di LaPudva [user #33493] - pubblicato il 04 agosto 2012 ore 08:00
Il mondo della musica si sta mobilitando in questi giorni per le Pussy Riot, gruppo punk femminista che per una canzone anti-Putin rischia fino a sette anni di carcere.
Il mondo della musica si sta mobilitando in questi giorni per le Pussy Riot, gruppo punk femminista che per una canzone anti-Putin rischia fino a sette anni di carcere.
I fatti sono avvenuti nel febbraio scorso a Mosca, quando Maria Alekhina, Nadezhda Tolokonnikova e Ekaterina Samucevich hanno espresso il proprio dissenso per il sostegno della chiesa ortodossa al presidente, registrando un video in cui, coi volti coperti da passamontagna colorati, cantano nella cattedrale del Cristo Redentore rivolgendosi alla Vergine Maria affinché questa le liberi da Putin. Le ire del presidente e del patriarca Kirill hanno fatto scattare immediatamente l’arresto delle tre, che sono state accusate di vandalismo aggravato da odio a sfondo religioso.
Sono passati, dunque, cinque mesi tra l’arresto e l’inizio del processo (30 luglio), un interminabile lasso di tempo in cui le tre ragazze dichiarano di aver subito torture e soprusi di ogni tipo. Le richieste della difesa sono state respinte una ad una e il tribunale municipale di Mosca ha prolungato la carcerazione di altri sei mesi per consentire il completamento delle indagini. E il processo si sta già dimostrando all’altezza della situazione: udienze della durata di più di dieci ore, malori, imputate trattenute per ore in celle di sicurezza senza cibo e senza poter incontrare i propri avvocati né i propri figli, divieto assoluto per i giornalisti di trascrivere le dichiarazioni dei testimoni, allarme bomba con le imputate abbandonate dentro all’edificio nonostante l’ordine di evacuazione.
Benché si possa discutere sul buon gusto della trovata, sembra indubbio che le Pussy Riot abbiano esercitato il proprio diritto al dissenso, che non abbiano compiuto un concreto gesto offensivo verso i simboli della religione e che le loro azioni non abbiano violato alcuna legge. In tutto il pianeta si sta sollevando un’ondata di indignazione e in merito si sono già espressi Sting, Pete Townsend, Peter Gabriel, Red Hot Chili Peppers, Neil Tennant, Franz Ferdinand e i nostri Elio e le Storie Tese (questi ultimi “adottano simbolicamente il nome di battaglia di Pistulino Riot fino all’avvenuta liberazione delle colleghe”). Che dire? Sostegno alle Pussy Riot, che nonostante tutto non perdono il sorriso e di cui forse senza questo processo non avremmo mai sentito parlare, ma che oggi sono l’emblema anche del nostro diritto di esprimerci.