Ho comprato il TS9 a causa dei multieffetto, e l’ho odiato
di Pietro Paolo Falco [user #17844] - pubblicato il 19 dicembre 2023 ore 07:30
Navigare in un mare di strumenti virtuali insegna un sacco di cose, ma solo se hai le carte nautiche strette in mano.
La storia si ripete fin da quando sul mercato sono comparsi i primi effetti multipli a prezzo accessibile. Pedaliere multieffetto, plugin o processori digitali moderni, ogni epoca ha avuto i suoi modelli di riferimento per avvicinare i neofiti al mondo dei suoni per chitarra elettrica. Il grande vantaggio rispetto alla faticosa pratica di costruirsi una strumentazione tradizionale fatta di amplificatori e stompbox singoli è quello di avere subito a portata di mano un’infarinatura generale di cosa offrono le diverse scuole di pensiero.
La teoria insegna che, con qualsiasi processore fino anche alle applicazioni software più accessibili, con un po’ di pratica si possa riuscire a inquadrare cosa distingue l’amplificazione vintage da quella hi-gain, lo stile UK dallo USA, overdrive e distorsori, modulazioni di sorta. Una scelta così ampia, però, può anche alimentare una confusione e dare vita a false convinzioni che poi è difficile scrollarsi di dosso.
Chi è più navigato nel campo sa bene come ogni suono sia il risultato di una delicata alchimia a cui contribuisce ogni singolo componente della catena. Combinazioni diverse, anche solo disposizioni differenti o regolazioni alternative, possono modificare nel profondo una pasta sonora e, se non si posseggono le basi giuste, è difficile capire quale aspetto è responsabile dei cambiamenti che si odono.
Bisogna insomma andarci coi piedi di piombo e, senza il confronto costante con chi è più esperto, si rischia di finire fuori strada.
È esattamente questo il meccanismo che, ormai eoni fa, mi ha portato a compiere il mio primo acquisto “serio” in musica, rivelatosi subito un enorme buco nell’acqua.
Quando il primo Guitar Rig approdò sui computer, per noi pivelli fu una piccola rivoluzione. I multieffetto più quotati tra i neofiti erano prodotti come il Line 6 POD (il mitico fagiolone rosso) e la Zoom 606, con la loro discreta selezione di suoni più o meno ispirati a strumenti reali ma che, nelle menti dei meno esperti, non suggerivano granché. Con il plugin era finalmente possibile vedere quegli strumenti disegnati su uno schermo, riconoscere i riferimenti reali così come li avevamo adocchiati sui palchi e nei negozi. Il software diventava un’enorme vetrina per capire cosa ci piaceva e, un giorno, sognare di acquistare il pezzo originale a cui quella simulazione si ispirava.
Per me, galeotto fu un preset dedicato al suono di Slash.
La catena era all’incirca quella in foto. Partiva con l’immancabile compressore, che già da solo altera sensibilmente tutto quello che viene dopo ma che si può immaginare quanto poco dica a chi ancora sta cercando di padroneggiare il barrè.
Seguiva uno Screamer usato come booster, con volume bello alto e poca saturazione, ficcato in una plexi con preamplificatori ben tirati e una 4x12 a chiudere il tutto.
Per chiunque sarebbe stato evidente che quello Screamer era messo lì a spingere l’amplificatore, dando giusto quella botta di medi che riusciva a “intubare” anche la mia Squier per farle fare vagamente il verso a un humbucker. Ma io questo non potevo saperlo, e tutto quello che notavo era che, quando nel preset azionavo quel modulo verde, la distorsione ricca e densa di Slash prendeva vita, per magia.
I forum sul web erano una miniera di informazioni e confronti, così scoprii che quello Screamer era ispirato a un preciso pedale per chitarra, pure piuttosto famoso. Era fatta, il suono di Slash era a un passo.
Feci il mio primo investimento a lungo termine, acquistando un Ibanez TS9 a scatola chiusa.
Vi lascio immaginare il risultato quando l’ho ficcato nel mio Elka a transistor da 10 watt…
L’amplificatore - il suono pulito di una trombetta da stadio che diventava un fuzz da cono rotto in uno sciame di zanzare quando si alzava il gain - non aiutava di certo ma, anche quando lo sostituii con qualcosa di più serio e cominciai a capire cos’era una valvole grazie alle prime esperienze in sala prova, la situazione non migliorò granché.
La fortuna ha voluto che i miei gusti si stessero trasformando di pari passo, e quel pedale incompreso - che per un periodo continuavo a tenere a cannone in pedaliera per farci power chord spompati e fastidiosamente mediosi solo perché lo avevo pagato troppo per metterlo da parte - col tempo ha cominciato a rivelarmi tutta la sua meraviglia.
Mi è andata di lusso, ma non tutti hanno avuto la stessa fortuna.
Tempo dopo avrei scoperto un ringhio estremamente simile a quello che volevo in origine in pedali come il Marshall Guv’Nor, tanto idolatrato nell’edizione grossa nera anni ’80 quanto vituperato nella versione GV-2 in scatoletta argentata. Questo però nei multieffetti non c’era, e l’unico modo per arrivarci è stato comprare, provare, scambiare scatolette “alla vecchia maniera”.
Quanto ai processori, mi hanno insegnato piuttosto a usare in modo approfondito strumenti che conosco già e ancora oggi sono una palestra stimolante per affinare ogni nozione nel campo del tone shaping anche più avanzato. Perché, quanto ad affidarmi a loro per capire cosa mi piace nel mondo reale, non è che la storia vada granché a favore.