Firebird 1976 Bicentennial: un bicentenario di rock sudista
di biggiorgione [user #43441] - pubblicato il 24 marzo 2016 ore 07:30
La Firebird non è stata capita dal primo momento, ma nei decenni è diventata un simbolo per molti musicisti rock, blues e southern. Alla ricerca di un pezzo unico, ci si può imbattere in un esemplare d'annata appartenuto a un noto rocker italiano e dedicato a 200 anni di storia americana.
Dopo avervi lasciato un paio di settimane per riflettere su gli anni settanta con la mia Stratocaster "palettona", oggi sono di nuovo qui a scrivere di un altro oggettino recentemente portato a casa con una cifra interessante. È un'icona del rock e del blues, una chitarra che ha scritto pagine di storia della musica, weapon of choice di molteplici chitarristi southern rock. Signori e signore, giù il cappello, arriva la Firebird!
Questa nobile signora entra in scena nel 1963 in quattro livree: a un pickup (Firebird 1), a due pickup (Firebird 3 e 5) e a tre pickup (Firebird 7). L'idea in casa Gibson è proporre qualcosa di radicale al fine di soffiare un po' del bacino di utenza di casa Fender.
Provate a immaginare le "cazziate" che volano in Gibson a quel tempo: la Stratocaster la fa da padrone e la Telecaster ha praticamente assorbito il mercato del country, per non dimenticare come i modelli Jaguar e Jazzmaster stiano portandosi via anche il mercato dei jazzisti e dell'emergente surf. La Les Paul per come la conosciamo non è più in produzione e il vecchio Les non ha concesso i diritti del nome per l'SG.
Qui urge una piccola precisazione: avrete spesso sentito la storiella che il modello SG non piaceva al grande vecchio e di conseguenza lui non aveva concesso il nome, vero? Breaking news ragazzi, le cose non stavano così: questa è la storia imbastita all'epoca da Gibson per salvare le apparenze. In realtà il nostro Lester stava divorziando da Mary Ford, e sapete come vanno queste cose. Una moglie che divorzia negli States ti può mettere in mezzo a una strada, con una mano davanti e una dietro. Nell'ottica quindi di abbassare il reddito e salvarsi dai canini acuminati dei famelici avvocati divorzisti, il nostro andò in fretta e furia da Gibson per cancellare il nome dalle chitarre (tanto poi lo riprenderà alla fine degli anni '60).
Dopo questa breve digressione da consumarsi davanti a tè e biscotti, torniamo alla Firebird.
Viste la vendite della concorrenza, bisogna correre ai ripari sfornando un pezzo che muova l'acquolina in bocca ai musicisti fedeli al brand e conquistasse nuovi adepti, rubati alla concorrenza. Salta quindi fuori questo gioiello futurista, con caratteristiche di gran liuteria. Una chitarra leggera, in mogano, con il prestigioso sistema di manico attraverso il corpo, qualitativamente superiore anche alle set neck cui si era abituati a casa Gibson e con pickup mini humbucker che fino ad allora si erano visti solo sulle Epiphone.
Puoi scegliere il modello base a un pickup, l'intermedio con finitura dot o più costosa con i trapezi stile Les Paul ed infine il modello super lusso con tre pickup, hardware e Vibrola dorati (da bava alla bocca). Questa volta i progettisti del nostro marchio sono convinti di aver assestato una mazzata decisiva alla concorrenza. Ahimè no.
All'epoca non viene capita e forse neanche dopo avrà il successo meritato. Fatto sta che le vendite non sono neanche lontanamente vicine alle cifre che si prevedevano e costa un sacco a produrla. Così nel '65, solo un paio di anni dopo, Gibson prova un restyling meno dispendioso, proponendo la non-reverse con le stesse livree e in più la possibilità di averla con i P90, che costano meno e hanno venduto tantissimo nel corso degli anni. Purtroppo, nonostante l'abbattimento dei costi (non dimentichiamo che la non-reverse torna a essere una set-neck e, con i P90, diventa un'alternativa all'SG Special e niente più), la situazione vendite non migliora e ne vengono prodotte poche.
Nel '68, quando ritorna a furor di popolo la Les Paul a noi tanto cara, di Firebird non se ne vedono più.
Tornano nel 1972 più belle che mai con la serie "Medallion", cosiddetta per una pacchianissima moneta dorata incastonata nella spalla superiore e con i famosi mini humbucker embossed, che sono sempre dei patent number ma con la scritta Gibson incisa sulla copertura nichelata. Un solo aggettivo: stupende.
Prescindendo dai dati di vendita, che alla fine ci interessano relativamente, possiamo sostenere che la Firebird è comunque una chitarra che ha lasciato un bel segno nella storia della musica, passando fra le mani di Clapton, Brian Jones, Phil Manzanera,Gary Moore, Jorma Kaukonen, Keith Richards, Ronnie Wood e Stephen Stills, giusto per citarne qualcuno che forse vi era sfuggito, ma vogliamo forse non nominare James Hetfield e Dave Grohl?
