (le cosiddette Nuove Dipendenze). Tra le dipendenze tradizionalmente note, il Gioco d’Azzardo Patologico è sicuramente la più diffusa. Discuterne ampiamente esula dagli scopi di questa chiacchierata, ma trovo utile sottolineare come oggi essa si vada diffondendo a strati della popolazione in passato assolutamente indenni (pensionati, anziani e anziane, casalinghe, eccetera) in forme subdole e spesso non considerate dagli interessati come vero e proprio gioco d’azzardo. Basti pensare alla miriade di Gratta&Vinci, al classico Gioco del Lotto, al Bingo, e così via, nei quali i giocatori finiscono per investire parti considerevoli di budget spesso striminziti.
Nell’ultimo decennio, innescata dalla diffusione capillare dei personal computers e dallo sviluppo iperbolico di Internet, è andata poi delineandosi il non meno preoccupante Internet Addiction Disorder (IAD), che interessa un numero sempre crescente di individui, rimasti intrappolati - è veramente il caso di dirlo - nella Rete e agganciati a una dimensione virtuale vissuta come alternativa e preferenziale alle esperienze relazionali reali. Anche la Internet Addiction assume di volta in volta forme diverse, con tipologie di dipendenza che possono restare polarizzate in un senso preciso, oppure combinarsi variamente tra loro, andando dalle dipendenze ciber-sessuali a quelle ciber-relazionali, al net gaming, alla dipendenza dalle console di gioco.
La forma di dipendenza che ci interessa più da vicino, tuttavia, è la cosiddetta Sindrome da Acquisto compulsivo, nota anche come Compulsive Buying Disorder. Descritta per la prima volta da Kraepelin e Bleuler circa un secolo fa, la sindrome fu allora battezzata oniomania (dal greco ὤνιος = acquistabile e μανία = smania) e ritenuta pressoché esclusiva delle giovani donne. Il disturbo consiste nella compulsione ad acquistare beni (nel sesso femminile il più spesso vestiti, scarpe, gioielli e cosmetici) non tanto per il piacere di possedere l’oggetto, quanto per quello connesso all’acquisto. In altre parole a dare piacere alleviando l’ansia non è l’accumulare oggetti (che anzi spesso sono regalati o buttati) ma lo shopping in sé. Vi è generalmente accordo nel far risalire la psicodinamica dell’acquisto compulsivo al tentativo di accrescere l’autostima attraverso il possesso di beni che in qualche modo supportano l’immagine che il soggetto dà di sé in seno al gruppo sociale di appartenenza. Man mano che il disturbo diviene più grave, tuttavia, questa istanza - non priva inizialmente di una sua logicità - si svincola progressivamente dal piano reale, per trasformarsi in una classica dipendenza, con tanto di tolleranza (necessità di acquisti via via più numerosi e importanti per mantenere contenuti i livelli di ansia) e astinenza (in caso di interruzione forzata degli acquisti) e, soprattutto, con la progressiva tendenza dello shopping a sostituirsi a ogni altra attività, divenendo quella preminente o addirittura esclusiva della persona disturbata. Lo shopping compulsivo, tuttavia, non va confuso con l’innocente shopping compensativo - cui tutti almeno una volta nella vita abbiamo fatto ricorso - che consiste nell’effettuare occasionalmente qualche acquisto inconsueto e voluttuario per sentirsi coccolati o per affogare una delusione emotiva o per riempire il vuoto generato da una perdita affettiva.
È proprio con lo shopping compulsivo - è abbastanza evidente – che la nostra Gear Acquisition Syndrome ha diversi punti di contatto. Nel caso della GAS – che per inciso è descritta anche tra gli appassionati di fotografia - la genesi psicodinamica è da ricercarsi soprattutto nel tentativo di ottenere, attraverso l’acquisizione di strumentazioni sempre più sofisticate e costose, un suono o una performance o un’abilità musicale che il soggetto riconosce come utile per la propria positiva collocazione in un contesto artistico-musicale. Nelle forme più rilevanti, la ricerca dello strumento, del pedale, dell’amplificatore “risolutivo” diviene man mano più acritica, trasformandosi in un’attività di acquisto (o di compra-vendita) spesso frenetica, e che a volte arriva praticamente a sostituire l’attività di utilizzo degli strumenti acquisiti. Credo nessuno abbia mai risolto il dilemma se, sotto sotto, la GAS abbia motivo di esistere, e se cioè la ricerca del setting ideale migliori realmente la performance musicale del chitarrista. E - sia chiaro - non è minimamente nelle mie intenzioni addentrarmi in questo campo minato. Mi sembra invece più sensato affermare che il grosso del popolo dei chitarristi, se soffre di GAS, è affetto da forme decisamente lievi, che assumono un andamento ondulante nel tempo, con momenti di riesacerbazione alternati a fasi in cui l’impulso all’acquisto viene agevolmente dominato. Solo nei casi più gravi - io sono uno di questi, ma sono in ottima compagnia - il soggetto affetto invece smanetta con strumenti, effetti e amplificatori per un tempo di gran lunga superiore a quello trascorso effettivamente a suonare. So infine di casi cronici e incurabili in cui il chitarrista praticamente non suona più. Sono quelli cui sentite dire “Più che altro, sono un collezionista...”.
E questo è quanto. Ammetto però che restano alcuni punti irrisolti, che spero possano essere affrontati in discussione, e che mi limito a elencare: la giovane età (e lo squattrinamento conseguente) protegge dalla GAS o ci sono giovani chitarristi che delinquono per procurarsi il denaro necessario? O che spacciano strumenti per procurarsi la dose personale? e se la giovane età è un fattore protettivo, allora la GAS grave è da considerarsi una malattia caratteristica dell’anziano? c’è una relazione inversa tra GAS e bravura? In altre parole, diventano GASati prima e collezionisti poi soprattutto i chitarristi più somari? e, viceversa, possono ritrovarsi soggetti GASati anche tra i Grandi della chitarra?
Ora basta, però. Scusatemi, ma devo assolutamente rispondere alla mail di uno che vende una Strat Japan inizio Ottanta. Mi capite, quelle che “... niente a che vedere con le ciofeche che fanno adesso ...”. Mi serve proprio... davvero. ;-)
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