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La Jazzmaster dei poveri e il genio di Leo
La Jazzmaster dei poveri e il genio di Leo
di [user #12502] - pubblicato il

Non è l'originale, ma la Jazzmaster in salsa Harley Benton fa emergere tutto il genio del suo creatore, pur con tutti i compromessi di una chitarra poco impegnativa, divertente. La racconta il nostro lettore ADayDrive.
Mi ero ripromesso di non comprare più chitarre Harley Benton, davvero. Ne ho già prese varie: tre elettriche, tre bassi e un’acustica, tutte per i soliti tre/quattro motivi, ovvero il rapporto qualità prezzo imbattibile (anche se quelle più economiche sono oggettivamente inutilizzabili), la varietà dei modelli mancini (maggiore rispetto a tutte le altre aziende) e la possibilità di usarle come cavie per esperimenti e maltrattamenti. Chitarrette carine, ma nessuna definitiva, perché manca sempre qualcosa.
E poi, una sera, mentre navigo sul sito proprietario del marchio, la vedo: shape Jazzmaster, colore stupendo, non resisto. Tra l’altro non mi è mai capitata l’occasione di provarne una “vera”. È un colpo di fulmine, la prendo al volo. Arriva un mese e mezzo fa, setup immediato con livellamento dei tasti (in realtà posati molto bene, serve solo qualche colpo col martello di plastica) e la porto direttamente in sala prove, previste proprio quel giorno. La prima prova è quindi effettuata con lo strumento in condizioni stock.

La Jazzmaster dei poveri e il genio di Leo

Digressioni varie: quel geniaccio di Leo Fender nel bene e nel male
L’Harley Benton nuova mi fa venire una voglia tremenda di comprarne una Jazzmaster “vera”: è, banalmente, lo strumento con la migliore ergonomia che abbia mai utilizzato. Leggera, bilanciatissima, con i contour tipo Stratocaster e l’attacco della cinghia all’altezza giusta (per me, ovviamente), circa al quindicesimo tasto. Il manico è sottile, molto sottile, con profilo slab board anni ’60, più o meno, e gli ultimi tasti sono molto facili da raggiungere. È pure comodissima da seduto. Insomma, mi ci trovo subito divinamente. Sarebbe stato interessantissimo testare l’utilità e l'efficacia del sistema di switch appositamente progettato da Leo Fender per questo modello, peccato che su questa chitarra non sia presente.
La Jazzmaster doveva essere la naturale evoluzione delle solid body Fender, e allora perché non ha fatto il botto come Telecaster e Stratocaster? Sarà per quel sistema vibrato maledetto?

Quel maledetto ponte sul Po
Dalle foto è evidente la JA-60CC ha il Tune’o’matic, ma sono possessore di un’altra chitarra con il ponte Jazzmaster style.
Qualche hanno fa lessi un commento su questo sito dove un utente del forum sosteneva, più o meno, che nulla con quel ponte poteva suonare bene. E in effetti la Di Pinto è da molto tempo la mia nemesi, nel senso che, a fronte di un manico strano (molto largo e piatto) ma molto comodo e di un’estetica a mio avviso entusiasmante, non sono mai riuscito a farla suonare bene come vorrei, anche se su di essa ho provato tanti pickup e tutti molto buoni: Lace Sensor, DiMarzio, Seymour Duncan, Wylde. Insomma, di tutto. E il problema era sempre quello: sui puliti tutto bene, un timbro generalmente molto squillante ma gestibile, tuttavia quando si sale di gain e compressione c’è sempre la presenza di troppe armoniche "disarmoniche", come se la chitarra fosse scordata o settata male anche se non lo è. Il perché l’ho capito vari anni dopo l’acquisto: la porzione di corda tra il ponte e il bloccacorde vibra - e pure abbastanza forte - a ogni colpo di plettro, è abbastanza lunga per produrre frequenze ben udibili e, nonostante sia lontana dai pickup, parte del segnale viene raccolta dai trasduttori. Un elastico messo ad hoc per smorzare le vibrazioni aiuta, tuttavia c’è sempre una componente dissonante del suono che mi infastidisce. Inoltre il vibrato è meno efficiente ed efficace di quello della Stratocaster, ha meno escursione e si presta meno a essere strapazzato. Insomma, la Galaxie viene relegata al ruolo di chitarra “da puliti”.

Ok, ma come suona?
Partiamo dai pickup, che sono dei Roswell (sempre marchio proprietario di Thomann): sono filologicamente corretti sia nella forma sia nel timbro, tuttavia sono abbastanza spompati sulla parte alta dello spettro acustico e conseguentemente piuttosto anonimi.