"Ok, ma blues e southern rock dove sono finiti?" mi direte voi. La signora Firebird si è solidamente fatta una reputazione fra le mani di Johnny Winter, l'albino del Texas ahimè recentemente scomparso, icona rock blues dei primi anni '70, Clarence "gatemouth" Brown, bluesman di categoria che ha sempre avuto una non-reverse fra le mani ma anche i Lynyrd Skynyrd o gli Allman Brothers (versione Warren Haynes) e i Gov't Mule, i Black Crows, gli Outlaws, insomma i gruppi che hanno segnato la storia del southern rock.
La Firebird è la penna con cui sono scritte alcune delle più belle pagine del firmamento del rock.
Veniamo ora all'analisi della signora in questione. Iniziamo col dire che se volete vedere proprio lei in azione vi posso consigliare il video di Vasco: "Buoni o cattivi". Sì, è proprio lei.
Nata nel 1976 col nome di Bicentennial per celebrare i 200 anni d'indipendenza americana, questa in particolare è stata acquistata nel 1992 o giù di lì dal nostro beneamato Maurizio Solieri e pochi giorni fa, dopo un tortuoso giro e alcuni tentativi andati a vuoto, finalmente è arrivata a casa mia, dove penso soggiornerà per un lungo periodo.
Bellissima e leggera, è sbilanciata come tutte le Firebird, con quel suo collo lungo che sembra uscito da un quadro di Modigliani. Quando l'annusi riesci ancora a percepire quei sentori di cioccolato che hanno le verniciature di casa Gibson. Senti la storia della chitarra appena la prendi fra le mani, hai la sensazione di muoverti sul manico di una Stratocaster ma con la classe della casa di Kalamazoo e senza quell'effetto falegnameria che contraddistingue la casa rivale (che per altro a me piace comunque tantissimo).
Non riesco a trovarle un difetto, se non che quando l'attacco ai miei ampli tweed non smetterei più di suonarla. Per me il suo suono è quello che esce da un tweed, quella tipica pasta "brown" che solo i tweed Fender hanno e quel crunch naturale che salta fuori quando alzi il volume e saturi la valvola. Chiamatemi antiquato, ma gli ampli fighetti con mille regolazioni, puliti cristallini e distorti sfonda timpani che per tirar fuori un suono decente ti serve un manuale di istruzioni che sembra un'enciclopedia della Treccani, li lascio ai nerd diversamente machos e attivamente glamour. Io sono un rozzo zappatore che fatica ad ascoltare musica scritta dopo la metà degli anni '70 e che ama la pacca bastarda di questi pezzi di storia.
Chiusa la rapida digressione, sottolineo che quanto sopra è scritto con ironia volutamente provocatoria, in realtà ognuno ha i suoi gusti e io li rispetto tutti, ma faceva molto "red neck bastardo" e mi andava così.
La mia nuova signora è nera e lucida come una pantera. Per altro, per i collezionisti sintonizzati, è piuttosto rara e costosa in questa colorazione. Nel '76 la maggior parte uscì sunburst, un altro bel po' natural, pochissime nere e ancora meno bianche.
Di fatto siamo di fronte a una Firebird 3 con hardware dorato e l'aquilotto del battipenna con i colori della bandiera Americana e la data ('76) nella pancia dell'uccellaccio.
Il suono pulito è rotondo e ben definito, lo direi caldo. Mini humbucker sì, ma Big sound. Quello che però mi colpisce sono la pienezza e la definizione che mantiene quando si fa saturare l'ampli e lei passa con disinvoltura da un crunch molto bluesy a un distorto super rock che puoi infilare in qualsiasi contesto, da un glam tipo "Strutter" dei Kiss a un atmosfera decisamente alla Metallica, fino a un grunge potente in stile Foo Fighters.
Scusate ma a guardarla mi commuovo. È di un'eleganza rara, ha tutti i suoi bei segni di usura, l'oro si sta consumando ma questo non la deturpa, le dà solo più carattere. Me la immagino da nuova, intonsa e profumata, la potreste paragonare a Demi Moore in Ghost nella scena dove impasta il vaso. Ora immaginatela come la vedo oggi, più vecchia e più battagliata, ma sempre tirata da guerra, come Demi Moore in Striptease nella scena del palo.
Siamo di fronte a una chitarra da applausi. Se vi piace il genere con un oggetto simile c'é da andare giù di testa, se non amate il genere vi state perdendo qualcosa ma comunque chapeau, i gusti non si discutono, alla fine questa è una chitarra per gourmet che non ha mai attirato le masse e, se siete di piccola taglia, per come è costruita vi calzerebbe pure grande, come all'amico che me l'ha ceduta dopo lunghe peripezie. Ma credetemi, se ve ne capita una fra le mani e avete la tasca carica, non pensateci neanche un secondo o qualcuno ve la potrebbe soffiare sotto il naso. A cosa raccontare a casa a mogli, compagne o genitori (ma dovete essere ragazzi fortunati per avere tasca a sufficienza), ci penserete dopo e al limite preparatevi una serenata e tenete i soldi per una cena degna di un S.Valentino.
Quando e se ne avrete una: ampli a palla e rock a gas aperto!