Cosa veramente fu la tragedia legata alla nave
Caterina Costa e come mai se ne è persa la memoria a soli 71 anni dal triste evento? E’ uno dei due episodi tragici legati alla mia città, Napoli, e del Sud in genere, che io da sempre cerco di tener desto nella memoria di noi napoletani ( ma che non eravamo ancora nati all’epoca ), dopo quello più emotivamente legato alla mia attività lavorativa di ferroviere, cioè la tragedia del treno 8017, avvenuti entrambi durante la 2° Guerra Mondiale, immane tragedia umana che di morti ne fece milioni nel mondo, ma entrambi, anche se limitati come numero, notevoli e da ricordare.
La Caterina Costa era una nave cargo da 8600 tonnellate, di nuova e moderna, almeno per l’epoca, costruzione, consegnata all’armatore genovese Giacomo Costa solo l’anno precedente, cioè nel 1942, quindi solo pochi mesi prima del disastro avvenuto invece il 28 di marzo dell’anno 1943. Era stata realizzata a partire dal 1939 per essere poi varata nel succitato anno 1942 nei cantieri di Riva Tigroso, era lunga 135,5 m, larga 19 m ed alta 9 m, pescava a pieno carico 8 m ed i motori di cui era dotata erano della "Fiat Grandi Motori" ad 8 cilindri. Il 21 ottobre 1942 la nave fu requisita dalla Regia Marina ed in virtù delle sue caratteristiche costruttive fu adibita al trasporto dei rifornimenti sulla rotta allora più importante, quella per il Nord Africa. Compì solo quattro viaggi su questa tratta, comunque durante uno dei primi, cioè il 26 dicembre 1942, rimase danneggiata in un attacco aereo alleato su Biserta. Ormai la guerra in Nord Africa si poteva dire persa dopo la sconfitta di
El Alamein degli inizi di novembre 1942, battaglia combattuta con onore e sacrifici immensi ma con scarsi mezzi e rifornimenti , ma si continuò a combattere nei territori rimasti ancora in mano nostra e dell’Afrika Korps. Ma veniamo al dunque, a fine marzo 1943 fu caricata con ben 900 tonnellate di esplosivo, 43 cannoni a lunga gittata, 1000 tonnellate di benzina , alcuni carri armati e cingolati, fucili, munizioni in gran quantità, viveri in abbondanza per le truppe, ecc.ecc.( amara è la constatazione che ci si poteva pensare prima a rifornire adeguatamente le truppe e non far patire la fame e la sete agli eroici combattenti, furono dissolti come neve al sole battaglioni interi compreso la gloriosa Divisione Folgore che doveva effettuare l'invasione di Malta dal cielo e la Divisione Corazzata Ariete, c'è un bellissimo libro da leggere in merito, di Paolo Caccia Dominioni intitolato
Alamein 1933-1962 ).
Sulla nave vi erano circa 600 persone di equipaggio, il comandante era il capitano Marsi che diligentemente da giorni stava vigilando sul perfetto carico della nave. La partenza era fissata per il 27 di marzo ma un imprevisto inconveniente provocò la rottura di una fune e fece slittare la partenza al giorno dopo. Il 28 marzo del 1943 intorno alle 17 circa del pomeriggio ( ma alcune fonti parlano delle 14 ) si scatenò quello che inizialmente sembra un piccolo e limitato incendio a brodo, forse si suppone provocato da una banale scintilla, ma bastò poco perché il tutto si trasformasse in tragedia. La nave divenne una vera e propria Santa Barbara dalla quale, al momento dell'esplosione finale, vennero proiettati enormi pezzi di metallo infuocati su tutta Napoli. Vennero colpite zone quali la Stazione Centrale, Piazza del Carmine, il Vomero, Piazza Carlo III ( quì vi fu un morto e vari feriti). Alla fine il bilancio fu tremendo, si contarono ben 549 morti ( altre fonti ne citano invece 600 ) , la stragrande maggioranza tra i marinai di bordo e truppe imbarcate, ma anche tra i soccorritori e civili, ed oltre 3000 feriti in tutta la città, solo tra i vigili del fuoco vi furono 57 tra feriti ed ustionati ed alcuni continuarono i soccorsi appena dopo essere stati medicati ( un corpo di un marinaio venne rinvenuto, orrendamente sfigurato, presso la Caserma Bianchini distante circa un 1/2 Km ). Il molo sprofondò letteralmente trascinando anche un gruppo di caseggiati vicini, due palazzi vennero letteralmente schiacciati da una enorme parte della prua della nave, addirittura una notevole parte di carro armato fu rinvenuta sulla terrazza di un palazzo in via Atri al civico n°23, si narra di cavalli senza più la testa che continuarono nella loro corsa, poi sulla facciata est di uno dei castelli simbolo di Napoli, il