La Jazzmaster dei poveri e il genio di Leo

Dopo un mesetto circa li rimpiazzo con un set di Fender Pure Vintage e la differenza, anche se non abissale, si sente: il suono, nonostante la differenza di forma e struttura, è comunque da single coil a là Fender, e ha poco in comune coi P90 tipo Gibson. La resistenza è di circa 6,2 kOhm, quindi il filo della bobina è più lungo di un single coil da Stratocaster, tuttavia, essendo gli avvolgimenti più larghi il loro numero è sostanzialmente equivalente, e conseguentemente lo è il livello di uscita. Il timbro è globalmente ben equilibrato e molto piacevole, con meno attacco rispetto alla Telecaster e meno pianistico della Strat. I due pickup, essendo fedeli alla loro controparte vintage, hanno la stessa resistenza e la stessa spaziatura, e quindi quello al manico spinge un po’ di più. Non che sia un enorme problema.

Ok, e il resto?
Dal punto di vista della liuteria, niente di nuovo sotto il sole. La chitarra fa parte della serie Vintage (ovvero quelle un po’ più pregiate), è ben costruita e verniciata, anche se i materiali sono poveri, in particolare il legno della tastiera, che è alloro e si presenta secco al tatto.

La Jazzmaster dei poveri e il genio di Leo

Piccola digressione sull’alloro: al netto che non è bellissimo (è di un marrone troppo generico che sa di né carne, né pesce), è un legno durissimo. Lo so bene perché ce n’era un albero enorme di fianco alla sala prove e al momento di sradicarlo, dopo un preliminare tentativo con la scure naufragato dalla bestiale fatica necessaria, abbiamo optato per chiamare uno scavatorista con relativo mezzo.
Lo nutro con olio di oliva extra-vergine e se ne beve circa il triplo di quello che utilizzo di solito per le tastiere di palissandro di buona qualità. Il manico presenta un buon fretwork, c’è pure il binding (discretamente realizzato) e pure i segnatasti sono installati decentemente. Il manico (il sito fa riferimento a un mai sentito prima “vintage canadian caramelized maple”) è in un pezzo unico di acero che mi sembra banalmente verniciato con un mordente un po’ scurente, che tutto sommato è bellino.
Anche il vano per l’elettronica è ben fatto, anche se stona la componentistica cinese di bassissima qualità, in particolare i due potenziometri che sembrano veramente cheap.

La Jazzmaster dei poveri e il genio di Leo

Anche il selettore dei pickup sembra piuttosto gracilino, anche se per ora funziona bene. Piccola parentesi: i pickup sono direttamente avvitati sul fondo del vano, sopra dei pezzi di gommapiuma che garantiscono la possibilità di regolarne l’altezza, il che permette di rimuovere il battipenna in modo agevole solamente allentando le corde senza toglierle permettendomi di cambiare i pickup in cinque minuti cinque. Il genio di Leo fa ancora capolino.

La Jazzmaster dei poveri e il genio di Leo

Impressioni di dicembre live
Faccio in tempo anche a testarla dal vivo in un concertino in un bar. Scaletta completa per una ventina abbondante di brani con repertorio quasi completamente rock anni ‘70, con conseguente caravanserraglio di assoli lunghi e strapazzamenti vari. La chitarra tiene botta con nonchalance, complici anche le meccaniche locking cinesi da trenta euro riciclate da un'altra chitarra dismessa che vanno a rimpiazzare quelle originali (tremende). Altre due parole sui pickup: con la dovuta premessa che da circa 25 anni suono fuori solamente con single coil noiseless, e che quindi non sono abituato a ronzii e hum vari, all’inizio della serata i rumori vari mi infastidivano eccome. Il single coil è una meravigliosa antenna (mi ricordo una sala prove dove dentro l’amplificatore entrava una radio dell’est, probabilmente in AM) e tira su anche il ronzio, oltre che della corrente, anche di un vicino frigo bibite, nonostante abbia schermato il battipenna con l’alluminio adesivo. Poi ci si abitua, e alla fine chi se ne frega, non sarò mica diventato vecchio per diventare un fighetto da pesce crudo e Champagne? Fritto di paranza, Prosecco e rock’n’roll.

Insomma, ne vale la pena?
Questa chitarretta me la sto veramente godendo, è quella che suono di più in questo momento: è comodissima, fatta abbastanza bene e, dopo aver cambiato i pickup e sostituito le meccaniche, suona pure bene e tiene l’accordatura. Valgono poi tutte le considerazioni che ho precedentemente formulato su queste pagine sui prodotti Harley Benton, quindi, se qualche lettore è interessato, può anche dar loro un’occhiata, qui sul modello in stile SG e qui quello tipo Les Paul Junior.
chitarre elettriche gli articoli dei lettori harley benton
Link utili
Di Pinto Galaxie IV
Harley Benton SG-style
Harley Benton LP Junior-style
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