Assistere a un’esibizione degli Aristocrats vuol dire vedere riuniti sullo stesso palco tre talenti indiscussi dei rispettivi campi. Una chitarra, una batteria e un basso suonati ad altissimi livelli si intrecciano con naturalezza descrivendo volteggi imprevedibili grazie a un’esperienza maturata in anni di collaborazione, chilometri di strada insieme e - a oggi - quattro dischi all’attivo.
La loro data napoletana - prima in assoluto per il capoluogo ma non per la regione, che ha già avuto il piacere di ospitare in passato il trio - fa parte della branca conclusiva del tour promozionale per You Know What…?, lo studio album presentato in estate 2019. Accordo era presente all’evento, organizzato dall’Accademia Giuseppe Verdi presso l’Auditorium Salvo D’Acquisto a Napoli, e le nostre telecamere hanno avuto modo di incontrare i musicisti da vicino per uno scambio di battute che sarà presto oggetto di un articolo.
Durante l’intervista abbiamo trovato degli Aristocrats particolarmente in forma, che per la serata assicurano: “ogni show è diverso, i brani cambiano ed evolvono in continuazione, per questo vale sempre la pena di assistere al concerto, anche più volte nello stesso tour”. La promessa, poche ore dopo, sarà ampiamente mantenuta.
Nell’elegante teatro in zona Vomero, il concerto ha inizio in perfetto orario. Guthrie Govan, Marco Minnemann e Bryan Beller hanno mesi di tour quasi ininterrotto alle spalle e, quando guadagnano il palco, è chiaro che sono carichi, galvanizzati dalla serie di concerti.
Bryan, bassista e mattatore della serata, tiene un contatto continuo col pubblico. Al microfono lo coinvolge, racconta, scherza.
Marco non è da meno, suscitando simpatia con qualche parola in un italiano neanche troppo stentato, a dir la verità.
Guthrie è il più riservato, ma il suo humor inglese traspare da ogni gesto e basta un “effetto speciale” lanciato dalla chitarra o un semplice oggetto di scena come un inquietante libro illustrato per coronare una serie di gag irresistibili.
Agli strumenti, tutti e tre sfoderano tecnica impressionante, stile ricercato, linguaggio raffinato.
L’affiatamento è totale, gli incastri perfetti e ogni cambio di dinamica è compatto, uniforme.
La capacità dei tre di tessere fraseggi e poliritmie è direttamente proporzionale alla loro voglia di prendersi poco sul serio. Gli Aristocrats non suonano affatto come un “D Grade Fuck Movie Jam” (brutta musica per brutti film porno) come ricordano di essere stati definiti una volta, traendo spunto dall’episodio per scrivere l’omonimo brano.
Le pause tra i brani tornano utili principalmente a questo: raccontare le storie dietro le canzoni, spiegarne titoli e sonorità, il più delle volte con aneddoti spassosi. Accade per ognuna delle tracce di You Know What…? sulle quali si focalizza una buona fetta della scaletta, ma c’è spazio anche per pezzi “classici” come “The Kentucky Meat Shower”, anticipata dalla raccapricciante storia vera di una “pioggia di carne” verificatasi quasi 150 anni fa in USA e sulla quale qualcuno ha pensato di scrivere addirittura un libro per bambini.
La serata - oltre due ore di musica - corre veloce grazie agli intermezzi goliardici e a una serie di brani sempre coinvolgenti, dove primeggia l’equilibrio tra i tre componenti. Nessuno è solista assoluto, gli Aristocrats scrivono canzoni in egual misura e in egual misura si riservano spazio sul palco.
Non mancano le lunghe jam in cui chitarra e basso si destreggiano in linguaggi ogni volta diversi, ora tendenti al blues, ora di puro jazz rock fino a sfociare nel country, ma mutando con fluidità e naturalezza, senza scossoni. Irrinunciabile è l’assolo di batteria, nel quale il pubblico diventa parte attiva rendendo intrattenimento puro un momento sempre delicato nelle scalette dei concerti.
Il pubblico, appunto, è tenuto sempre a brevissima distanza. La platea è coinvolta, partecipe, fino a diventare un vero coro su “Smuggler’s Corridor”, da Tres Caballeros, bis che conclude l’esperienza napoletana con il trio. La prima, come sembra essere ogni esperienza sotto il palco degli Aristocrats. |