Maschio Angioino ( il Castel Nuovo) sono ancora oggi visibili gli effetti di questa terribile esplosione. Però si sa anche che furono subito dopo sollevati molti dubbi in merito all’incendio, si pensò anche ad un attentato, ma nulla emerse poi dalle indagini accurate che seguirono il drammatico evento. Esiste un resoconto di cronaca di un giornalista del giornale
Il Mattino di Napoli, Roberto Giuni , ve lo trascrivo integralmente a seguire, per chi fosse interessato può andare a:
http://it.wikipedia.org/wiki/Caterina_Costa_%28nave%29
( oltre ad un bel libro "
I Cento Bombardamenti di Napoli" di Aldo Stefanile, che ne parla molto dettagliatamente al capitolo n° 15. Lo scoppio avvenuto 3 ore dopo l'inizio dell'incendio provocò l'affondamento di 2 rimorchiatori investiti in pieno dall'esplosione, l'Oriente ed il Cavour, mentre la nave Caterina Costa si trovava ormeggiata nel porto di Napoli, nella zona corrispondente al rione Sant'Erasmo
)
« Napoli si sveglia ai primi scoppi provocati dalla benzina che si sparge, ardendo, sull’acqua del porto. Buona parte dell’equipaggio si mette in salvo sulla banchina, a cominciare dal comandante della stessa nave, ma i soldati, addormentati sotto coperta, trovano le vie di fuga sbarrate dal fuoco: dei cento italiani alloggiati a poppa non si salva nessuno. Non si tratta di attacco aereo, quindi niente sirene d’allarme. I napoletani sentono le deflagrazioni, vedono pennacchi di fumo, odono le ambulanze che vanno avanti e indietro. Alla direzione dei Vigili del Fuoco l’allarme arriva dieci minuti dopo le due del pomeriggio: in banchina, l’ingegnere Tirone, dirigente dei VVFF capo delle operazioni di soccorso, trova il comandante della nave che lo mette in guardia: sulla «Caterina Costa» c’è un carico di bombe che può scoppiare da un momento all’altro, consiglia di affondarla. Di fronte al rischio, Tirone ritira la sua squadra impegnata a cercare di spegnere l’incendio. Alle 15 un colonnello della Capitaneria di Porto sostiene che non c’è pericolo. Un'ora dopo un maggiore della stessa Capitaneria di Porto informa che non è possibile affondare la nave dato che già tocca il fondo. Alle 17,39, al termine di una giornata dove si sono mescolate leggerezze inaudite da parte di tutti i dirigenti coinvolti, incapacità tecniche dei responsabili militari, ritardi nel chiedere soccorsi adeguati, la «Costa» salta in aria: le fiamme hanno raggiunto la stiva numero due, quella dell’esplosivo. La banchina sprofonda; un pezzo di nave piomba su due fabbricati al Ponte della Maddalena abbattendoli; la metà d’un carro armato cade sul tetto di un palazzo di Via Atri; i Magazzini Generali del porto prendono fuoco; alla Stazione Centrale le schegge appiccano incendi ai vagoni in sosta. Il Lavinaio, il Borgo Loreto, l’Officina del Gas, i Granili, la Caserma Bianchini, la Navalmeccanica, l’Agip: dovunque arrivano lamiere mortali. E dovunque, vetri rotti, porte e finestre sfondate, cornicioni sbriciolati dall’esplosione. Per spegnere l’incendio sul relitto i vigili dovranno lavorare fino all’indomani. Le vittime saranno 549; i feriti, oltre tremila. Tra questi il vice comandante della Capitaneria di Porto ripescato a mare. Se la «Costa» è la prima nave a saltare in aria senza intervento nemico, diverse altre sono state incendiate e affondate durante i bombardamenti, fin dal 20 febbraio, quando le Fortezze Volanti hanno centrato il piroscafo «Caserta». Altre ancora coleranno a fondo nei prossimi mesi. Alla fine le condizioni del porto saranno tali che gli Alleati entreranno in città portandosi un tecnico addestrato alla bonifica di moli, attracchi e bacini sconquassati dalla guerra: l’ingegnere inglese I.A.V. Morse in divisa di contrammiraglio. Sarà lui a far pulizia di relitti e macerie. ». Per tutte le vittime di questa grande tragedia passata nel dimenticatoio
: R.I.P.