Il mio doppio pedale Yamaha ha molta meno ruggine di me, nonostante siano almeno 15 anni che non lo uso.
Il fatto è che da prima ancora di "diventare grande" avevo abbandonato un certo modo di suonare la batteria, prediligendo meno pezzi ma di migliore qualità, lavorando di più sulle dinamiche del pianissimo, migliorando il tocco, studiando aspetti più jazzistici e ripartendo dal pad.
Stare in appartamento poi aveva cancellato il mio stato di batterista, ripreso solo negli ultimi 6 anni, prima con l'elettronica presa al mio pupo per iniziare e poi con l'acquisto dell'acustica nella nuova abitazione.
Ora il mio piccolo ha 12 anni, e mi sembrava giusto fargli ascoltare un disco uscito proprio quando io avevo 12 anni, un disco che ha stravolto le esistenze musicali di tanti appassionati: Images and Words.
E' vero che i Dream Theater non sono magari i più tecnici, i più metallari, i più progressive che ci siano in circolazione, ma hanno un equilibrio tra le varie tendenze che era perfetto (secondo me, fino a Metropolis Pt.2, con le prime avvisaglie di qualcosa che non andava in certi brani di Falling into Infinity). Ma a parte questo, Images and Words rimane per me uno dei più bei dischi, a cui sono legato emotivamente per mille motivi che prescindono dall'aspetto prettamente musicale, è il disco della mia adolescenza "ribelle" ascoltato insieme a The Wall, Kill'em all, Rust in peace, In Utero, Rage against the machine, Holy Land ed altre chicche del panorama rock/har/heavy degli anni '90.
E se con i Nirvana ho avuto lo stimolo a suonare uno strumento, con i Dream Theater ho avuto lo stimolo di diventare un batterista trascinatore del gruppo, che suona la batteria come se fosse una chitarra solista.
Ed Images and Words è il disco che tutti i pomeriggi mettevo in cuffia e ripetevo sulla batteria fino allo sfinimento dei vicini di casa (quindi dalle 13:45 fino alle 14:40 circa), cercando di migliorarmi fino a riuscire a suonare Pull me Under, Another day, Surrounded, Learning to live, e riuscendo più o meno a restare dietro a Take the time e Metropolis Pt.1.
Come nonno Simpson si perde nei suoi discorsi, stavo dicendo che ho fatto ascoltare questo disco al mio giovane erede, il quale ha sgranato gli occhi chiedendomi se per davvero riuscissi a suonare quei pezzi.
Ok, non ho più tutti i pezzi, però dovrei riuscire a riarrangiare Pull me under in modo da portare un groove semplificato anche con la batteria attuale.
Prima prova. Un disastro.
Sapevo cosa dovessi suonare, che movimenti fare, e come fosse la canzone. Semplicemente, dopo anni a suonare al massimo i Guns, mi mancava l'agilità e la velocità.
E mentre pensi come riarrangiare non hai tempo di pensare anche come compensare la velocità.
Seconda prova. Andiamo meglio.
Ecco che il mio stile, con una buona pacca, ritorna poco per volta in superficie. Ruggine come se piovesse salato, ma va già meglio.
Terza prova. Decido di smetterla con la configurazione fighetto, nel profondo dell'animo sono sempre stato un casinaro, per questo di ritorno dal mio prossimo viaggio in terra asiatica riprenderò il mio doppio pedale Yamaha, magari gli cambio le molle, cambio un paio di pelli ai tom più alti (che non avevo nè venduto nè buttato) e riprendo ad allenarmi su Images and Words.
Poi magari non riuscirò più a suonare come quando ero giovane, anzi, ne sono sicuro, quell'agilità e quell'atletismo non ci saranno più, ma il divertimento, ragazzi, quello è più che assicurato! |